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Una legge cantonale anti-burqa con multe salate

Niqab e burqa saranno banditi negli spazi pubblici in Ticino: chi infrangerà la legge sarà multato. imago/McPHOTO

Il Ticino è il primo cantone della Svizzera a proibire il velo integrale in luoghi pubblici, sul modello francese. In base alla legge, in futuro, le donne che indosseranno il niqab o il burqa potranno essere multate. Mentre le cerchie turistiche temono di perdere gli ospiti arabi, un comitato che ha lanciato un'iniziativa a livello nazionale spera che l'esempio ticinese faccia scuola in tutto il Paese.

La normativa concretizza la volontà popolare. Il 22 settembre 2013, infatti, il 65,4% dei votanti ticinesi ha approvato l’iniziativa popolare che chiedeva di iscrivere nella costituzione cantonale il divieto di dissimulare il volto in luoghi pubblici. Una prima in Svizzera, che aveva fatto scalpore ben oltre i confini nazionali.

La legge varata questa settimana dal parlamento cantonale parte dall’idea che mostrare il volto sia un principio di libertà in una società aperta. Benché in gergo sia comunemente chiamata legge anti-burqa, nella costituzione e nella legge non sono menzionati esplicitamente i termini burqa o niqab.

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“Il velo non è in prima linea una questione di ordine e di sicurezza”, ha detto la deputata liberale radicale Natalia Ferrara Micocci, relatrice della Commissione della legislazione, difendendo la decisione di emanare anche una legge ad hoc. Il governo proponeva invece di regolamentare il divieto solo tramite una revisione totale della Legge sull’ordine pubblico.

Ciò non bastava agli occhi della maggioranza dei parlamentari. In particolare, questi ultimi erano del parere che una dissimulazione del volto per motivi religiosi o culturali non possa essere equiparata a quella legata a comportamenti di dimostranti o di hooligan.

Nella valutazione, la Commissione si è fondata sulla decisione del 1° luglio 2014 della Grande Camera della Corte europea dei diritti umani, che aveva giudicato il divieto in vigore in Francia compatibile con il rispetto dei diritti umani. Questo, però, solo sulla base di considerazioni fondamentali della vita sociale in una democrazia.

Un uomo d’affari pagherà le multe

L’imprenditore immobiliare franco-algerino Rachid Nekkaz ha dichiarato alla radio svizzera RSI che è disposto a pagare tutte le multe che saranno inflitte in Ticino a donne con il volto coperto dal velo, così come ha già fatto in Francia, dove fino allo scorso mese di ottobre ha pagato 973 multe.

Nel 2010, dopo la decisione francese di introdurre il divieto, ha istituito un fondo di un milione di euro per la difesa “della libertà e la neutralità religiosa dello Stato” e ha creato un sito internet, tramite il quale può facilmente essere contattato. Rachid Nekkaz si definisce un attivista dei diritti umani e un avversario del divieto di indossare il velo integrale.

L’imprenditore nel 2013 ha scritto che, rendendo noto pubblicamente che paga le multe delle donne che indossano il niqab o il burqa per strada, vuole ridicolizzare governi e parlamenti che non rispettano le libertà fondamentali.

Fino a 10mila franchi di multa

Nel parlamento ticinese non c’è più stato un dibattito di fondo sulla correttezza o meno del divieto. In discussione è stata posta la questione di sapere se la volontà popolare fosse presa adeguatamente in considerazione dalla legge.

In tale contesto è stato deciso che i comuni e, in ultima analisi, le polizie comunali sono responsabili dell’attuazione e dell’applicazione. Ciò nonostante che siano state formulate riserve da chi ha osservato che così la legge potrebbe essere applicata in modo diverso a seconda dei comuni. Per i trasgressori del divieto, la legge fissa ammende da un minimo di 100 e un massimo di 10mila franchi. Gli importi massimi sono previsti per i casi di recidiva e, naturalmente, anche per esercitare un effetto deterrente.

Poiché la legge si basa su considerazioni di principio, non ci saranno eccezioni. Queste erano state richieste da varie parti, soprattutto in relazione ai turisti arabi in Ticino. Nei negozi di lusso a Lugano e in un noto centro outlet a Mendrisio si vedono continuamente donne con il volto coperto provenienti dai paesi arabi. D’altra parte, negli alberghi nel cantone italofono si registrano quasi 40mila pernottamenti all’anno di turisti provenienti da quei paesi.

La legge non è dunque ben vista dagli ambienti turistici ticinesi. Lorenzo Pianezzi, presidente dell’associazione ticinese degli albergatori, non intende informare attivamente i viaggiatori provenienti da paesi musulmani. In linea generale si può ritenere che i viaggiatori debbano informarsi circa le regole vigenti nei paesi visitati, osserva.

Esempio di democrazia diretta

La legge anti-burqa è un ottimo esempio delle vaste possibilità di azione della democrazia diretta in Svizzera. La normativa affonda le radici in una iniziativa popolare cantonale, lanciata dal politico indipendente Giorgio Ghiringhelli. Il testo proponeva un nuovo articolo della Costituzione cantonale, che sancisce che “nessuno può dissimulare o nascondere il proprio viso nelle vie pubbliche e nei luoghi aperti al pubblico (ad eccezione dei luoghi di culto) o destinati ad offrire un servizio pubblico”.

L’iniziativa era stata depositata nel marzo 2011, munita di quasi 12mila firme di aventi diritto di voto. Tra i membri del comitato di sostegno c’erano anche delle politiche molto note in Ticino, quali l’ex direttrice del dicastero cantonale dell’economia e delle finanze Marina Masoni (liberale radicale) e l’ex parlamentare socialista Iris Canonica.

Il parlamento aveva elaborato un controprogetto, nel tentativo di impedire che fosse introdotto il divieto di coprirsi il volto nella costituzione. Un tentativo vano, poiché nella votazione popolare del 22 settembre 2013 il testo dell’iniziativa si è imposto chiaramente, con il 65,3% di sì.

Ci è poi voluto un anno e mezzo, fino all’11 marzo 2015, di superare l’ostacolo seguente. Il parlamento federale doveva infatti dare la garanzia all’emendamento costituzionale ticinese. Da più parti erano stati emessi dubbi sulla compatibilità di tale disposizione con la libertà religiosa garantita dalla Costituzione federale. Anche grazie alla decisione della Corte europea dei diritti umani relativa al divieto in Francia, le Camere federali alla fine hanno giudicato il nuovo articolo costituzionale ticinese conforme al diritto federale.

Il giorno stesso, il Dipartimento delle istituzioni del canton Ticino ha pubblicato il disegnoCollegamento esterno di revisione totale della Legge sull’ordine pubblico. Il parlamento ha infine varato questa settimana la revisione, accompagnata da una nuova legge che regola il divieto di coprirsi il viso in luoghi pubblici. Teoricamente contro entrambi i testi potrebbe ancora essere lanciato il referendum. Ma non c’è alcuna avvisaglia in tal senso. I due testi dovrebbero dunque entrare in vigore nel corso del primo semestre 2016.

Attuazione difficile

Anche se la legge è stata approvata, molte questioni concrete in relazione all’attuazione e applicazione rimangono aperte. Cosa potrà fare esattamente un poliziotto quando incontrerà una donna con il viso completamente coperto da un velo? Quale sarà l’ammontare effettivo delle multe? La legge offre un ampio margine.

Restano pure aperte questioni giuridiche. L’articolo 5 della Legge sulla dissimulazione del volto negli spazi pubblici recita che “le infrazioni intenzionali” sono punite con la multa.

Il deputato indipendente ed ex procuratore pubblico Jacques Ducry si era battuto nel corso del dibattito parlamentare affinché fosse stralciato dalla legge il termine “intenzionale”. Nessuna donna viene in Ticino integralmente velata con l’intenzione di infrangere la legge, ha sottolineato. Egli ha rammentato che si tratta di una questione culturale ed ha ammonito che, in caso di ricorso contro una multa, sarà impossibile provare l’intenzionalità. Ma il parlamento non ha voluto affrontare questo aspetto.

Verso un divieto nazionale?

Stimolato dagli sviluppi in Ticino, il cosiddetto Comitato di Egerkingen alla fine di settembre ha depositato un’iniziativa popolare federale volta ad introdurre lo stesso divieto in tutta la Svizzera. Il Comitato è lo stesso che a suo tempo aveva lanciato l’iniziativa Contro l’edificazione di minareti, approvata in votazione popolare nel novembre 2009.

La raccolta delle firme non è ancora cominciata. Il testo dell’iniziativa per proibire di coprire il volto in spazi pubblici a livello nazionale è attualmente sottoposto all’esame preliminare formale della Cancelleria federale. Il governo svizzero si è sempre detto contrario a tale divieto, sottolineando che, a differenza della Francia, in Svizzera, eccezion fatta per le turiste, raramente si vedono donne con il velo integrale negli spazi pubblici. Perciò, secondo l’esecutivo elvetico, non c’è alcun bisogno di legiferare in questa materia.

Divieto in Francia

Secondo la decisione del 1° luglio 2014 della Grande Camera della Corte europea dei diritti umani, la legge francese che vieta di indossare il velo integrale negli spazi pubblici non è contraria alla libertà di religione.

Una giovane musulmana francese aveva ricorso a Strasburgo contro il divieto del burqa, il giorno stesso in cui la legge era entrata in vigore, l’11 aprile 2011. La donna aveva argomentato che indossava il velo integrale per dovere religioso, motivi culturali e convinzione personale. Non era stata obbligata a farlo né dal marito né dalla famiglia. Si sentiva invece discriminata dal divieto come donna, a causa della sua religione e della sua origine etnica.

Ma per la Corte europea, coprirsi il velo integrale nuoce alla coesistenza in una società, poiché il volto ha un ruolo importante nelle interazioni umane.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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