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Meret Schneider: “Dobbiamo ridurre drasticamente il consumo di prodotti di origine animale”

Meret Schneider
Per gli allevatori e le allevatrici, l'iniziativa rappresenta un'opportunità perché il mercato non sarà più inondato da prodotti concorrenti a basso costo, afferma Meret Schneider. © Keystone / Gaetan Bally

Meno animali, ma allevati in modo più consono alla specie: Meret Schneider, deputata dei Verdi, ha contribuito a lanciare l’Iniziativa sull’allevamento intensivo. In questa intervista ci spiega perché.

Il 25 settembre l’elettorato svizzero è chiamato a esprimersi in merito all’iniziativa popolare sull’allevamento intensivo, che si oppone alla produzione zootecnica industriale in Svizzera e chiede che gli animali vengano trattati meglio. Prevede inoltre l’introduzione di prescrizioni sull’importazione di prodotti di origine animale.

La consigliera nazionale dei Verdi Meret Schneider è co-promotrice dell’iniziativa, collaboratrice agricola e nota fautrice della causa vegana.

swissinfo.ch: La Svizzera vanta una delle legislazioni più severe in materia di protezione degli animali, a fronte di un numero esiguo di capi allevati. Occorrono altre direttive?

Meret Schneider: Ovviamente la Svizzera se la cava già relativamente bene per quanto riguarda la legislazione in materia di protezione degli animali. Anche in termini numerici la nostra realtà è più piccola rispetto ad altri Paesi. Ciononostante, in Svizzera è possibile allevare 27’000 polli da ingrasso in un unico capannone, con 14 capi per metro quadrato: stiamo parlando di cifre non indifferenti.

Inoltre, non dobbiamo chiederci chi stia peggio o come si comportano gli altri Paesi, bensì dobbiamo interrogarci per capire se il nostro modus operandi è compatibile con i bisogni degli animali, se è rispettoso nei loro confronti. E sotto questo profilo dobbiamo ammettere che vi è ancora un enorme potenziale di miglioramento.

Intende quindi che attualmente in Svizzera il benessere degli animali non è tutelato a sufficienza?

Lascio che siano i lettori e le lettrici a giudicare. I polli da ingrasso convenzionali nel nostro Paese vivono 30 giorni. In questo lasso di tempo vengono ingrassati al punto che non sono più in grado di reggersi sulle proprie zampe, e poi vengono macellati uno dopo l’altro. Le galline ovaiole vengono gassate dopo dieci mesi, perché a lungo andare diventano troppo poco produttive, quando in realtà potrebbero vivere 14 anni. Subiscono fratture allo sterno a causa della tipologia di allevamento alla quale sono sottoposte. I maiali vivono in un metro quadrato di cemento senza lettiera, il che provoca dolori articolari. Personalmente non ritengo che in questi casi si possa parlare di allevamento consono alla specie.

Secondo le persone che si oppongono, se l’iniziativa venisse accolta ci sarebbe un calo drastico dei prodotti di origine animale svizzeri, che diventerebbero più costosi del 20-40%. Per Lei questo non sarebbe un problema?

Questa stima è esagerata, perché calcolata con i prezzi attuali del biologico. Non corrisponde al vero, in quanto non vogliamo imporre all’agricoltura gli standard auspicati del biologico, bensì utilizzarli come strumento guida per quanto riguarda il benessere degli animali. Ci sarà una diminuzione dei prodotti di origine animale, ma questa evoluzione sposa la logica dei consumatori e delle consumatrici: il consumo di carne, infatti, è in continuo calo.

In generale dobbiamo comunque ridurre fortemente il consumo di prodotti di origine animale, anche per motivi climatici e legati alle risorse. Di fatto quindi ci sarà un lieve rincaro, senza raggiungere però le proporzioni paventate da chi si oppone all’iniziativa. Tutto ciò in fondo sarebbe comunque ragionevole, perché i prodotti di origine animale sono prodotti di lusso per i quali vengono impiegate enormi risorse. E finché in Svizzera continueremo a gettare nella spazzatura un terzo dei generi alimentari che acquistiamo, si fatica a capire come questi possano essere troppo costosi.

Le aziende agricole dovranno sicuramente mettere mano al portafoglio se, per esempio, saranno costrette a ristrutturare le proprie stalle. L’iniziativa tiene conto di questo aspetto?

Eccome. Secondo i nostri piani gli agricoltori e le agricoltrici riceveranno il sostegno della Confederazione: lo chiediamo a gran voce e lo ribadiamo in continuazione. E non va dimenticato che c’è un termine transitorio di 25 anni, che corrisponde a un’intera generazione. Insomma, il tempo non mancherebbe di certo.

Le persone contrarie sostengono che, con l’iniziativa, di fatto si finirebbe per adottare le prescrizioni dettate dalla certificazione biologica e, di conseguenza, verrebbe limitata la libertà di scelta in termini di consumo. Ritiene che questa critica sia legittima?

Come detto, non imporremo questi standard all’agricoltura come se niente fosse. A prescindere da ciò, già oggi vi sono alcuni limiti al consumo. Per esempio, in Svizzera non esistono allevamenti in gabbie. Era stata una decisione politica appoggiata dal popolo: non vogliamo che i polli vengano trattati così, in un modo che calpesta il loro benessere; la dignità degli animali è sancita dalla Costituzione. E questo discorso vale anche per altri prodotti di origine animale.

La Svizzera non può nutrire tutta la sua popolazione. L’iniziativa non farebbe diminuire ulteriormente il grado di autoapprovvigionamento del Paese?

Non possiamo comunque parlare di autoapprovvigionamento. Attualmente nelle aziende svizzere ci sono soprattutto galline ovaiole per produrre uova o polli da ingrasso per produrre carne. Questi animali ibridi non vengono allevati in Svizzera, bensì viene importata la totalità dei riproduttori. Se vogliamo parlare di grado di approvvigionamento dobbiamo anche tenere presente che ogni anno importiamo, da un lato, i riproduttori dei polli e, dall’altro, più di un milione di tonnellate di foraggio.

Se diminuiamo il numero di animali e torniamo a puntare maggiormente su quelli da pascolo, che sono, per l’appunto, adatti ai pascoli – bovini, mucche, ovini e capre – facciamo aumentare il grado di autoapprovvigionamento effettivo, perché in fondo questo è quanto offre la Svizzera con la sua topografia. Così facendo non vi sarebbero coltivazioni di foraggio, bensì animali per le persone.

Non correremmo il rischio di dover importare quantità sempre maggiori, proprio da Paesi in cui gli animali se la passano peggio che in Svizzera?

L’iniziativa vieterebbe proprio tutto questo. Le importazioni dovrebbero rispettare gli standard svizzeri. Per gli agricoltori e le agricoltrici è persino una grande occasione: contrariamente a quanto avviene oggigiorno, infatti, il mercato non sarebbe più sommerso di prodotti concorrenti a prezzi stracciati come il pollo brasiliano o il manzo argentino, che sono allevati secondo standard che la nostra iniziativa vieterebbe.

Le persone critiche affermano che una volta accolta l’iniziativa la Svizzera violerebbe gli impegni nei confronti dell’OMC. Lei cosa risponde?

Non vedo alcun problema. Già oggi l’OMC prevede clausole che contemplano e autorizzano restrizioni alle importazioni se i prodotti sono in contrasto con la morale pubblica della società in questione. Lo vediamo già con il divieto di importare prodotti derivati dalla foca o, appunto, con le uova provenienti da allevamenti in gabbie. Accogliendo l’iniziativa invieremmo un segnale forte e potremmo dire che la nostra società è contraria a tutto questo, pur rispettando i parametri dell’OMC.

Traduzione dal tedesco di Stefano Zeni

Marcel Dettling, consigliere nazionale dell’Unione democratica di centro, ci spiega perché è contrario all’Iniziativa sull’allevamento intensivo:

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