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Dopo Milosevic e Karadzic, anche Mladic

Un venditore ambulante serbo con l'edizione speciale di un quotidiano che annuncia l'arresto di Mladic. Reuters

L'arresto dell'ex generale serbo Ratko Mladic ricercato per diversi crimini di guerra, viene ampiamente commentato dai quotidiani. Per la stampa elvetica la Serbia ha agito soprattutto su pressioni internazionali.

Tre anni dopo l’arresto di Radovan Karadzic, giovedì il capo di stato serbo Boris Tadic ha comunicato ufficialmente anche l’arresto del secondo latitante più ricercato e presunto colpevole di importanti crimini di guerra: Ratko Mladic.

«L’attesa delle vittime del massacro di gruppo è stata lunga ed estenuante», si legge in un commento del Tages Anzeiger (TA). Ora, le persone «che hanno macchiato la reputazione della Serbia del XX secolo fanno finalmente parte del passato. Un capitolo oscuro della sua storia si è concluso».

«Finita la latitanza per il ‘macellaio di Srebrenica’», titola il romando Le Temps che sulla prima pagina illustra in una caricatura un Mladic con le mani insanguate a cui il secondino non riesce a prendere le impronte digitali.

Pressione europea

«Come nel caso di Radovan Karadzic, ci si chiede perché Mladic sia potuto rimanere nascosto in Serbia così a lungo», scrive la Neue Zürcher Zeitung (NZZ). Il suo arresto dopo tanti anni di latitanza è meno da ricondurre alle necessità dei serbi di confrontarsi con i crimini di guerra bensì è piuttosto «il prodotto di una politica pragmatica e soprattutto la causa di una pressione esterna».

«La Serbia vuole l’UE», continua la NZZ. Infatti, il presidente serbo Tadic è notoriamente a favore dell’occidente e non nasconde che uno dei suoi progetti è di voler avvicinare il suo paese all’Unione europea (UE). Quest’ultima aveva sempre ribadito che sarebbero stati raggiunti progressi solo se la Serbia avesse collaborato strettamente con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia dell’Aia.

Le Temps si spinge un po’ oltre chiedendosi se l’arresto di Mladic nello stesso giorno in cui era attesa Cathernie Ashton, la responsabile della diplomazia UE, a Belgrado non fosse pianificato: «un caso del calendario oppure una messa in scena ben orchestrata?».

Mancanza di chiarezza

Infatti non mancano le speculazioni sul fatto che Belgrado sapesse già da anni dove si nascondesse Mladic. «Negli ultimi 16 anni, il governo di Belgrado ha spesso menato per il naso l’Occidente. Maldic godeva del sostegno dell’esercito e dei servizi segreti che si erano sporcati le mani durante la guerra. Questi ancora oggi non hanno interesse a che sia fatta luce su tutta la faccenda» osserva il TA.

Mentre secondo il giornale svizzero tedesco queste persone hanno perso la loro influenza in Serbia, il Corriere del Ticino fa invece notare che «Gli ultranazionalisti serbi hanno condannato l’ar­resto di Ratko Mladic, parlando di un colpo gra­vissimo agli interessi nazionali. Per loro l’ex comandante dell’esercito serbo-bosniaco è un eroe che ha di­feso gli interessi della loro etnia du­rante la guerra di Bosnia».

Ancora tanto lavoro per la Serbia

«Per la Serbia, l’arresto di Mladic è una liberazione. Uno dei grandi ostacoli allo statuto di candidato UE è levato. La Serbia deve però anche mostrarsi cooperativa per quando riguarda il Kosovo. Ma Belgrado non può ancora passare direttamente all’ordine del giorno [per l’adesione]. L’elaborazione delle ingiustizie è appena iniziata»,  scrive la NZZ.

«Il passato non può essere cancellato dall’arresto di Mladic. Quanto è accaduto sarà sempre presente. Belgrado deve confrontarsi direttamente con i propri crimini di guerra e procedere in modo decisivo in ambito giuridico. Altri ostacoli [all’adesione UE] sono in vista: la Serbia deve riuscire ad accettare l’indipendenza del Kosovo e affrontare riforme dolorose. Solo in seguito potrà pensare di aderire all’UE»,  conclude il commento del TA.

La Svizzera esprime la sua soddisfazione per l’arresto di Ratko Mladic ordinato del presidente della repubblica  di Serbia Boris Tadic. Il trasferimento al Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia di quest’uomo in fuga da diversi anni, costituisce una svolta nella ricerca di giustizia per le vittime dei crimini di guerra commessi nell’ex Jugoslavia.

 

La Svizzera lancia altresì un appello affinché questo arresto costituisca anche l’occasione per rafforzare l’opera di riconciliazione avviata dai paesi della regione.

La guerra in Bosnia ed Erzegovina si svolse dal 1992 al 1995 e portò alla morte di 100’000 persone.

Dopo la dissoluzione della Repubblica federale di Iugoslavia, una parte importante della popolazione serba si adoperò a favore di un’adesione alla Serbia, i croati per un’adesione alla Croazia e i bosniaci per la creazione di un proprio Stato.

La tensione crebbe quando, nel marzo 1992, fu proclamata l’indipendenza della Repubblica di Bosnia-Erzegovina e la secessione della Repubblica serba di Bosnia-Erzegovina.

La cosiddetta pulizia etnica sfociò nel conflitto armato tra i tre maggiori gruppi etnici.

I serbi di Bosnia, difesi militarmente dalla repubblica serva di Slobodan Milosevic, controllavano quasi il 70% del territorio della Bosnia-Erzegovina.

Nonostante gli sforzi di mediazione e la presenza delle truppe ONU, per lungo tempo il conflitto non poté essere arginato.

Dopo che il campo serbo fu costretto alla difensiva, la mediazione tra le parti in conflitto portò all’accordo di Dayton, nell’Ohio, che pose fine alla guerra.

Il trattato di pace trasformò la Bosnia-Erzegovina in una repubblica federale, assegnandone il 51% del territorio alla Federazione di Bosnia ed Erzegovina e il restante 49% alla Repubblica Serba.

La Bosnia ed Erzegovina fu posta sotto controllo internazionale, militare e civile, tuttora in vigore.

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