È possibile dimezzare i propri consumi energetici e mantenere un buon livello di comfort? In Svizzera stanno sorgendo i primi quartieri di abitazioni e servizi compatibili con gli obbiettivi di una “società a 2000 watt”, che mira ad assicurare un impiego sostenibile delle risorse senza compromettere la qualità di vita.
Situato alla periferia di Berna, in prossimità di una linea ferroviaria e di un’autostrada, il nuovo complesso abitativo Stöckacker SüdCollegamento esterno assomiglia a molti altri in fase di costruzione in Svizzera. Tre grandi edifici di 5 a 6 piani in cemento, con balconate lungo tutta una facciata, che ospiteranno 146 appartamenti nel 2017. Il primo potrà già essere occupato entro la fine di quest’anno.
A prima vista nessuno potrebbe immaginare che questo insediamento è destinato a diventare uno dei primi prototipi di aree abitative a bassissimo consumo energetico, che si iscrivono negli obbiettivi di una società a 2000 watt, per persona, e che dovrebbero diventare la norma nei prossimi decenni. Gli edifici, costruiti con cemento riciclato e perfettamente isolati, corrispondono agli standard Minergia-P-Eco che garantiscono non solo una massima efficienza energetica, ma anche diversi altri vantaggi, come un’ottimale illuminazione naturale, spazi interni privi di sostanze inquinanti e un basso carico di radiazioni.
Società a 2000 watt
I 195 paesi partecipanti alla COP 21, la Conferenza internazionale sul clima tenuta in dicembre a Parigi, hanno raggiunto un accordo per un impiego sostenibile delle risorse e delle fonti energetiche, in modo da limitare l’aumento della temperatura globale a non più di 1,5 – 2 gradi entro il 2100 rispetto ai valori preindustriali.
Questo obbiettivo può essere raggiunto solo se le emissioni pro capite di CO2 non superano 1 tonnellata all’anno. Oppure, secondo un modello messo a punto dal Politecnico federale di Zurigo, se il fabbisogno di energia primaria a livello globale non supera una potenza continua di 2000 watt per persona.
2000 watt corrispondono ad un consumo annuo di circa 17’500 kilowattora di elettricità o di 1700 litri di petrolio. Oggi, la media mondiale è di circa 2500 watt.
I futuri inquilini dovranno però anche accettare alcune restrizioni rispetto al modo di vivere di molti svizzeri. Lo spazio abitativo non dovrebbe superare 60 m2 per persona e vi saranno, in tutto, appena 27 posteggi per automobili, di cui solo 15 potranno essere riservati, con priorità alle persone disabili. Stöckacker Süd sarà infatti anche un modello di mobilità sostenibile: il complesso dista solo pochi metri dalle fermate dei trasporti pubblici e disporrà di 510 parcheggi per biciclette, uno per ogni camera.
Restrizioni che non sembrano scoraggiare i potenziali locatari a Berna, dove oltre la metà delle economie domestiche non possiede un automobile. “Quando abbiamo presentato questo progetto, molti ci hanno detto che non riusciremo a trovare degli inquilini. Ma nel giro di un paio di mesi, dopo l’apertura delle iscrizioni, abbiamo ricevuto un numero di domande superiore a quello degli appartamenti disponibili”, rileva soddisfatto Renato Bomio, direttore dei progetti immobiliari della città di Berna, promotrice di questo progetto.
Distribuzione equa delle risorse
Stöckacker Süd figura tra i nove complessi abitativi in Svizzera che hanno già ottenuto il certificato Aree 2000 wattCollegamento esterno, promosso dall’Ufficio federale dell’energia. Il certificato si ispira al modello di società a 2000 watt elaborato dal Politecnico federale di Zurigo, in base al quale un utilizzo sostenibile e una distribuzione equa delle risorse a livello globale è possibile solo se il fabbisogno di energia pro capite – tenendo conto di ogni fonte – non supera questo valore. Una potenza continua di 2000 watt per persona corrisponde in pratica alla media svizzera negli anni ’60. Secondo i ricercatori zurighesi, questo obbiettivo può essere raggiunto senza compromettere sostanzialmente il comfort di vita attuale, grazie soprattutto a nuove soluzioni tecniche e ad una serie di misure per migliorare l’efficienza energetica.
Oggi, la Svizzera si trova però ancora ben lontana da questo traguardo. Solo il 2% della popolazione vive con meno di 2000 watt, mentre la media per persona è di oltre 5000 watt. Molto meno degli Stati uniti, il cui fabbisogno di energia pro capite supera 10’000 watt, ma ben più della media africana, pari a 500 watt. Mentre i paesi industrializzati sono quindi chiamati a ridurre i loro consumi energetici, i paesi in via di sviluppo dispongono ancora di un margine di aumento fino a 2000 watt. A partire da questa soglia, secondo il modello del Politecnico di Zurigo, un aumento dei consumi non è più accompagnato da un miglioramento rilevante delle condizioni di vita.
Contenuto esterno
La visione di una società a 2000 watt, che si fa strada anche a livello internazionale, è diventata in questi ultimi anni un punto di riferimento per la Confederazione e per quasi tutti i Cantoni. Oltre 100 Comuni hanno già integrato questo obbiettivo nel loro regolamento comunale o nella loro strategia energetica. In alcune città, come Zurigo, Zugo e Aarau, è stata la stessa popolazione a sancire, in votazione, il nuovo orientamento della politica energetica. Le aree a 2000 watt rientrano tra le principali misure che vengono promosse in alcuni Comuni per promuovere un impiego sostenibile delle risorse e dei vettori energetici.
Valore aggiunto
Questi complessi abitativi non interessano però solo i poteri pubblici: quasi tutti i primi progetti vengono infatti realizzati da privati. “Il certificato Area 2000 watt offre diversi vantaggi per gli investitori. Rispetto a molti altri grandi progetti immobiliari, è più facile ricevere un permesso di costruzione dalle autorità per queste aree. Generalmente suscitano anche meno ricorsi e sono più facilmente sostenuti dalla popolazione quando un progetto viene sottoposto a votazione”, sottolinea Heinrich Gugerli, responsabile del centro di competenza Aree 2000 watt, istituito dall’Ufficio federale dell’energia.
Aree 2000 watt
Il certificato Aree 2000 watt viene attribuito dall’associazione Città dell’energia, istituita dall’Ufficio federale dell’energia per promuovere le energie rinnovabili e un impiego sostenibile delle risorse nei Comuni svizzeri.
Questo marchio contraddistingue quartieri o insediamenti di almeno 1 ettaro di terreno che soddisfano determinati requisiti di sostenibilità nella costruzione, nel risanamento e nella gestione degli edifici, come pure nella mobilità indotta.
Finora nove insediamenti in sette città – Zurigo, Basilea, Berna, Lucerna, Lenzburg, Kriens e Prilly/Renens – hanno ottenuto il certificato Aree 2000 watt. Di questi, due sono già stati ultimati e altri tre saranno almeno parzialmente realizzati quest’anno.
Una visione condivisa da Massimo Guglielmetti, incaricato presso FFS Immobili, la società immobiliare delle Ferrovie federali svizzere, di sviluppare l’area Village RösslimattCollegamento esterno, a fianco della stazione principale di Lucerna. “Il certificato Aree 2000 watt rappresenta un valore aggiunto a livello di marketing non solo per promuovere il nostro progetto nella città, ma anche per attirare locatari, dato che tra i numerosi criteri da rispettare per ottenere questo marchio vi è anche quello di un’alta qualità abitativa”.
Mentre gli edifici di Stöckacker Süd saranno provvisti di pannelli solari e pompe a calore per assicurare il riscaldamento e l’acqua calda, il complesso di Rösslimatt sarà approvvigionato da una vicina centrale a pompe a calore, che impiega l’energia termica delle acque del lago di Lucerna. Il progetto delle FFS prevede l’edificazione, sull’arco di 20 anni, di un vero e proprio quartiere di 4 ettari nel cuore della città, che comprenderà non solo appartamenti, ma anche uffici, negozi, ristoranti e un albergo. Situata due passi da tutti i trasporti pubblici e da stazionamenti di car-sharing, la futura area a 2000 watt disporrà solo di pochissimi posteggi.
Stile di vita adeguato
Il successo delle aree a 2000 watt dipenderà però anche dalla volontà degli inquilini di adeguare in una certa misura il proprio stile di vita. “L’idea non è che tutte le persone debbano diventare vegane, rinunciare a tutto ed essere assolutamente compatibili con la società a 2000 watt. Ma è importante sensibilizzare gli inquilini sulle possibilità di ridurre i consumi energetici, ad esempio con l’impiego di apparecchi che hanno un’ottima efficienza energetica”, spiega Renato Bomio.
“I comportamenti individuali non possono essere fissati in un contratto. Ma possono essere influenzati, ad esempio tramite contributi per gli abbonamenti dei trasporti pubblici”, rileva anche Heinrich Gugerli. “È chiaro che le 2000 watt non sono concretizzabili se uno si trova al limite massimo in tutto, ossia lascia sempre accesa la televisione, prende 4 o 5 docce al giorno e via dicendo. Ma ognuno può di certo permettersi almeno un ‘vizio’”.
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Le grandi potenze vogliono giungere a un accordo globale sul clima per il periodo post 2020. A sei mesi dalla Conferenza di Parigi, rimangono tuttavia profonde divergenze. E gli obiettivi di riduzione delle emissioni presentati finora, tra cui quelli svizzeri, sollevano dubbi da più parti.
Il 2015 deciderà le condizioni di vita dei nostri figli e nipoti. Esagerato? Forse. Sta però di fatto che per molti responsabili politici ed esperti climatici, la Conferenza internazionale di Parigi di dicembre rappresenta una tappa decisiva per definire il futuro (climatico) del pianeta. L’obiettivo è un’intesa universale e vincolante per contenere il riscaldamento globale a 2°C rispetto alla media preindustriale.
Riscaldamento climatico in cifre
Emissioni mondiali: nel 2014 sono rimaste stabili (a 32,3 miliardi di tonnellate) rispetto all’anno precedente, indica l’Agenzia internazionale dell’energia, che spiega questa pausa con gli sforzi della Cina per ridurre il ricorso al carbone e sviluppare le energie rinnovabili.
Concentrazione di CO2: nel marzo di quest’anno ha raggiunto il valore record di 400 ppm (parti per milione). La concentrazione era di 354 ppm nel 1990 e di 359 nel 2000.
Principali emettitori: Cina e Stati Uniti sono responsabili del 45% delle emissioni mondiali.
Temperatura media terrestre: dal 1880 è crescita di 0,86°C (1,75°C in Svizzera). Quattordici dei quindici anni più caldi della storia sono stati registrati nel XXI secolo e il 2014 è stato l’anno più caldo mai misurato.
Dall’ultimo round negoziale, chiusosi la settimana scorsa a Bonn, sono giunti segnali positivi, rileva Bruno Oberle, a capo dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM). «Per la prima volta è chiaro che praticamente tutte le parti, compresi Stati Uniti, Unione europea e Cina, vogliono concludere un accordo a Parigi», indica Bruno Oberle in una risposta scritta a swissinfo.ch. Gli elementi chiave dell’accordo, tra cui l’obbligo di stabilire obiettivi vincolanti di mitigazione del cambiamento climatico, si stanno delineando in modo sempre più evidente, sottolinea.
«Sussistono però ancora grandi divergenze», puntualizza Oberle. Due sostanzialmente le principali questioni aperte: la forma giuridica del futuro accordo e la ripartizione degli sforzi di riduzione delle emissioni tra i vari paesi. «Devono avere tutti gli stessi obblighi oppure bisogna fare una distinzione tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo? E in caso di differenziazione, va mantenuto il regime che considera la Cina o Singapore tra i paesi in via di sviluppo, oppure bisogna tenere conto delle realtà, delle responsabilità e delle capacita attuali e future di ognuno?», s’interroga il responsabile dell’UFAM.
Dimezzare le emissioni entro il 2030
In vista di Parigi, tutti i 196 paesi membri della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sono chiamati a presentare i propri impegni di riduzione (INDC, contributi nazionali volontari di riduzione delle emissioni) per il periodo post 2020. Se giudicati adeguati, verranno inclusi nell’accordo universale.
Nel mese di febbraio di quest’anno, la Svizzera è stato il primo paese ad annunciare i suoi obiettivi. Il governo elvetico si è fissato una riduzione del 50% entro il 2030 (rispetto ai valori del 1990) e del 70-85% entro il 2050.
Finora, sono una quarantina i paesi ad aver sottoposto i loro contributi volontari. Tra questi:
- Unione europea (28 Stati membri): riduzione di almeno il 40% entro il 2030 (rispetto al 1990) e dell’80-95% entro il 2050.
- Stati Uniti: riduzione del 26-28% entro il 2025 (rispetto al 2005). Riduzione dell‘80% entro il 2050.
- Russia: riduzione del 25-30% entro il 2030 (rispetto al 1990).
All’appello mancano ancora alcuni grandi emettitori, tra cui India e Brasile, che presenteranno i loro INDC non prima di ottobre. Molto atteso è soprattutto il programma di riduzione della Cina, il principale “inquinatore” al mondo, che alcuni mesi fa ha annunciato l’intenzione di voler raggiungere il picco di emissioni entro il 2030.
Le promesse non bastano
I contributi attualmente sul tavolo sono in linea con le raccomandazioni dell’IPCC. Gli esperti climatici delle Nazioni Unite ritengono che le emissioni dovrebbero ridursi del 40-70% entro il 2050, se si vuole limitare a 2°C il rialzo della temperatura terrestre. Un obiettivo riconosciuto anche dai paesi più industrializzati, che durante l’ultimo vertice del G7 si sono impegnati in favore di una “decarbonizzazione” dell’economia entro la fine del secolo.
Tuttavia, secondo il gruppo di monitoraggio indipendente Climate Action Tracker (CAT), le grandi economie industrializzate non stanno facendo abbastanza. Nel suo ultimo rapporto di inizio giugno, il CAT rileva che le attuali politiche dei paesi del G7 e dell’Ue riusciranno soltanto a stabilizzare, ma non a ridurre, le emissioni entro il 2030. Sulla base delle attuali promesse, l’aumento della temperatura terrestre sarà compreso tra 3,6 e 4,2°C, prevede il CAT, che parla di conseguenze «spaventose».
A tirare il campanello di allarme è pure l’organizzazione non governativa Oxfam. Nel suo nuovo rapporto evidenzia che cinque dei sette paesi del G7 hanno accresciuto il ricorso al carbone dal 2010. E quelli che non l’hanno fatto, Stati Uniti e Canada, hanno sostituito il carbone con altri combustibili fossili, sottolinea Oxfam.
Anche la Svizzera deve fare di più
I ricercatori del CAT puntano il dito anche contro la Svizzera. Nella loro valutazione, il contributo elvetico è giudicato «medio», ciò che significa che non è compatibile con il mantenimento del riscaldamento al di sotto dei 2°C. Inoltre, aggiungono, con le politiche e le misure attualmente in atto, la Svizzera non sarà in grado di soddisfare i propri impegni in materia di clima.
Un’analisi che conferma le valutazioni dell’Alleanza climatica, osserva Patrick Hofstetter, responsabile del dossier climatico ed energetico presso WWF Svizzera. Le riduzioni fissate dal governo elvetico sono «insufficienti e inaccettabili», dice. «La Svizzera non deve limitarsi alle raccomandazioni dell’IPCC, che concernono le emissioni globali. I paesi altamente industrializzati, che dispongono di tecnologie e di una migliore governance rispetto a paesi in via di sviluppo o emergenti, devono fare di più», insiste Patrick Hofstetter.
In una petizione sottoscritta da oltre 100'000 persone, l’Alleanza climatica chiede alla Svizzera una riduzione del 60% entro il 2030 e un abbandono completo delle energie fossili entro il 2050. Il settore dei trasporti e le economie domestiche offrono un ampio margine di riduzione, sostiene Patrick Hofstetter. «Oltre il 40% degli edifici continuano a essere riscaldati con olio combustibile e le statistiche mostrano che in due terzi dei casi i vecchi riscaldamenti non vengono sostituiti con sistemi più rispettosi del clima, come pompe a calore, impianti solari o caldaie a legno in pellet», osserva Hofstetter.
A lasciare perplesso il collaboratore del WWF è in particolare l’atteggiamento delle autorità svizzere. Il dossier climatico non è più prioritario, sostiene. «È abbastanza scioccante notare che negli INDC della Svizzera, il governo non abbia indicato come intende agire sul territorio nazionale», afferma Patrick Hofstetter. Il Consiglio federale ha comunicato di volersi basare «sulle strategie e le misure esistenti», come la tassa sul CO2 prelevata sui combustibili o il programma di risanamento degli edifici. Una bozza della sua politica climatica nazionale per il periodo 2021-2030 non sarà però pronta prima dell’anno prossimo.
Gli INDC della Svizzera sono chiari, trasparenti e ambiziosi, ribatte Bruno Oberle. Il direttore dell’UFAM rammenta che le emissioni pro capite sono sotto la media europea e che la produzione di elettricità (acqua e atomo) in Svizzera è oggi quasi a emissioni zero. «Anche per questi motivi il potenziale di riduzione della Svizzera è limitato», sottolinea.
10 giorni di trattative
A sei mesi dalla conferenza di Parigi, il negoziatore elvetico Franz Perrez si dice fiducioso. «Nella capitale francese si potrà concludere un accordo climatico con obblighi per tutti i paesi», si legge in una recente intervista al quotidiano bernese Der Bund.
Il tempo però stringe. Ai negoziatori rimangono soltanto dieci giorni di trattative ufficiali, in settembre e ottobre, per elaborare il testo che servirà da base per la storica intesa.
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Il governo svizzero vuole operare una grande svolta energetica e ridurre di almeno il 70% le emissioni di CO2 entro il 2050. Se l’obbiettivo è chiaro, il cammino rimane incerto. Il progetto di fiscalità ecologica, proposto dal Consiglio federale per raggiungere questo traguardo, non raccoglie consensi tra i maggiori partiti.
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