Contro le previsioni, il vincitore di queste elezioni europee è il tasso di partecipazioni. Qui dei votanti a Dresda, in Germania.
Keystone / Robert Michael
Le elezioni al Parlamento europeo non hanno condotto a un trionfo della destra nazionalista, nonostante il successo della Lega in Italia e di altre formazioni analoghe. Hanno però reso più instabili gli equilibri politici nell'Unione. E per la Svizzera i rapporti con l'UE potrebbero diventare più complicati. I commenti della stampa elvetica.
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Storico di formazione e grigionese di origine, mi interesso soprattutto di questioni politiche e sociali.
La stampa elvetica ha perciò seguito con attenzione i dibattiti elettorali e i pronostici della vigilia. Di fronte ai primi risultati del voto, buona parte dei commenti dei quotidiani elvetici (qui citiamo gli editoriali pubblicati online) concorda a grandi linee su una constatazione: il terremoto politico da molti evocato non c’è stato, ma il futuro appare incerto.
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“Sì, gli euroscettici della destra nazionalista hanno avuto successo in alcuni paesi, in particolare Francia, Italia e Germania”, scrive il quotidiano Neue Zürcher ZeitungCollegamento esterno (NZZ). “In altri paesi hanno però raggiunto i loro limiti, per esempio in Ungheria, nei Paesi Bassi e in Svezia; e i nemici britannici dell’UE, nonostante i loro successi, non avranno probabilmente un ruolo rilevante. L’incantesimo della super-alleanza degli euroscettici, evocata dal capo della Lega Matteo Salvini, è rotto.”
“I gruppi antiUE, al di là dei successi puntuali in alcuni dei 28 Paesi dell’Unione, controbilanciati da flop o delusioni in altri Stati, restano marginali nell’Europarlamento: liberali ed ecologisti avanzano molto più di loro”, osserva dal canto suo il Corriere del TicinoCollegamento esterno. Anche il quotidiano Tages AnzeigerCollegamento esterno, mentre mette in rilievo i successi della destra in alcuni paesi, relativizza nel contempo la portata della loro avanzata: “Non ci sono motivi per dichiarare il cessato allarme, ma neppure per cedere al panico.”
Cosa cambia per la Svizzera? L’analisi del giornalista della RSI Reto Ceschi:
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Fase ricca di incognite
La stampa elvetica constata però che il voto non scioglie i dilemmi in cui si dibatte l’Ue e apre anzi una fase ricca di incognite, in un Parlamento europeo più frammentato e in cui il Partito popolare europeo e i socialisti non raggiungono più la maggioranza assoluta.
“In campagna elettorale troppi politici dei partiti storici si sono limitati a esprimere un appassionato sostegno all’Europa e a condannare il populismo. Ma cosa vogliano fare esattamente nei prossimi cinque anni da parlamentari dell’UE e per quale sviluppo istituzionale vogliano impegnarsi è un tema rimasto generalmente in secondo piano”, scrive la NZZ.
“Il lavoro del Parlamento europeo non sarà più semplice, perché per la prima volta la ‘grande coalizione’ di conservatori e socialdemocratici, che finora formavano una sorta di cartello a Bruxelles, non dispongono più della maggioranza assoluta,” osserva il sito d’informazione WatsonCollegamento esterno, che tuttavia ritiene che la nuova costellazione possa anche condurre a un’evoluzione positiva. “[Conservatori e socialdemocratici] dovranno collaborare di più con i liberali e con i verdi. È questo può essere solo utile all’Europa.”
Frammentazione, ma buona partecipazione
“L’UE si trova in mezzo al guado”, afferma il Corriere del Ticino. “Non ha, probabilmente, né la forza per uscire dalle difficoltà in cui è stata portata dalla crisi della finanza e dei debiti sovrani, dalla successiva recessione e dalla questione migratoria; né la debolezza per implodere o naufragare sotto la spinta della contestazione mossa dai partiti e dai movimenti sovranisti, nazionalisti o populisti.”
Il Tages Anzeiger osserva che la nuova composizione del Parlamento europeo rispecchia l’eterogeneità e la frammentazione delle società dei paesi dell’UE: ” Trovare delle maggioranze diventerà più difficile, ma il Parlamento potrebbe diventare più politico. E questa non è la notizia peggiore di questa notte elettorale: in futuro si litigherà di più, a Bruxelles e Strasburgo”.
La stampa elvetica registra d’altro canto come segnale positivo il dato relativo alla partecipazione al voto, attestata sopra il 50% degli aventi diritto, per la prima volta in aumento da quarant’anni. “È forse troppo presto per constatazioni definitive, ma forse l’Europa ha messo fine alla deriva di disaffezione registrata negli ultimi decenni. Che sia amata o detestata, l’UE non lascia più indifferenti. È senza dubbio motivo di soddisfazione”, constata il quotidiano romando Le TempsCollegamento esterno.
Questioni di politica interna
Una lettura del voto europeo non può prescindere dal considerare il ruolo preponderante delle dinamiche politiche interne dei singoli Stati che compongono l’Unione, ricordano tuttavia vari commentatori. “Le elezioni per il Parlamento europeo seguono da sempre prima di tutto i dibattiti e le condizioni nazionali”, scrive la NZZ.
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Il quotidiano ticinese La RegioneCollegamento esterno definisce il voto “un Giano bifronte”: “Elezione per il parlamento dell’Unione europea, la nona della sua storia; ma una consultazione anche per le platee politiche nazionali. Due traiettorie, due dinamiche, che hanno trainato una mobilitazione, una partecipazione, che potrebbe risultare senza precedenti. Una logica del doppio volto che in parte complica la lettura dell’esito complessivo.”
E anche Watson nota che le elezioni europee sono state dominate da temi nazionali: “È nella natura delle cose. Le cittadine e i cittadini dell’UE si definiscono sempre ancora più in quanto membri della loro nazione che come europei.” Il sito online osserva però anche che si è trattato di una votazione ‘europea’, perché “mai dal primo svolgimento delle votazioni nel 1979 si è dibattuto in modo così intenso del futuro dell’idea europea.”
E la Svizzera?
Ma cosa significa questa elezione per la Svizzera? Sicuramente nei giorni e nelle settimane a venire le analisi e i commenti si sprecheranno.
Watson azzarda già qualche ipotesi: “Per la Svizzera si tratta di una notizia piuttosto cattiva nell’ambito del dibattito attorno all’accordo istituzionale. Al momento prevalgono le richieste di ulteriori trattative o addirittura di un nuovo negoziato. […] Ma le cose potrebbero andare male. Il presidente uscente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha fatto del dossier una questione da discutere ai vertici. Probabilmente non sarà più così per il suo successore. La Svizzera potrebbe scivolare verso il basso nella lista delle priorità di Bruxelles. E trovare molto meno comprensione con le sue richieste particolari.”
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La città celebra la settimana dell'Europa, mettendo al centro la figura dello scrittore Denis de Rougement
Nella città si apre venerdì la settimana dell'Europa. Al centro della manifestazione c'è la figura dello scrittore e filosofo Denis de Rougemont. A tre settimane dalle elezioni europee, gli europeisti svizzeri restano discreti in attesa delle elezioni federali di quest'autunno.
Nel centro di Neuchâtel sventolano stendardi europei. Non è una svista. Siamo entro i confini della Svizzera indipendente e neutrale. Fino a nuovo avviso, le ambigue relazioni tra Berna e Bruxelles non sono state ancora risolte nell'ambito dell'accordo quadro. E l'adesione della Svizzera all'Unione europea (UE) non è più attuale da tempo.
A tre settimane dalle elezioni continentali (23-26 maggio), gli svizzeri osservano ancora da lontano, nel ruolo di spettatori privilegiati, un'Europa che si interroga, scalpita, dubita e perde pezzi (Brexit). Questo fine settimana a Neuchâtel si fa l'occhiolino a coloro che in Svizzera, nonostante tutto, continuano a sognare, pensare e respirare in un'ottica europea. Anche se sono sempre meno presenti nell'arena pubblica.
Nel 1943, quando l'esercito russo fermò i nazisti a Stalingrado e il combattente della resistenza francese Jean Moulin fu arrestato nei pressi di Lione, lo scrittore neocastellano Denis de Rougemont (1906-1985), che insegnava all'Università francese in esilio a New York, evocava un destino universale per il Vecchio Continente: "Perché l'Europa è la memoria del mondo, perché ha tenuto in vita tanti passati, e conservare la presenza di tanti morti (…). Ha il controllo del futuro", scrisse mentre soggiornava oltreoceano.
La sua premonizione ha fatto dello scrittore nato a Couvet, in Val-de-Travers, uno dei più venerati pensatori del futuro concetto europeo. Questo pensiero riemerge ora a quasi 35 anni dalla morte dell'autore, grazie a una mostra all'Università di Neuchâtel che ripercorre lo straordinario percorso professionale di questo intellettuale ampiamente citato dai suoi pari.
"Un'altra Europa"
Mostrando il suo attaccamento a questo ideale vacillante, Neuchâtel non è ingenua. La settimana che le autorità locali dedicano al continente europeo è un invito esplicito a pensare a "Un'altra Europa". E allo stesso tempo, a ritrovare una maggiore solidarietà. Tre settimane prima delle elezioni europee, è possibile che l'appello sia ancora colto dai due milioni di persone in Svizzera in possesso di un passaporto europeo. Di cui 1,7 milioni sono in età di voto.
La città di Neuchâtel si impegna finanziariamente per circa 30'000 franchi per l'organizzazione di questa Settimana dell'Europa, in collaborazione con la Maison de l'Europe transjurassienne (Casa d'Europa transgiurassiana, MET), ultimo indirizzo in Svizzera di un'iniziativa risalente alla fine degli anni Quaranta, quando l'Europa a pezzi stava riparando i danni della guerra.
Proprio in quel momento, un movimento di cittadini ha dato vita alle Case d'Europa - semplici caselle postali o edifici ufficiali - per facilitare la riconciliazione fra i popoli martoriati da sei anni di combattimenti. Nel corso del tempo, queste associazioni sono diventate strumenti per decifrare i meccanismi dell'UE e ricordare le procedure elettorali.
Sensibilizzazione a Neuchâtel
Il neocastellano Jacques-André Tschoumy, fondatore dell'ultima Casa d'Europa ancora attiva in Svizzera - dopo i tentativi falliti di Ginevra e Zurigo - ricorda di aver attraccato la sua città a questa nave ammiraglia dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989.
La sua Maison de l'Europe, che dovrebbe servire da collegamento tra le istituzioni europee e i cittadini, l'anno prossimo festeggerà trent'anni di un'esistenza iniziata sulle macerie del comunismo.
Imperturbabile, la Maison continua la sua missione, con una cinquantina di membri. "Un'organizzazione la cui influenza contribuisce ad assicurare una forte presenza europea a Neuchâtel, città e cantone". L'iniziativa rinvia a un'idea una volta abbozzata e poi abbandonata: l'Europa delle regioni. "Era inoltre previsto che il Centro europeo di cultura, con sede a Ginevra, avesse un ufficio a Neuchâtel. Ma il progetto alla fine è fallito", ricorda Tschoumy.
La città di Neuchâtel è già impegnata in diversi programmi europei (parlamento dei giovani, settimana della democrazia locale) gestiti dal Consiglio d'Europa a Strasburgo, che tra pochi giorni celebrerà il suo 70° anniversario. Dal canto suo, la MET intrattiene relazioni regolari (scambi di informazioni sul programma Erasmus, ad esempio) con l'omologa istituzione di Besançon, nella vicina Francia, le cui attività si estendono fino alla Borgogna.
Neuchâtel e Besançon sono già gemellate da quasi 45 anni. "Con la nostra settimana dell'Europa, Neuchâtel gioca la carta della sua apertura al mondo", afferma Thomas Facchinetti, il direttore comunale responsabile per la cultura e l'integrazione. "La città ha svolto un ruolo pionieristico nel concedere il diritto di voto agli stranieri già a metà del XIX secolo", sottolinea.
Maggiore isolamento
Ma cosa rimane dell'ideale europeo visto dalla Svizzera 27 anni dopo la "domenica nera" di Jean-Pascal Delamuraz, il giorno in cui la Svizzera ha detto no allo Spazio economico europeo il 6 dicembre 1992? "Di fronte all'ascesa di regimi autoritari (negli Stati Uniti, in Russia, Turchia e Brasile), gli svizzeri stanno attualmente riscoprendo il valore dell'integrazione europea", sostiene François Cheirix, co-presidente del Nuovo movimento europeo Svizzera (NOMES), piuttosto assente dal dibattito per diversi mesi.
Secondo lui, l'adesione all'UE, un argomento passato di moda, richiederebbe solo di essere risvegliato. "Sarebbe sufficiente che gli svizzeri scoprissero che lo spazio tra paesi terzi e Stati membri dell'UE si è ridotto. La Svizzera potrebbe dover scegliere tra un isolamento sempre maggiore - soprattutto se il progetto di accordo quadro viene abbandonato - e l'eventuale adesione. In questo caso, il dibattito riprenderà vigore", avverte.
In ogni caso, il NOMES si sta preparando per le elezioni federali di questo autunno. "Ci metteremo tutta la nostra energia, perché la maggior parte degli attori politici ha eliminato questo tema dai loro discorsi semplicemente per opportunismo", conclude François Cheirix.
Progetto multinazionale
Al Forum per la politica estera foraus di Ginevra, il tema è affrontato con maggiori sfumature: "La questione non è se vogliamo unirci oggi, ma se vogliamo partecipare in modo costruttivo a un progetto multinazionale", ad esempio per combattere il riscaldamento globale o comprendere meglio i flussi migratori, spiega Darius Farman, responsabile del dossier Europa.
"Questo è il punto centrale del dibattito sull'accordo quadro: creare una piattaforma di cooperazione con Bruxelles da cui sviluppare insieme delle soluzioni". Già il 19 maggio, in occasione del voto sulla riforma della legge sulle armi, l'attaccamento del popolo svizzero allo spazio di Schengen sarà messo alla prova.
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