Embarghi, la mano pesante per promuovere la pace
Dalla fine della Guerra fredda, le Nazioni unite hanno moltiplicato l’uso di sanzioni contro singoli paesi. Spesso a farne le spese è soprattutto la popolazione. Assieme ad altri paesi, la Svizzera promuove sanzioni più mirate, per ridurre gli effetti negativi dal profilo umanitario.
Non sono una dichiarazione di guerra, ma neppure una nota diplomatica. Gli embarghi decretati dalla comunità internazionale si trovano spesso a metà strada tra questi due interventi.
Per il governo svizzero corrispondono “all’imposizione di misure (economiche) destinate a produrre un determinato effetto politico”, precisa Marie Avet, portavoce della Segreteria di Stato dell’economia.
Iscritte nella Carta delle Nazioni Unite dal 1945, queste sanzioni sono notevolmente aumentate dalla fine della Guerra fredda. Tra i paesi maggiormente colpiti negli ultimi vent’anni figurano Iraq, Iran, Libia, Ruanda, Sudan e Corea del Nord.
“Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e gli Stati decidono quali sanzioni si applicano a seconda dei problemi specifici, come il terrorismo, le violazioni dei diritti umani, la mancata applicazione dello Stato di diritto o dei principi democratici”, osserva Marie Avet. Secondo la portavoce, “alcuni embarghi sono più mediatizzati di altri, ciò non significa però che siano anche più rilevanti”.
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“Le sanzioni non devono colpire le persone sbagliate”
Risultati contrastanti
Nel corso dell’ultimo decennio, la Svizzera ha partecipato a 20 embarghi internazionali. “Di questi, 14 sono stati decretati dall’ONU e 6 dall’UE. In tre casi – Iran, Libia e Guinea Bissau – le sanzioni applicate dalla Svizzera rientravano nell’ambito di embarghi decretati nel contempo dall’ONU e dall’UE”, indica Marie Avet.
Gli embarghi internazionali hanno dato finora risultati contrastanti. Si reputa che le sanzioni adottate contro il Sudafrica abbiano contribuito ad accelerare la fine dell’apartheid. In altri paesi africani hanno favorito la caduta di regimi dittatoriali.
L’embargo decretato nel 1990 contro l’Iraq non è invece servito ad indebolire il potere di Saddam Hussein, mentre la sua popolazione è stata messa a dura prova in seguito alla carenza di cibo e di medicinali. Nel 2007, quasi 2 milioni di iracheni ne soffrivano le conseguenze.
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Gli embarghi servono a qualcosa?
Crescente sostegno
Tenendo anche conto di queste esperienze, già molti anni fa la Svizzera e altri paesi europei hanno deciso di impegnarsi per ridurre l’impatto degli embarghi internazionali sulle popolazioni e, nel contempo, rafforzare i loro obbiettivi specifici.
Nel 1999 i governi di Svizzera, Svezia e Germania avevano lanciato una serie di conferenze per studiare le possibilità di migliorare l’attuazione e l’efficacia delle sanzioni internazionali, compresi gli embarghi sulle armi, ricorda Peter Wallensteen, docente presso il Centro di ricerche sulla pace e i conflitti di Uppsala, in Svezia.
Secondo Thomas Biersteker, professore di scienze politiche e relazioni internazionali presso il Graduate Institute di Ginevra, sanzioni mirate – quali il congelamento dei fondi di dittatori o il veto alle esportazioni di armi – vengono sostenute da un crescente numero di paesi e sono diventate un elemento chiave della diplomazia multilaterale.
Al di là delle misure adottate nel quadro delle Nazioni Unite, vi sono anche embarghi decretati da uno Stato contro l’altro.
Tra questi, il più noto è probabilmente quello applicato dagli Stati uniti nei confronti di Cuba, in vigore da oltre mezzo secolo.
Secondo il governo cubano, questo embargo è la principale causa dei problemi economici che assillano l’isola e ha già provocato perdite per 108 miliardi di franchi.
Dopo la fine della Guerra fredda, le sanzioni americane sono state considerate da più parti insensate. Secondo la Casa Bianca, servirebbero a spingere più in fretta Cuba verso riforme politiche ed economiche.
Il presidente americano Barack Obama si è detto disposto a riesaminare l’embargo, a condizione che le autorità cubane diano prova di maggior rispetto dei diritti umani.
Da notare che delle sanzioni vengono applicate dagli Stati uniti anche nei confronti delle ditte americane o di qualsiasi altro paese che intrattengono relazioni con Cuba.
Sanzioni “intelligenti”
In un saggio pubblicato nel 2012, Biersteker sostiene che le sanzioni “intelligenti” possono effettivamente servire a combattere il terrorismo, frenare i conflitti armati, consolidare l’attuazione dei processi di pace, promuovere i diritti umani e prevenire la proliferazione delle armi di distruzione di massa.
L’esperto avverte tuttavia che l’impatto reale, a livello economico e umanitario, non è stato ancora chiarito. Anche la Seco riconosce che non esiste ancora nessuno strumento in grado di misurare gli effetti delle sanzioni internazionali.
Grazie al sostegno di Svizzera, Gran Bretagna e Canada, Bierstecker ha dato avvio ad un vasto studio nel 2009, volto a chiarire l’impatto delle sanzioni decretate finora dalle Nazioni unite. Lo studio si sofferma sulla situazione in una ventina di paesi, tra cui Corea del Nord, Iran, Liberia, Angola, Costa d’Avorio e Afghanistan.
Il rapporto finale si trova in preparazione e dovrebbe essere pubblicato prossimamente. Gli autori prevedono inoltre dei corsi su questo tema per degli specialisti.
“La sfida sarà di mantenere aggiornati i nostri dati, dal momento che le sanzioni internazionali provocano continui cambiamenti della situazione”, indica Biersteker.
Traduzione e adattamento di Armando Mombelli
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