La democrazia diretta vola in ogni caccia dell’esercito svizzero
Se l'esercito vuole nuovi aerei da combattimento, il popolo ha l'ultima parola: la possibilità per l'elettorato di decidere in materia di armamenti del Paese è una peculiarità svizzera. Ma un altro aspetto è forse ancor più sorprendente: praticamente tutte le decisioni democratiche sulla difesa nazionale hanno rafforzato l'esercito elvetico.
In Svizzera il 27 settembre si voterà su un credito di sei miliardi di franchi per l’acquisto di nuovi caccia. Poco importa il tipo di aviogetto con cui l’esercito vuole garantire la sicurezza dei cieli sopra il Paese alpino: nessun altro oggetto ha avuto un ruolo così rilevante nella democratizzazione della politica di sicurezza svizzera degli ultimi decenni come i costosi aerei da combattimento.
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Dal 1977 il popolo svizzero ha votato per ben 24 volte su questioni riguardanti l’esercito. La maggior parte delle votazioni si è decisa nell’ambito del classico schema sinistra-destra. Non è quasi più concepibile che la Svizzera possa procedere all’acquisto di nuovi aerei da combattimento senza che questo passi dalle urne. In quest’ottica, si può dire che la democrazia diretta vola oggi su ogni aviogetto militare svizzero.
Dal 1848 i cittadini svizzeri – e dal 1971 anche le cittadine – hanno votato circa 45 volte su questioni inerenti all’esercito. Si tratta di un abbondante 7% di tutti i 630 quesiti sottoposti al verdetto delle urne federali.
“Fino alle votazioni sulle armi atomiche svizzere, all’inizio degli anni Sessanta, si trattava di scrutini su referendum costituzionali e legislativi fondamentali che per lo più andavano nel senso voluto dai vertici dell’esercito”, dice lo storico militare Rudolf Jaun.
Dalla fine degli anni ’70 in poi, i temi riguardanti l’esercito hanno cominciato ad aumentare.
Negli anni ’80, cerchie della sinistra e dello spettro pacifista critici hanno lanciato diverse iniziative e referendum.
L’iniziativa “per la protezione delle paludi”, detta anche “iniziativa Rothenthurm”, votata nel 1987, e l’iniziativa “per una Svizzera senza esercito e per una politica globale di pace”, nel 1989, hanno posto le basi per la democratizzazione della politica di sicurezza svizzera.
Grande interesse pubblico
Eppure, questo corso è relativamente recente. È stato avviato nel 1993 e nel 2014: le votazioni sull’iniziativa popolare “Per una Svizzera senza nuovi aviogetti da combattimento” e sul referendum contro l’acquisto dei caccia Gripen hanno attirato alle urne oltre il 55% dell’elettorato. Questi livelli di partecipazione sono tra i più alti degli ultimi 50 anni, osserva Diane Porcellana, responsabile del settore politica di sicurezza presso Année Politique Suisse, il centro di ricerca dell’università di Berna sullo sviluppo della democrazia in Svizzera.
“Queste due mobilitazioni riflettono un forte interesse pubblico ad esprimere la propria opinione sull’acquisto di nuovi aerei da combattimento. Sarebbe quindi stato delicato non consentire al popolo di decidere sull’attuale progetto”, dice la politologa.
Sei anni fa, la maggioranza dei votanti aveva silurato il Gripen svedese. L’analisi VOX sul voto aveva poi confermato che i costi e la scelta del modello avevano contribuito al rifiuto, ricorda Diane Porcellana. Ora il governo ha fatto in modo che il popolo voti solo su un “assegno in bianco” di sei miliardi di franchi per il rinnovo della flotta aerea militare. Supponendo che il 27 settembre dalle urne elvetiche esca un sì, sarà in seguito competenza degli esperti scegliere il modello.
Questo approccio comporta sia opportunità che rischi, rileva Diane Porcellana. “Consultando il popolo solo sull’importo del credito, se approvato, il Consiglio federale garantisce almeno il finanziamento del rinnovo delle Forze aeree”.
Secondo la politologa, l’esclusione del modello di aviogetto dal voto popolare, tuttavia, potrebbe anche aumentare il rischio di un no. Al contrario, però, una parte dell’elettorato potrebbe anche essere sollevata dal fatto di lasciare questa decisione specifica agli esperti.
Interpretazioni diverse
Le votazioni sui caccia fanno parte della già citata “serie” di 24 voti su questioni riguardanti l’esercito negli ultimi 40 anni circa. “La democratizzazione della politica di sicurezza – così come quella della politica estera – non era affatto l’obiettivo delle autorità”, afferma Marc Bühlmann, responsabile di Année Politique Suisse. Al contrario, prosegue il politologo, la situazione potrebbe diventare spinosa se il popolo interferisse troppo in queste competenze fondamentali della Confederazione.
Rudolf Jaun, autore tra l’altro del libro “Storia dell’esercito svizzero”, vede le cose in modo diverso. “La democrazia svizzera non esclude nessun campo politico, quindi la partecipazione è auspicata”, dice il professore emerito di storia contemporanea e militare all’università di Zurigo.
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Decisioni popolari favorevoli all’esercito
Uno sguardo retrospettivo ai risultati, mostra che, nonostante l’aumento della partecipazione popolare alle decisioni riguardanti questioni militari, per le autorità non vi è motivo di preoccupazione. “Solo quattro decisioni sono andate contro il governo e il parlamento”, rammenta Bühlmann. Più precisamente sono stati:
- il summenzionato voto sui “Gripen” (2014),
- il sì all’iniziativa di Rothenthurm, che ha impedito la costruzione di una piazza d’armi in una zona palustre protetta (1987),
- il no ai caschi blu dell’ONU svizzeri (1994),
- il no – motivato dal federalismo – all’abolizione della competenza cantonale in materia di equipaggiamento personale militare (1996).
Voto storico del GSsE
Per Marc Bühlmann, l’iniziativa del 1989 “Per una Svizzera senza esercito e per una politica di pace globale”, la cosiddetta “iniziativa GSsE” (dal nome del movimento che l’ha lanciata, il Gruppo Svizzera senza Esercito), svolge un ruolo particolare in questa democratizzazione. “Certo, solo il 35,6% ha votato sì all’epoca. Ma l’iniziativa GSsE ha innescato molte riforme e ha smosso tantissime cose”, afferma il professore di scienze politiche dell’università di Berna. È un esempio di come un’iniziativa popolare possa avere successo anche senza una vittoria alle urne, commenta.
“È vero che l’abolizione è stata chiaramente respinta. Ma il modo parzialmente carnevalesco della campagna elettorale del GSsE ha infranto un tabù. L’esercito era irrevocabilmente diventato oggetto di abolizione”, rileva dal canto suo Rudolf Jaun. Egli si riferisce anche al carattere dell’iniziativa: un’utopia di pace alla fine della guerra fredda
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“Svolta” nella politica di sicurezza svizzera
L’esperto di storia militare svizzera colloca già due anni prima la “svolta” democratica nella politica di sicurezza: nel 1987, con il sorprendente sì del popolo svizzero all’iniziativa Rothenthurm e il no a quella per il referendum sulle spese militari. Esse hanno segnato l’inizio di una battaglia fondamentale sull’esercito svizzero, afferma Jaun. “A quel tempo è cominciata una campagna populista di sinistra contro l’esercito: doveva essere abolito o fatto morire lentamente di fame”.
Questo può essere interpretato come un “pericolo”, perché si è cercato di minare populisticamente i progetti di legge e le risoluzioni parlamentari.
“Il GSsE non ce l’ha fatta nemmeno con altre rivendicazioni: nel 1993 ha fallito con l’iniziativa popolare per impedire l’acquisto di caccia F/A-18 e nel 2001 con la seconda iniziativa per l’abolizione dell’esercito. “Dopo di che, il GSsE e la sinistra sono passati al ritiro delle risorse per l’esercito con mezzi democratici e tramite lo scandalo mediatico”, dice Rudolf Jaun.
Messa a nudo l’essenza della democrazia
Nonostante il bilancio negativo alle urne, il GSsE ha svolto un ruolo importante nell’unicità della Svizzera in materia di decisioni popolari sulla politica di sicurezza. Nel 1989, la “vacca sacra” – ossia l’esercito – non è stata macellata, ma è stata demistificata.
Al contempo, secondo Marc Bühlmann, è aumentato il sostegno all’esercito tra la popolazione: questa tendenza è confermata dagli studi annuali sulla sicurezza condotti dal Politecnico di Zurigo, spiega il professore.
In tal modo, i progetti dell’esercito rivelano un elemento centrale della democrazia diretta: con le sue decisioni, il popolo a volte è un tormento per governo, parlamento e autorità. A lungo termine, tuttavia, le “snervanti” decisioni popolari contribuiscono ad aumentare la fiducia, la soddisfazione, la sicurezza e la stabilità nel Paese.
Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi
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