Fondi congelati: la restituzione è ancora lontana
La democrazia in Tunisia e Egitto stenta a decollare. Ma anche la procedura di restituzione degli averi di Ben Ali e Mubarak depositati in Svizzera prosegue a rilento. È forse colpa dell’apparato giudiziario elvetico?
Dopo la rivoluzione e la caduta dei rispettivi uomini forti, i due paesi nordafricani stanno cercando di ritrovare una certa stabilità politica.
Vogliono anche fare luce sui fondi sottratti illecitamente e depositati nelle banche svizzere da parte dei loro ex presidenti. A questo proposito, le autorità del Cairo e di Tunisi hanno trasmesso una richiesta di assistenza giudiziaria per la restituzione degli averi alla Confederazione.
A metà aprile, la Svizzera ha però temporaneamente respinto ambedue le domande, giudicandole non sufficientemente motivate e troppo sommarie. Nel contempo, la Confederazione ha incaricato specialisti elvetici di rogatorie di aiutare le autorità tunisine ed egiziane a formulare le richieste.
L’aiuto elvetico avrà il compito di permettere ai due paesi di superare il «muro burocratico impenetrabile» costituito dalle normative svizzere, afferma a swissinfo.ch Hasni Abidi, direttore del Centro di studi e di ricerche sul mondo arabo e mediterraneo di Ginevra.
«La Svizzera chiede all’Egitto di allegare alla richiesta dei documenti introvabili per dare inizio alla procedura di assistenza. Anche la Tunisia si trova confrontata con lo stesso problema», spiega Abidi.
Non c’è fretta
«Tunisia e Egitto non erano degli Stati di diritto. Erano dei paesi retti da dittatori e non conoscono quindi tali procedure. Dobbiamo perciò aiutarli. Per il Cairo e Tunisi, questa sarà un’ottima occasione per impratichirsi», illustra a swissinfo.ch l’avvocato di origine tunisina Ridha Ajmi.
Ajmi giudica dunque giustificate le richieste rivolte ai due Stati dalle autorità elvetiche, sottolineando nel contempo che i due paesi avranno difficoltà a formulare domande conformi alle normative elvetiche.
Ricorda inoltre che «le autorità tunisine si stanno prendendo del tempo. La volontà politica è carente. In Egitto, la situazione è leggermente migliore, ma certo non è sufficiente».
Al momento, i due Stati sono governati dall’esercito, che fino a poco tempo fa appoggiava l’ex regime e che ora non vuole accelerare questa procedura. All’esercito, quindi, l’opinione pubblica non interessa molto, afferma Ajmi.
La forza della voce pubblica
E proprio una maggiore pressione da parte dell’opinione pubblica potrebbe sollecitare le autorità dei due Stati nordafricani a stringere i tempi verso una soluzione della questione degli averi illeciti.
«I tunisini e gli egiziani non sono molto bene informati su questa procedura. È chiaro, inoltre, che al momento le autorità politiche hanno altri problemi da risolvere. Non va tuttavia dimenticato che traggono dei vantaggi a non fare nulla», sostiene Ajmi.
«Dobbiamo accrescere la voce pubblica e aumentare la pressione», ribadisce l’avvocato tunisino. Ridha Ajmi si augura poi che l’elezione di un nuovo governo faccia avanzare in fretta le pratiche, visto che dovrà rispondere all’elettorato.
Non solo successi
La Svizzera ha inviato esperti in Tunisia e Egitto per aiutare i due Stati a formulare delle richieste conformi al diritto elvetico e «a condurre le necessarie procedure penali al fine di dimostrare l’origine illecita dei beni congelati», illustra a swissinfo.ch il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).
A questo proposito, in febbraio, un rappresentate dell’Ufficio federale di giustizia si è recato a Tunisi. E anche con il Cairo sono previsti prossimamente dei colloqui. Non è tuttavia la prima volta che la Svizzera invia suoi specialisti di rogatorie in altri paesi. In passato, esperti elvetici si sono recati in Nigeria e nella Repubblica democratica del Congo.
Grazie agli sforzi delle autorità elvetiche, in quindici anni è stato possibile restituire approssimativamente 1,7 miliardi di franchi. Fra i paesi beneficiari di questo impegno ci sono stati, per esempio, Perù, Filippine, Nigeria, Angola, Kazakistan e Messico.
Ma non tutti i casi sono stati coronati da successo, specialmente quando è mancata la volontà politica di farlo, sottolinea il DFAE. Per esempio, a causa della carente collaborazione della Repubblica democratica del Congo non è stato possibile restituire i capitali di Mobutu allo Stato africano.
Alcuni capi di Stato e alti funzionari (persone politicamente esposte, PPE) che si arricchiscono illegalmente, sottraendo ingenti capitali allo Stato e ostacolando lo sviluppo del loro paese, versano spesso i “fondi di potentati” su piazze finanziarie internazionali al di fuori del loro paese.
La Svizzera ha lanciato diverse iniziative per promuovere una procedura coordinata a livello internazionale per impedire l’afflusso di questo denaro, bloccare i valori patrimoniali di provenienza delittuosa e rimborsare i legittimi proprietari.
La strategia elvetica si basa in particolare su alcuni pilastri: identificare la provenienza del denaro, denunciare le transazioni sospette, favorire l’assistenza giudiziaria con i paesi di provenienza.
Il 19 gennaio 2011, la Svizzera ha congelato i fondi dell’ex presidente tunisino Ben Ali e di quaranta persone del suo entourage. Il Consiglio federale ha deciso questa misura a cinque giorni dalla caduta dell’uomo forte tunisino.
Si stima che nelle banche elvetiche siano stati depositati circa 620 milioni di dollari, ossia 555 milioni di franchi.
In febbraio anche i conti dell’ex rais egiziano Hosni Mubarak e dei suoi familiari sono stati bloccati. In questo caso, l’importo dovrebbe ammontare a circa 70 miliardi di dollari, cioè 61 miliardi di franchi.
I conti dei due uomini forti e delle loro cerchie saranno congelati per un periodo di tre anni. Se sarà provata la provenienza illecita degli averi, la Confederazione e gli Stati a cui sono stati sottratti i soldi dovranno elaborare un piano per la loro restituzione.
Nel caso in cui né Tunisia né Egitto dovessero richiedere assistenza giudiziaria alla Svizzera, il governo elvetico potrebbe far capo alla Legge federale sulla restituzione dei valori patrimoniali di provenienza illecita di persone politicamente esposte (LRAI), la cosiddetta Lex Duvalier, entrata in vigore il 1° febbraio 2011.
(traduzione e adattamento dall’inglese, Luca Beti)
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