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Giornata storica per la Palestina

Le gigantografie di Abbas hanno ricoperto numerosi edifici della Cisgiordania, come a Hebron Keystone

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato giovedì sera la risoluzione che riconosce la Palestina come Stato osservatore non membro dell’organizzazione. Come altri 137 Stati membri, la Svizzera ha votato a favore.

Esattamente 65 anni dopo il voto sulla spartizione della Terra Santa in due Stati (era il 29 novembre del 1947), l’Assemblea generale ha approvato la risoluzione fortemente voluta dal presidente dell’ANP Mahmud Abbas con 138 voti a favore, 9 contrari e 41 astensioni.

«Crediamo che concedere lo statuto di osservatore all’ONU alla Palestina ravviverà il concetto di una soluzione dei due Stati», ha dichiarato l’ambasciatore svizzero all’ONU Paul Seger dopo il voto. Intervenendo davanti all’Assemblea generale, Seger ha spiegato che con il suo sì la Svizzera vuole rimettere in moto il processo di pace, attualmente a un punto morto. Un obiettivo sottolineato anche dal segretario generale dell’ONU Ban ki-Moon: «È giunta l’ora di rianimare il processo di pace».

«La Palestina crede nella pace e il voto di oggi è l’ultima chance per salvare la soluzione dei due Stati», ha affermato dal canto suo Abbas a New York, chiedendo all’Assemblea di dare alla Palestina «un certificato di nascita» come Stato.

Un sì importante

Un certificato che non dà alla Palestina solo diritti, ma anche doveri, ha rilevato l’ambasciatore svizzero. Uno Stato osservatore deve ad esempio astenersi dal ricorso alla minaccia o all’impiego della forza. Questo statuto permette inoltre ai palestinesi di aderire a varie convenzioni internazionali, come quella sulla protezione dei diritti dell’uomo e alla lotta al terrorismo, e di ricorrere alla giustizia internazionale.

Il voto svizzero non significa però che Berna si impegna a riconoscere la Palestina come Stato a livello bilaterale, ha ancora precisato Seger.

In un’intervista pubblicata venerdì da Le Temps, l’ambasciatore palestinese all’Unesco, Elias Sanbar, sottolinea l’importanza del sì elvetico. «Il fatto che un paese che ha per dogma fondamentale la sua neutralità non si astenga, mostra a che punto la domanda palestinese fosse diventata un’evidenza. […] La Svizzera rappresenta un solo voto, ma questo suo voto ha una eco enorme, a causa della neutralità».

Giubilo in Cisgiordania, moderazione a Gaza

Il sì dell’ONU è stato accolto con scene di giubilo in Cisgiordania. Nella Striscia di Gaza, l’avvenimento ha destato reazioni più moderate. La leadership di Hamas si è tenuta piuttosto in disparte, ma ha comunque ammesso che il voto sulla Palestina rappresenta uno sviluppo positivo.

«L’ANP – ha dichiarato Ghazi Hamad, dirigente del movimento che controlla la Striscia – deve però capire che, dopo 20 anni di negoziati, occorre pure rilanciare la lotta contro l’occupazione. E per farlo bisogna puntare alla riconciliazione palestinese, recuperare l’unità nazionale. Se non vi riusciremo, anche la risoluzione dell’ONU sarà spazzata via».

Occidente diviso

Il sì alla Palestina ha consegnato alla storia un mondo occidentale diviso, con gli Stati Uniti al fianco di Israele a dire no e i paesi europei presentatisi all’appuntamento in ordine sparso. Tra gli Stati dell’UE, 14 hanno votato a favore (tra cui Italia e Francia), 12 si sono astenuti (tra le schede bianche spiccano quelle di Germania e Gran Bretagna) e uno – la Cechia – ha votato no.

Per Israele, la sconfitta è stata piuttosto cocente, anche se varie fonti governative hanno insistito a più riprese sul fatto che all’ONU i palestinesi beneficiano sempre di una maggioranza automatica. Questa volta, però, al fianco dello Stato ebraico è rimasto solo uno sparuto gruppo: Stati Uniti, Canada, Cechia, Panama e un pugno di isolotti del Pacifico.

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha utilizzato parole molto dure dopo l’intervento di Abbas, definito «ostile e velenoso», e ha avvertito che il voto sulla Palestina «non modificherà alcunché sul terreno» e neppure permetterà di avvicinarsi alla costituzione di uno Stato vero. «Anzi, la allontanerà», ha messo in guardia Netanyahu.

Perché questo avvenga – ha ricordato il premier – ci sono da parte israeliana almeno tre condizioni fondamentali: il riconoscimento di Israele come Stato del popolo ebraico; la proclamazione della fine del conflitto; il beneplacito all’adozione di misure di sicurezza per Israele. «Di tutto ciò non si fa menzione nella risoluzione sottoposta all’ONU. Per cui ci opponiamo».

La segretaria di Stato americana Hillary Clinton ha dal canto suo definito il voto «controproducente» e che «pone nuovi ostacoli alla pace».

29 novembre 1947: l’Assemblea generale dell’ONU adotta la risoluzione 181 sulla partizione della Palestina e la creazione di due Stati, uno ebraico e l’altro arabo, con Gerusalemme sotto controllo internazionale. Il piano è respinto dai paesi arabi.

1964: nasce l’Organizzazione di liberazione della Palestina (OLP).

1974: l’Assemblea generale dell’ONU riconosce il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e all’indipendenza. Accorda all’OLP uno statuto di osservatore.

1988: l’OLP in esilio ad Algeri proclama uno Stato palestinese indipendente, che viene riconosciuto da oltre un centinaio di paesi.

1994: in seguito agli accordi di Oslo, Yasser Arafat costituisce a Gaza l’Autorità palestinese, di cui viene eletto presidente nel 1996.

2002: risoluzione 1397 del Consiglio di sicurezza, che menziona per la prima volta lo Stato palestinese.

2010: nel corso di una riunione araba a Sirte (Libia) il dirigente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) espone una serie di alternative ai negoziati di pace bloccati. Tra queste: la domanda di adesione all’ONU di uno Stato palestinese sulla base dei confini del 1967.

26 giugno 2011: Abbas annuncia la decisione di chiedere in settembre l’adesione dello Stato palestinese alle Nazioni Unite.

29 novembre 2012: con 138 voti a favore, nove contrari e 41 astensioni, l’Assemblea generale dell’ONU approva la risoluzione per concedere lo statuto di Stato osservatore alla Palestina.

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