Criminali di guerra presto alla sbarra
In Svizzera, nei prossimi mesi si terrà il primo processo internazionale per crimini di guerra in un tribunale non militare. L’ong elvetica TRIAL International indica che i casi trattati utilizzando lo strumento della “giurisdizione universale” sono in aumento, anche se sono ancora troppo pochi.
Il processo tanto atteso dell’ex capo dei ribelli liberiani Alieu Kosiah, previsto in aprile presso il Tribunale penale federale a Bellinzona, è stato rimandato a causa della crisi del coronavirus. Il presunto criminale di guerra sarà probabilmente chiamato alla sbarra ancora nel 2020. Valérie Paulet, redattrice del recente rapporto sulla giurisdizione universale di TRIAL InternationalCollegamento esterno, si augura che grazie a questo procedimento penale l’unità per il perseguimento dei crimini internazionali del Ministero pubblico della ConfederazioneCollegamento esterno (MPC) operi in futuro con maggiore determinazione.
“Il fatto che Alieu Kosiah venga finalmente processato è incredibile. Stiamo aspettando questo momento da sei anni”
Valérie Paulet, TRIAL International
“Spero che il processo si svolga a porte aperte e che sia seguito dai media. Ciò dovrebbe motivare l’unità a indagare e a mandare a giudizio i criminali”, afferma Paulet a swissinfo.ch. “Il fatto che Alieu Kosiah venga finalmente processato è incredibile. Stiamo aspettando questo momento da sei anni. Era ora”.
Kosiah, un ex comandante del Movimento Unito di Liberazione della Liberia (ULIMO) è accusato di crimini di guerra commessi durante la prima guerra civile in Liberia (1989-1996), tra cui atti di violenza sessuale, omicidi, cannibalismo, reclutamento di bambini-soldato e lavoro forzato di civili in condizioni disumane.
L’ex leader dei ribelli è stato arrestato in Svizzera nel novembre 2014 e da allora si trova in custodia cautelare.
Alieu Kosiah è finito dietro le sbarre in seguito alla denuncia per crimini di guerra, depositata a nome di cittadini liberiani da vari avvocati, tra cui il direttore di Civitas MaximaCollegamento esterno, una ong svizzera, utilizzando lo strumento legale noto come la “giurisdizione universale”. Come altri Paesi, nel 2011 la Svizzera ha modificato la sua legislazione nazionale per accogliere il principio della “giurisdizione universale” grazie a cui è possibile processare persone di qualsiasi nazionalità sospettate di “crimini internazionali” (genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità) commessi ovunque nel mondo.
Dal gennaio 2017, anche l’ex ministro degli interni del Gambia Sonko è in custodia cautelare in Svizzera in seguito a una denuncia di tortura e di crimini di guerra inoltrata dalla sezione svizzera di TRIAL International.
200 persone sospettate presto alla sbarra?
Gli avvocati per i diritti umani e le organizzazioni non governative come TRIAL sono in prima linea nella promozione dei casi di giurisdizione universale per l’attribuzione di responsabilità per gravi crimini, specialmente quelli commessi in Paesi dove il sistema giudiziario è carente. Per il momento, la Liberia non ha chiamato nessuno a rispondere dei crimini commessi durante la guerra civile. Finora alcuni Paesi europeiCollegamento esterno hanno arrestato i presunti criminali in base al principio della giurisdizione universale.
Stando al rapporto TRIAL, lo strumento della giurisdizione universale sta guadagnando terreno in tutto il mondo, favorendo una crescita “esponenziale” dei casi. Sulla base dei dati del 2019, in 16 Paesi sono in corso procedimenti giudiziari, undici imputati sono attualmente sotto processo e “oltre 200 persone sospettate potrebbero essere chiamate presto alla sbarra”. A livello globale, il numero di indagati sulla base della giurisdizione universale è di 207, con un aumento del 40 per cento rispetto al 2018.
Valérie Paulet di TRIAL indica che questa evoluzione è iniziata nel 2015 con il massiccio afflusso di migranti in Europa, tra i quali c’erano anche “molti testimoni, vittime e presunti colpevoli”. Molti Paesi europei stanno svolgendo delle indagini. Francia e Germania cooperano nella raccolta delle prove e hanno creato un’unità per il perseguimento dei criminali di guerra.
“La Svizzera si sta occupando di vari casi, molti dei quali sono stati segnalati dal TRIAL International”, dice Paulet. “Sono casi molto importanti, ma temo che il Ministero pubblico della Confederazione non stia indagando a sufficienza. La Svizzera non è proprio un esempio da seguire”.
Altri sviluppi
Perché l’unità svizzera per i crimini di guerra è inconcludente
Risorse limitate e scarsa volontà politica
Le ong e altri attori accusano l’unità per il perseguimento dei crimini di guerra in seno all’MPC di essere inconcludente. La responsabile dell’unità sostiene di non disporre di sufficienti risorse e che ci sono state pressioni politiche dall’alto, soprattutto nei casi di “persone politicamente esposte”. Nell’aprile 2018, i relatori speciali dell’ONU sulla tortura e sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati hanno scritto al governo svizzero per esprimere la loro preoccupazione nei confronti delle affermazioni secondo cui l’MPC sarebbe stato sottoposto a pressioni politiche da parte del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), in particolare per quanto riguarda l’ex ministro della difesa algerino Khaled Nezzar e Rifaat Al-Assad, zio dell’attuale presidente siriano.
In una risposta scrittaCollegamento esterno, il ministro degli esteri elvetico Ignazio Cassis ha ribattuto alle accuse, indicando che la “Svizzera dà grande importanza alla lotta contro l’impunità, in particolare per i crimini che rientrano nella sfera della legge internazionale”. A distanza di due anni non si registrano però progressi sostanziali in questi due casi. Secondo Paulet, per Nezzar è stato sentito finora un solo testimone. Per quanto riguarda Sonko, l’attivista della ong TRIAL non sa quando si terrà il processo.
Il Ministero pubblico della Confederazione non ha voluto rilasciare alcuna intervista a swissinfo.ch, ma in una risposta scritta ha indicato che le indagini sono tuttora “in corso”. Per quanto riguarda Sonko, l’MPC fa sapere che “l’indagato è ancora in carcere e che il procedimento penale continua”. Inoltre, ricorda che segue molto da vicino ciò che sta accadendo nei vari Paesi e in altre giurisdizioni. In questo momento, una Commissione di verità, riconciliazione e riparazioneCollegamento esterno (Truth, Reconciliation and Reparations Commission TRRC) sta raccogliendo materiale e testimonianze intorno al caso Sonko in Gambia. Stando a TRIAL, “la documentazione della TRRC è stata trasmessa al procuratore federale”.
L’MPC non ha voluto fornire ulteriori dettagli in relazione alle informazioni raccolte nell’ambito delle indagini sui crimini internazionali.
“Si rischia che i crimini di guerra vengano perseguiti con meno determinazione”
Valérie Paulet, TRIAL International
Crimini internazionali e terrorismo
Nel suo rapporto, TRIAL si dice preoccupata per la nuova evoluzione che vede i procuratori di tutto il mondo accusare di terrorismo gli imputati, visto che è più facile da provare rispetto ai crimini internazionali. È una tendenza preoccupante poiché non c’è una definizione del terrorismo valida a livello internazionale. Inoltre, il terrorismo è un reato contro lo Stato e non contro una singola persona. Questo approccio esclude di fatto le vittime. È una situazione “difficile da accettare per molti sopravvissuti, per i quali l’accesso alla giustizia permetterebbe loro di lasciarsi alle spalle il passato”.
Il rapporto di TRIAL cita il caso dei jihadisti francesi Mounir Diawara e Rodrigue Quenum che nel dicembre 2019 sono stati condannati da un tribunale transalpino a 10 anni di carcere per terrorismo. Gli imputati erano stati fotografati mentre imbracciavano un fucile Kalashnikov. Uno dei due brandiva addirittura una testa mozzata. Secondo TRIAL, oltre a terrorismo i due potevano essere accusati di “oltraggio alla dignità personale, un crimine previsto dalla Convenzione di Ginevra”.
Per Valérie Paulet, il problema maggiore per la Svizzera è il fatto che l’unità per il perseguimento dei crimini internazionali è stata accorpata a quella attiva nella lotta contro il terrorismo. “Si potrebbe essere tentati a credere che la soluzione adottata migliori l’efficienza, visto che i due ambiti sono spesso collegati”, spiega Paulet a swissinfo.ch “Il problema però è legato alla mancanza di personale, di soldi e alle pressioni politiche. Gli Stati preferiscono puntare alla lotta al terrorismo visto che suscita maggior interesse nell’opinione pubblica. E così si rischia che i crimini di guerra vengano perseguiti con meno determinazione”.
Traduzione dall’inglese: Luca Beti
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