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Perché l’unità svizzera per i crimini di guerra è inconcludente

una cella carceraria.
Due presunti criminali di guerra e contro i diritti umani sono in detenzione preventiva in Svizzera - uno da due anni, l'altro da più di quattro - mentre le investigazioni sui loro casi si trascinano. Keystone

Sette anni dopo la sua istituzione in seno al Ministero pubblico della Confederazione, l'unità per il perseguimento dei crimini di guerra non ha ancora concluso alcun caso. Intanto una delle persone indagate è in carcere in Svizzera da più di quattro anni senza processo. Cosa c'è dietro questa inazione?

Ex responsabile del Centro di competenze diritto penale internazionale (CC V) per il perseguimento di crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, la procuratrice Laurence Boillat afferma di essere stata licenziata perché sosteneva che l’unità da lei capeggiata avrebbe dovuto fare di più.

“Ci è stato rapidamente fatto capire che l’unità non sarebbe stata molto importante, dato che non rappresentavamo… neanche cinque posti a tempo pieno”, racconta. “Eppure eravamo molto motivati”.

Attualmente, due persone indagate dal CC V sono in detenzione preventiva: l’ex ministro degli interni del Gambia Ousman Sonko e l’ex leader ribelle liberiano Alieu Kosiah. Quest’ultimo è in carcere in Svizzera da più di quattro anni.

Rapidamente sovraccaricato

In seguito a modifiche di legge, nel 2011 la competenza per i crimini internazionali – come i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio – è stata trasferita dalla giustizia militare a quella civile, più precisamente al Ministero pubblico della Confederazione (MPCCollegamento esterno). Laurence Boillat, che già lavorava all’MPC, è stata incaricata di istituire la nuova unità.

Una donna con in mano un incartamento aperto che sta leggendo.
Laurence Boillat. swissinfo.ch

Appena creata, alla nuova unità sono rapidamente pervenute denunce, soprattutto da organizzazioni non governative (Ong), in particolare da TRIAL International con sede a Ginevra. E il CC V ha presto raggiunto i limiti di capacità.

“In questo campo specialistico è ridicolo immaginare che le cose possano avanzare correttamente con un team così piccolo”, commenta Laurence Boillat, rammaricandosi di non aver ricevuto più risorse di personale al di fuori di due procuratori, due collaboratori e una persona per la segreteria.

Sotto pressione

I casi di crimini di guerra sono complicati e richiedono conoscenze specialistiche, sottolinea. Dato che i crimini sono stati commessi al di fuori della Svizzera, i pubblici ministeri devono far venire nella Confederazione testimoni dal Paese in questione o recarsi in loco per indagare. Laurence Boillat afferma che il Ministero pubblico della Confederazione ha trovato i mezzi per affrontare i reati economici e il terrorismo. Ma spesso è stato sottratto personale all’unità per i crimini di guerra per dedicare tempo ad investigazioni sul terrorismo.

Laurence Boillat aggiunge che ci sono state pressioni politiche dall’alto, soprattutto nei casi di “persone politicamente esposte”, come l’ex ministro della difesa algerino Khaled Nezzar e Rifaat Al-Assad, zio dell’attuale presidente siriano. Pressioni simili non venivano invece esercitate per indagini riguardanti richiedenti asilo in Svizzera, racconta. Di fronte all’accumulazione dei problemi, l’ex responsabile del CC V afferma di aver detto chiaramente che “si stavano mettendo i bastoni tra le ruote” in alcune indagini in corso. A quel punto, dice Laurence Boillat, i suoi superiori decisero che non avevano più bisogno dei suoi servizi.

Contattato per avere chiarimenti sulle capacità dell’unità per i crimini di guerra e sulle ingerenze politiche, il Ministero pubblico della Confederazione ci ha rinviato alle risposte ufficiali alle domande di parlamentari sull’argomento. In tale ambito, l’autorità di vigilanza sull’MPC ha tra l’altro scrittoCollegamento esterno di essere “consapevole del fatto che procedimenti di questo tipo spesso si inquadrano in un contesto politicizzato, tuttavia per la conduzione dei procedimenti e le decisioni del MPC è determinante esclusivamente l’ordinamento giuridico in vigore”.

L’autorità di vigilanza ha inoltre dichiaratoCollegamento esterno di “ritenere che gli strumenti messi in campo dall’MPC nell’ambito del diritto penale internazionale siano sufficienti per un corretto adempimento dei compiti affidatigli. Tuttavia, dato che il MPC deve occuparsi anche di altri ambiti criminali (ad esempio nel campo del terrorismo, della protezione dello Stato o della criminalità economica) quante risorse debbano essere impiegate nei singoli ambiti è, in ultima analisi, un problema che riguarda le priorità strategiche del Procuratore generale della Confederazione”.

Critiche esterne

Da quando Laurence Boillat ha lasciato l’unità, alla fine del 2015, essa è stata riunita con i servizi di assistenza giudiziaria dell’MPC. Finora non ha ancora portato nessuno in tribunale.

Altri sviluppi

Anche altri – tra cui TRIAL InternationalCollegamento esterno e due relatori dell’ONU – hanno espresso preoccupazione per questi procedimenti. Nell’aprile 2018, i relatori speciali dell’ONU sulla tortura, Nils Melzer, e sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati, Diego García-Sayán, hanno inviato una lunga letteraCollegamento esterno al governo svizzero, in cui esprimevano preoccupazione per le asserzioni secondo cui il Ministero pubblico della Confederazione sarebbe stato sottoposto a pressioni politiche dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), in particolare nel caso algerino.

“Le persistenti asserzioni di ingerenza politica minano l’indipendenza del sistema giudiziario in nome di interessi che non sembrano essere quelli dello Stato di diritto né quelli della giustizia”, hanno tra l’altro osservato.

In una risposta scrittaCollegamento esterno, il ministro degli affari esteri Ignazio Cassis ha smentito le accuse e ha affermato che “la Svizzera attribuisce grande importanza alla lotta contro l’impunità, in particolare per crimini che rientrano nel diritto internazionale, compresa la tortura”.

L’ex ministro della difesa algerino Khaled Nezzar è stato arrestato in Svizzera nel 2011, in seguito a una denuncia dell’Ong TRIAL per presunti crimini di guerra tra il 1990 e il 1994. È stato rilasciato dopo gli interrogatori ed è tornato in Algeria. L’MPC ha archiviato il caso all’inizio del 2017, affermando che non vi erano prove di un conflitto armato in Algeria durante il periodo in questione. Alla fine di maggio 2018, il Tribunale penale federale (TPF) ha annullatoCollegamento esterno l’archiviazione del caso Nezzar, replicando che all’inizio degli anni 1990 in Algeria c’era veramente un conflitto armato, e ha ordinato all’MPC di riaprire l’incarto.

Respinta la maggioranza delle denunce​​​​​​​

La portavoce dell’MPC Linda von Burg ha dichiarato che dal 2011 oltre 60 casi sono stati inoltrati all’unità per i crimini di guerra. La maggior parte di essi è stata respinta o archiviata a causa del “mancato rispetto dei requisiti contestuali stabiliti dalla legge (ad es. nessuna qualifica di conflitto) e/o dei requisiti per l’apertura di un procedimento (ad es. gli autori non in Svizzera)”.

Il primo caso che l’unità porterà forse in tribunale è quello dell’ex leader ribelle liberiano Alieu Kosiah. La denuncia è stata inoltrata dall’Ong svizzera Civitas Maxima. Il suo direttore Alain Werner aveva dichiarato a swissinfo.ch nel 2017 che il procedimento si trovava “in fase avanzata” e che sperava di veder processato Kosiah nel 2018. Attualmente, però, Kosiah è ancora in custodia cautelare, condizione in cui si trova dal novembre 2014.

(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)

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