«Gli anticorpi contro la mafia ci sono, ma guai ad assopirsi»
Per le organizzazioni mafiose, la Svizzera non è un territorio dove regolare i conti, ma piuttosto per fare affari. Vista l’assenza di violenza è difficile rendersi conto della pericolosità del fenomeno. E soprattutto di quanto cominci a mettere radici. Intervista al procuratore federale capo Pierluigi Pasi.
Da un anno il procuratore federale Pierluigi Pasi, capo della sede di Lugano del Ministero pubblico della Confederazione, è coordinatore della lotta alla criminalità organizzata italiana. Una lotta che comincia a dare qualche frutto. A fine novembre, ad esempio, Pasi era a fianco dei suoi colleghi italiani per illustrare i dettagli di un’operazione con importanti ramificazioni in Svizzera, che ha portato all’arresto di diverse persone sospettate di appartenere a un potente clan calabrese.
swissinfo.ch: In Svizzera non vi è ancora tendenza a considerare le mafie italiane come un fenomeno un po’ folkloristico?
Pierluigi Pasi: Mi sembra che vi sia una presa di coscienza. L’ufficio federale di polizia fedpol lancia questo allarme da diversi anni. Quindi, se lo lancia la polizia federale, lo lancia anche il Dipartimento federale di giustizia e polizia.
È vero però che vi sono forse ancora lacune nella percezione della pericolosità latente del fenomeno. Per realtà sociali lontane dall’Italia o dalle regioni in cui operano queste organizzazioni e che non sono confrontate con le manifestazioni più violente di questa criminalità, è difficile rendersi conto dei pericoli. È però necessario guardare più in là, in particolare concentrarsi sul riciclaggio dei proventi di queste organizzazioni.
swissinfo.ch: Poco più di due mesi fa, grazie anche alle vostre indagini sono state arrestate in Italia 23 persone appartenenti al clan ‘ndranghetista dei Bellocco. Tra di esse vi era anche un italiano residente in Ticino, sorta di intermediario tra i boss e il mondo imprenditoriale. Si tratta di un’ulteriore conferma che per le mafie italiane la Svizzera non è più solo un luogo dove riciclare denaro, ma una vera e propria base da dove operare?
P.P.: È difficile trarre conclusioni sulla base di una sola indagine e poi il procedimento non è ancora definitivamente concluso. In questo caso specifico, stando alle rivelazioni fatte dalla parte italiana la persona arrestata aveva effettivamente creato in Ticino una sorta di ‘ridotto’ dove incontrava i vertici dell’organizzazione criminale con cui era in contatto.
Se si sommano gli indicatori che abbiamo raccolto in Svizzera e le informazioni segnalateci dall’estero, si può affermare che il Ticino e altre zone soprattutto di confine potrebbero avere questa funzione.
Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) è competente per i delitti che sottostanno alla giurisdizione federale. Appartengono a questa categoria, i reati con materiale esplosivo, la falsificazione di denaro, lo spionaggio, il commercio proibito di materiale bellico e nucleare, il riciclaggio di denaro internazionale e la corruzione, la criminalità organizzata o i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni da parte di impiegati federali.
Un altro suo compito è di fornire assistenza giudiziaria ad altri stati. Da inizio 2011 è inoltre competente per i procedimenti per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
Alla fine del 2011, il MPC impiegava 178 collaboratori (160,4 posti a tempo pieno). La maggior parte lavora nella sede di Berna (119). Il MPC dispone anche di sedi distaccate a Losanna (25), Lugano (18) e Zurigo (16).
Sempre alla fine del 2011, erano pendenti 259 inchieste penali, di cui 140 per riciclaggio di denaro e 50 per criminalità organizzata.
Il MPC è coadiuvato dalla Polizia giudiziaria federale, che svolge indagini su suo incarico.
swissinfo.ch: Dall’inchiesta sul clan Bellocco è emerso che l’organizzazione aveva preso il controllo di un importante ‘call center’ in Lombardia. Qual è il rischio di infiltrazioni mafiose nell’economia svizzera?
P.P.: La Svizzera è una realtà assolutamente diversa dal profilo sociale rispetto all’Italia o ad altre zone assediate dalla criminalità organizzata. Recentemente, l’ex procuratore nazionale antimafia italiano Pietro Grasso ha detto che il nostro paese ha gli anticorpi per far fronte a tentativi di infiltrazione nei gangli politici ed istituzionali. Condivido la sua analisi, ma ciò non significa che bisogna dormire sugli allori. Il pericolo di un interessamento maggiore da parte delle mafie c’è.
swissinfo.ch: La persona residente in Ticino era del resto titolare di un’azienda attiva nel campo dell’edilizia…
P.P.: È vero. La Svizzera ha una piazza finanziaria di prim’ordine e un’economia che si prestano, loro malgrado, a tutte le attività di riciclaggio. Le organizzazioni mafiose guardano quindi con interesse al nostro paese. Non credo, però, che la Svizzera corra il rischio a breve di avere problemi di ordine pubblico o di manifestazioni violente. Proprio perché non è questo il ruolo che le organizzazioni criminali immaginano per il nostro paese.
swissinfo.ch: Un imprenditore la cui azienda è in crisi potrebbe anche dirsi che in fondo il denaro non ha odore. È un pericolo reale?
P.P.: Da noi questo pericolo è minore rispetto ad altre realtà, poiché il sistema creditizio funziona.
È vero, però, che uno dei sistemi usati da queste organizzazioni per riciclare denaro è di offrire prestazioni di ogni natura, ad esempio nell’ambito dell’edilizia. Possono farlo a prezzi assolutamente non di mercato e quindi più bassi. La tentazione di fare affari con queste persone può quindi essere grande.
swissinfo.ch: Da un anno è responsabile del coordinamento della lotta alla criminalità organizzata italiana in seno al Ministero pubblico della Confederazione. Come funziona la cooperazione con le autorità italiane?
P.P.: Bene. Da entrambe le parti vi è una grande volontà di collaborare.
swissinfo.ch: Cos’è cambiato rispetto al passato?
P.P.: Cambiamenti a livello normativo ce ne sono stati pochi. È cambiata soprattutto l’attitudine. Vi è stata una presa di coscienza che occorre assolutamente cooperare, non solo formalmente con le rogatorie, quindi acquisendo passivamente mezzi di prova. Bensì eseguendo indagini congiunte laddove vi sono i soggetti e le prove da raccogliere.
swissinfo.ch: In una recente intervista, Pietro Grasso ha dichiarato che ‘sarebbe necessario un maggior coordinamento in territorio svizzero, creando un punto in cui le informazioni confluiscano’. In particolare ipotizzava una banca dati dove vengono immesse le informazioni di tutte le indagini. Ci state lavorando?
P.P.: Coordinare a livello federale le indagini in materia di criminalità organizzata di origine italiana, è la direzione in cui sta andando da più di un anno il procuratore generale Michael Lauber. Per quanto concerne la banca dati, è un’idea interessante e eventualmente da approfondire.
Attraverso questo coordinamento occorre leggere, in una scala più ampia, singoli fatti investigativi apparentemente senza legame tra di loro. Non sto inventando niente, perché queste erano teorie preconizzate da chi in Italia ha fatto la storia dell’antimafia.
swissinfo.ch: La partecipazione a un’organizzazione criminale è punita con una pena massima di cinque anni. Non è una condanna troppo blanda?
P.P.: Non tocca a me rispondere. Quello che constato è che esiste una differenza di pene importante per lo stesso reato tra Svizzera e Italia. Ciò rischia di esporci. Le persone che fanno questo genere di attività potrebbero aver tendenza a riparare laddove rischiano meno. Occorrerebbe un maggior coordinamento internazionale anche dal profilo normativo.
swissinfo.ch: Buona parte delle vostre attività riguardano il riciclaggio di denaro. Provare questi casi è però molto difficile. Per questo genere di reati, non si dovrebbe valutare la possibilità di invertire l’onere della prova?
P.P.: È chiaro che ciò ci aiuterebbe. Bisognerebbe però vedere in quali termini strutturare questa presunzione legale, poiché si tratterebbe di uno stravolgimento dal profilo dogmatico della base del diritto penale. Il nostro codice penale prevede questa possibilità per la confisca dei valori patrimoniali a una persona che appartiene a un’organizzazione criminale.
In materia di riciclaggio, a crearci problema sono soprattutto i termini di prescrizione. Sette anni per il riciclaggio semplice, quindici solo per quello grave, sono pochi per reati di una simile complessità.
swissinfo.ch: A proposito della confisca dei beni. In Italia questo strumento è molto utilizzato. E in Svizzera?
P.P.: La norma del Codice penale che specificatamente la prevede per i beni delle organizzazioni criminali, anche indipendentemente da processo e condanna, è poco utilizzata, probabilmente perché si hanno difficoltà ad individuare i valori patrimoniali. Meriterebbe maggiore attenzione da parte della autorità di perseguimento, perché permette veramente di aggredire le organizzazioni criminali da un punto di vista patrimoniale.
swissinfo.ch: Un altro strumento di indagine che in Italia ha permesso di avere buoni risultati sono le intercettazioni telefoniche. In Svizzera non vi sono troppe limitazioni?
P.P.: Le intercettazioni, così come altre misure di sorveglianza segreta, sono imprescindibili in questo genere di indagini.
Per quanto riguarda l’asticella posta dalle autorità giudiziarie, non credo si possa generalizzare. Il codice di procedura penale unificato attribuisce ai giudici cantonali la competenza di approvare o meno queste misure. È molto probabile che vi siano differenze di giurisprudenza. È un po’ penalizzante. Al momento dell’unificazione delle procedure penali, secondo me sarebbe stato forse utile prevedere un’autorità federale che potesse garantire immediatamente una prassi uniforme .
Allentare i criteri ci renderebbe la vita più facile. D’altra parte, però, si solleverebbero problemi di ordine generale vista la sensibilità dell’opinione pubblica su queste tematiche.
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