Gli Stati Uniti non faranno regali
La decisione del parlamento svizzero di affossare la legge che mirava a risolvere il contenzioso fiscale tra Svizzera e Stati Uniti non sarà senza conseguenze. Dalle due sponde dell'Atlantico, gli esperti dubitano fortemente che il sistema finanziario svizzero ne uscirà indenne.
Mercoledì la Camera bassa del parlamento ha bocciato definitivamente la cosiddetta Lex USA, una normativa che avrebbe permesso di sospendere per un anno alcune disposizioni del diritto svizzero, per consentire alle banche che hanno aiutato clienti ad evadere il fisco americano di trasmettere a Washington i dati richiesti su dipendenti o operatori esterni coinvolti in tali operazioni.
Ora si teme che il Dipartimento di giustizia americano torni alla carica con quel tipo di procedure che aveva portato alla scomparsa della banca Wegelin, qualche mese fa.
«È molto probabile che il Dipartimento di giustizia americano abbia visto l’atto d’accusa contro la Wegelin come un avvertimento nei confronti di banche svizzere molto più importanti. E se questo avvertimento non è stato colto, potrebbe senza dubbio aumentare la pressione», dichiara Beckett Cantley, esperto di diritto fiscale alla John Marshall Law School di Atlanta.
Altri sviluppi
Lex USA bye bye, il governo cerchi altra via
«Se così non fosse, il Dipartimento di giustizia potrebbe dare l’impressione che i suoi attacchi contro il resto del mondo bancario offshore non siano che parole al vento. L’America non vuole unicamente catturare gli evasori fiscali, ma anche scoraggiare in modo definitivo i futuri truffatori e i loro banchieri, e questo su scala mondiale».
Il capo negoziatore svizzero Michael Ambühl, che lascerà il suo posto in agosto, aveva già parlato di un futuro poco roseo in caso di mancato accordo con Washington. «Che ci piaccia o no, se gli Stati Uniti prendono delle misure contro le banche sono in grado di destabilizzare tutta la piazza finanziaria elvetica», aveva avvertito in febbraio.
Alcuni ritengono che nel collimatore americano vi siano già 14 banche elvetiche o istituti con sede in Svizzera. Tra loro anche Credit Suisse, Pictet e diverse banche cantonali.
“Mi aspetto di vedere incriminata un’altra banca svizzera prossimamente”, commenta a swissinfo.ch l’avvocato fiscalista Teig Lawrence, di Miami. “La questione è solo chi sarà colpito e qual è il calibro della pistola con cui gli Stati Uniti vogliono sparare”.
La palla passa al governo
Respingendo senza mezzi termini la Lex USA, il parlamento ha restituito la patata bollente al governo, obbligandolo a cercare una soluzione alternativa che rispetti il diritto americano e quello svizzero. Ma non sarà un compito facile, se si pensa che la proposta affossata dal parlamento è stata frutto di anni di intense trattative, che teoricamente avrebbero dovuto però portare ad un accordo globale.
Le discussioni precedenti si sono concluse con un “nulla di fatto”, ritiene l’ex diplomatico svizzero Christian Blichenstorfer, che è stato ambasciatore negli Stati Uniti e in Germania prima di andare in pensione.
«La nostra diplomazia ha fallito, perché per molti anni la Svizzera ha ignorato le pressioni degli Stati Uniti, che volevano ottenere informazioni sui cittadini americani che avevano frodato il fisco. C’erano già dei segnali all’orizzonte; questa situazione di stallo non si è dunque materializzata da un giorno all’altro».
Tenuto conto dell’impasse tra governo e parlamento svizzeri, l’ex diplomatico fatica dunque a vedere «un lumicino in fondo al tunnel» del contenzioso fiscale tra Berna e Washington.
Di fatto, sembra poco probabile che gli Stati Uniti accettino di prolungare ulteriormente i negoziati alla ricerca di un’alternativa. Dal canto suo, il governo svizzero sarà probabilmente chiamato ad affrontare i ricorsi degli impiegati di banca e dell’incaricato federale della protezione dei dati, se permetterà in modo unilaterale alle banche di ignorare il segreto bancario e consegnare le informazioni richieste agli Stati Uniti.
Davide contro Golia?
Nel 2010, il Tribunale amministrativo federale aveva definito illegale la trasmissione dei dati dei clienti di UBS – la prima banca sotto tiro – al fisco americano. L’autorizzazione era poi stata accordata dopo che il parlamento svizzero aveva dato il via libera, nel giugno del 2011, a un accordo con Washington sui conti UBS.
Questa volta però, il parlamento sembra determinato a non cedere a quello che viene percepito come un “diktat americano”. Una posizione accolta una certa simpatia da Beckett Cantley.
«Sfruttare la forza degli Stati Uniti per minare la sovranità e le leggi di un altro paese – soprattutto un alleato – è un pericoloso precedente», spiega Beckett Cantley. «Mi sembra che gli Stati Uniti avrebbero potuto individuare conti offshore non dichiarati attraverso mezzi meno offensivi».
«Gli Stati Uniti hanno tutta una serie di strumenti attraverso i quali seguire il movimento dei dollari nel mondo, soprattutto quando si tratta di denaro che entra ed esce dal sistema bancario americano».
Per l’ex ambasciatore svizzero Christian Blickenstorfer, non c’è spazio per i sentimenti nel braccio di ferro della diplomazia internazionale. I paesi più grandi l’hanno sempre fatta da padroni con le controparti più deboli, afferma Christian Blickenstorfer. «Sulla base della mia esperienza di negoziatore con gli Stati Uniti, posso dire che sono duri, ma corretti».
L’altro grande problema della Svizzera è che non ha molto da proporre. «Di norma il paese più piccolo cerca di far leva sugli aspetti che potrebbero essere vantaggiosi per il partner più forte, come la creazione di posti di lavoro o gli investimenti. Ma in questo caso particolare, non ci sono molti argomenti da portare per bilanciare i negoziati».
Averi ancora nascosti
Teig Lawrence è convinto che averi americani non dichiarati possano ancora essere depositati in conti bancari off-shore – incluso in Svizzera – nonostante che circa 40mila persone si siano autodenunciate alle autorità fiscali statunitensi nel corso delle amnistie fiscali.
La maggior parte delle persone che hanno chiesto i suoi servizi per dichiarare al fisco gli averi nascosti possiede patrimoni piuttosto modesti, non milioni di dollari, precisa.
“Le persone con maggiori risorse, in generale, hanno la sensazione di essere maggiormente capaci di resistere alla tempesta”, afferma Lawrence. “Sono più propense ad aspettare e vedere cosa succede”.
La controversia fiscale tra Berna e Washington sui cittadini americani che hanno nascosto averi in banche svizzere dura ormai da cinque anni. L’UBS, che per prima era stata presa di mira dalle autorità fiscali statunitensi, era riuscita a risolvere la vertenza nel 2010. Anche per gli altri istituti di credito elvetici si prospetta ora una soluzione globale. Ecco le principali tappe del conflitto.
19 giugno 2008: Bradley Birkenfeld, ex collaboratore dell’UBS, ammette davanti a un giudice di aver aiutato clienti a frodare il fisco quando era alle dipendenze della banca.
19 agosto 2009: Stati Uniti e Svizzera firmano l’accordo definitivo sulla vicenda UBS. Berna trasmetterà entro un anno i dati relativi a 4’450 conti UBS. Washington rinuncia a misure unilaterali per ottenere informazioni. Inoltre la banca paga una multa di 780 milioni di dollari.
16 novembre 2010: Dopo l’ultima trasmissione da parte della Svizzera di dati riguardanti i casi di assistenza amministrativa, l’autorità fiscale statunitense IRS ritira definitivamente l’azione civile contro l’UBS. Vuole comunque continuare ad indagare su altre banche svizzere.
Febbraio 2011: Gli USA hanno nel mirino il Credit Suisse (CS) e varie altre banche quali HSBC Suisse, le banche cantonali di Basilea e Zurigo, Julius Bär e la Banca Wegelin.
9 dicembre 2011: Il Dipartimento di giustizia americano chiede alle banche svizzere il nome dei consulenti della clientela. Il diritto elvetico vieta però la consegna diretta di documenti con nomi di dipendenti.
Gennaio 2012: Il governo elvetico decide che si possono fornire dati bancari criptati alla giustizia americana. La chiave per decifrarli dovrebbe venir consegnata solo nel quadro di una procedura di assistenza amministrativa o giudiziaria, oppure dopo una soluzione globale della vertenza fiscale. Sotto pressione la Banca Wegelin, il più vecchio istituto di credito elvetico, vende le sue attività non americane al gruppo Raiffeisen.
11 aprile 2012: Il Tribunale amministrativo federale (TAF) ferma la consegna di dati bancari agli Stati Uniti. I giudici danno ragione ad un cliente del Credit Suisse che si opponeva all’assistenza amministrativa accordata dalla Svizzera al fisco americano.
4 dicembre 2012: Stati Uniti e Svizzera siglano un accordo sull’applicazione della legge fiscale americana denominata FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act) che dovrebbe entrare in vigore nel 2014. Gli Stati Uniti vogliono tassare i conti che le persone assoggettate a imposta negli Stati Uniti detengono all’estero.
3 gennaio 2013: La banca privata Wegelin, accusata dalle autorità americane di complicità in evasione fiscale, si dichiara colpevole e dovrà pagare una multa di 74 milioni di dollari.
29 maggio 2013: Il governo elvetico adotta un progetto di legge urgente per consentire a tutte le banche svizzere di mettere una pietra sul passato e di regolarizzare le loro relazioni con le autorità statunitensi. Il progetto di Lex USA è trasmesso alle Camere federali, chiamate ad esprimersi nella sessione parlamentare estiva.
5 giugno 2013: La Camera del popolo sospende l’esame del progetto. Prima di deliberare, esige che il governo fornisca maggiori informazioni al parlamento sul programma proposto da Washington per consentire alle banche di regolarizzare il loro passato.
12 giugno 2013: La Camera dei cantoni approva il disegno di legge, apportandovi qualche modifica.
19 giugno 2013: La Camera del popolo rifiuta, per la seconda volta, di entrare in materia. La Lex USA viene così definitivamente bocciata.
(Fonte: Agenzia telegrafica svizzera, ats)
La Camera alta del parlamento svizzero (Consiglio degli Stati) ha approvato il 20 giugno 2013 il cosiddetto accordo FATCA con Washington. La relativa legge federale di applicazione è stata accettata per 35 voti contro 3 e 2 astensioni
Con questo trattato, i conti detenuti da contribuenti americani nelle banche svizzere non dovrebbero più sfuggire al fisco americano.
FATCA si prefigge così di regolamentare gli aspetti fiscali futuri, contrariamente alla Lex USA, la quale mira a risolvere le questioni del passato.
Contrari per principio in nome della sovranità nazionale e contro il “diktat” di Washington, alcuni membri dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) hanno riconosciuto l’ineluttabilità di un’adesione a FATCA. Dobbiamo «ingoiare il rospo», ha dichiarato il senatore UDC Peter Föhn.
Sia quest’ultimo che il collega di partito Alex Kuprecht hanno chiesto al plenum di adeguarsi alla maggioranza della commissione e di accettare il modello II di applicazione dell’intesa che prevede lo scambio di informazioni sui conti di clienti americani solo col loro consenso.
A nome di una minoranza della commissione dell’economia e dei tributi, il presidente del Partito socialista Christian Levrat e l’esponente dei Verdi Luc Recordon avevano invece domandato il rinvio del dossier al governo affinché rinegoziasse l’accordo sulla base dello scambio automatico di informazioni, così come prevede tra l’altro il modello I offerto dagli Stati Uniti, per tenere conto degli ultimi sviluppi internazionali e interni su questo aspetto.
Il dossier passa ora all’altra camera del parlamento, il Consiglio nazionale, che tratterà l’oggetto nel corso della sessione di settembre.
(Fonte: ATS)
(Traduzione dall’inglese)
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