Gli svizzeri espatriati esigono un servizio bancario di base
La Confederazione – tramite l’intermediazione di Postfinance – deve garantire agli espatriati un servizio bancario di base. È quanto chiede una risoluzione adottata venerdì ad Aarau dal Consiglio degli svizzeri all’estero. Il cosiddetto parlamento della Quinta svizzera domanda anche alle Camere di mantenere l’obbligo di registrarsi presso le sedi diplomatiche nella nuova legge sugli espatriati.
Dallo scoppio della crisi finanziaria nel 2008 e l’offensiva delle autorità statunitensi contro l’evasione fiscale, il problema non ha fatto che acuirsi e oggi riguarda praticamente tutti gli svizzeri espatriati: conservare una relazione bancaria con un istituto elvetico è sempre più difficile.
Il tema è stato al centro della sessione del Consiglio degli svizzeri dell’esteroCollegamento esterno (CSE), riunitosi venerdì ad Aarau nella sala del parlamento cantonale. I delegati del CSE, provenienti dai quattro angoli del pianeta, hanno approvato all’unanimità una risoluzione che domanda alla Confederazione di obbligare Postfinance (l’istituto bancario della Posta svizzera, legato alla Confederazione da un mandato di prestazioni) a garantire agli svizzeri dell’estero la possibilità di aprire un conto per i servizi bancari di base, come ad esempio per il risparmio o il traffico pagamenti. A condizione che i soldi depositati siano dichiarati nel paese di residenza.
«Problema numero uno»
«Dopo vent’anni, la mia banca mi ha chiuso il conto in Svizzera. Ho ricevuto una lettera che mi domandava semplicemente su quale conto dovevano trasferire il denaro e a nulla sono valse le mie recriminazioni». Quanto accaduto a questo membro del Consiglio degli svizzeri all’estero residente in Nigeria, intervenuto durante il dibattito, è ormai moneta corrente per molti dei 732’000 elvetici espatriati. «Il conto bancario in Svizzera è il problema numero uno per gli svizzeri dell’estero. Per alcuni di loro è una questione vitale», gli ha fatto eco uno svizzero che vive in Australia. Le difficoltà non riguardano solo ricchi espatriati, bensì spesso anche persone ordinarie, che magari hanno un conto in Svizzera sul quale viene versata la pensione.
Il membro del comitato del CSE Roland Büchel stima in circa 100’000 le persone toccate da questo problema. Consigliere nazionale dell’Unione democratica di centro (UDC), Büchel ha inoltrato una mozione in parlamentoCollegamento esterno che chiede appunto di garantire agli svizzeri all’estero il servizio universale nel settore del traffico dei pagamenti. La mozione sarà probabilmente discussa dal Consiglio nazionale in settembre. Il governo svizzero si è detto contrario a questa misura, «sproporzionata e difficilmente realizzabile».
Per Büchel «è il buon momento per agire. Siamo riusciti a rendere il dibattito visibile sul piano nazionale e vi è ormai un interesse pubblico per risolvere questo problema». Il deputato dell’UDC potrà contare sul sostegno della Fondazione per la protezione dei consumatori. La sua direttrice, Sara Stalder, ha in effetti indicato nelle colonne della SonntagsZeitung di stare valutando la possibilità di iscrivere questo servizio – che stima pubblico – nella legge.
Per le banche, il gioco non vale la candela
Le restrizioni imposte dalle banche sono da mettere in relazione con l’aumento dei costi e dei rischi per la gestione di patrimoni transfrontalieri, a causa delle regolamentazioni più severe entrate in vigore in diversi paesi. Alcune banche, a seconda del loro modello d’affari, sono così giunte alla conclusione che non valesse la pena di avere relazioni d’affari con clienti di determinati paesi, poiché le spese sono troppo elevate, indica a swissinfo.ch Thomas Sutter, dell’Associazione svizzera dei banchieri.
«Gli svizzeri dell’estero sono fiscalizzati laddove vivono e sottostanno al diritto dei loro paesi di residenza. Le banche devono conoscere e rispettare il diritto e le regolamentazioni di questi paesi. Ciò comporta dei costi e dei rischi», sottolinea Sutter.
Obbligo di registrarsi va mantenuto
Prima di chinarsi sulla questione dei conti bancari, il CSE ha dibattuto di un altro tema centrale per gli espatriati, ovvero la nuova legge sugli svizzeri all’estero, attualmente discussa in parlamento. Una legge, ha sottolineato il presidente dell’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSE) Jacques-Simon Eggly, che «marca una svolta nelle relazioni tra la Svizzera e i suoi 732’000 cittadini che vivono all’estero». Restano però ancora dei nodi da risolvere, in particolare l’obbligo di registrarsi presso una rappresentanza diplomatica, l’iscrizione al registro elettorale e l’integrazione nella legge del Consiglio degli svizzeri all’estero.
Altri sviluppi
Le Camere divise sull’obbligo di registrazione
Il parlamento svizzero è per il momento diviso sulla questione dell’obbligo di registrarsi: la Camera dei cantoni si è pronunciata in favore del suo mantenimento, mentre la Camera del popolo è contraria. Poiché le divergenze non sono ancora state appianate, il dossier deve ritornare ancora una volta sui banchi del parlamento.
La posizione del Consiglio degli svizzeri all’estero è chiara: l’obbligo va mantenuto, hanno sottolineato i delegati della Quinta Svizzera, adottando a larga maggioranza (68 voti favorevoli, 2 contrari e 2 astensioni) una risoluzione in tal senso.
«In Svizzera, ogni albero è registrato, ma si lasciano per contro semplicemente sparire dai radar gli svizzeri espatriati», ha dichiarato un rappresentante degli svizzeri in Nuova Zelanda. Per Remo Gysin, vicepresidente dell’OSE, l’obbligo di registrarsi risponde soprattutto al bisogno di sapere dove si trovano i cittadini elvetici. «È necessario poterli raggiungere, soprattutto in caso di crisi o di catastrofi», ha sottolineato Gysin.
La nuova legge prevede inoltre che l’espatriato che si registra sia automaticamente iscritto nei registri elettorali. Attualmente questo automatismo non esiste. Poco più di un quinto degli svizzeri all’estero (155’000 su 732’000) sono iscritti nei registri. L’ex direttore dell’OSE, Rudolf Wyder, teme che con questo automatismo molti svizzeri espatriati che non sono interessati ad esercitare i diritti politici nel loro paese d’origine rinuncino semplicemente ad annunciarsi presso una rappresentanza diplomatica.
Responsabilità individuale
Il nuovo direttore della direzione consolare del Dipartimento federale degli affari esteri, Jürg Burri, ha avuto il compito di difendere la posizione del governo. Al centro della nuova legge vi è la responsabilità personale, ha sottolineato.
«Non stiamo parlando di alberi, bensì di cittadini che hanno il loro destino in mano. Non si può continuare ad imporre un obbligo se poi questa imposizione non è accompagnata da sanzioni in caso di mancato rispetto». In nessun caso – ha anche tenuto a precisare – questa misura è stata dettata dalla volontà di sgravare il lavoro dell’amministrazione consolare.
Questa soppressione complica invece la missione della Confederazione, iscritta nella Costituzione, che è di rafforzare i legami tra gli espatriati e la loro patria, osserva l’OSE. «La responsabilità personale necessita di essere informati. E per essere informati, bisogna essere immatricolati», ha sottolineato Jacques-Simon Eggly.
No all’iniziativa ECOPOP
I delegati del CSE hanno anche potuto partecipare venerdì a un dibattito con Alec Gagneux, membro del comitato d’iniziativa, e Geri Müller, consigliere nazionale ecologista e sindaco di Baden, sull’iniziativa popolare in votazione il 30 novembre prossimo denominata «Stop alla sovrappopolazione – sì alla conservazione delle basi naturali della vita», che prevede di limitare a un massimo dello 0,2% annuo la crescita demografica dovuta all’immigrazione.
Al termine del dibattito, il CSE ha votato a larga maggioranza una raccomandazione che invita a respingere l’iniziativa promossa dall’associazione ecologista Ecopop.
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