I bilaterali: da cerotto a sistema
Grazie alla via bilaterale, l'opinione pubblica svizzera è spesso meglio informata sull'Unione europea rispetto a quella dei paesi membri: è il parere di Alexis Lautenberg, già responsabile della missione svizzera a Bruxelles, fondata mezzo secolo fa.
Nata come soluzione di ripiego dopo il rifiuto svizzero di aderire allo Spazio economico europeo nel 1992, la via bilaterale regola ancora oggi i rapporti tra la Confederazione e l’Unione europea. Swissinfo.ch ne ha discusso con l’ex ambasciatore Alexis Lautenberg.
swissinfo.ch: L’opinione pubblica elvetica è poco cosciente della presenza di una missione elvetica presso l’Unione europea a Bruxelles. Per quale motivo?
Alexis Lautenberg: Non sono sicuro che questa affermazione rispecchi la realtà. Quando ripenso ai sei anni trascorsi a Bruxelles, ho l’impressione che la missione elvetica fosse molto nota e considerata. Ritengo che pure oggi – quando vi sono avvenimenti importanti – la voce e la posizione della missione sono ascoltate.
Inoltre a Bruxelles vi sono giornalisti svizzeri molto qualificati, e di conseguenza anche i loro resoconti sono qualitativamente validi. Ho lavorato in Germania, in Italia e in Gran Bretagna: ritengo che nella Confederazione il grado di informazione e l’interesse per quanto avviene a Bruxelles è persino maggiore di quello dei cittadini degli Stati membri.
swissinfo.ch: Lei è giunto a Bruxelles subito dopo il rifiuto da parte della maggioranza del popolo svizzero di aderire allo Spazio economico europeo. Quali erano le condizioni di lavoro all’epoca?
A.L.: La maggior parte dei giornali parlava di una “missione impossibile”. Non vi era alcun modello in questo senso, e il paese era profondamente diviso. Una parte dei cittadini elvetici voleva aderire all’Unione europea, un’altra chiedeva una nuova votazione sullo Spazio economico europeo e una terza era contraria a entrambe le possibilità.
I tre schieramenti si davano battaglia aspramente: di conseguenza la situazione era difficile dal profilo politico, e non soltanto per noi al fronte. Anche l’esecutivo e il parlamento soffrivano infatti di queste divisioni.
swissinfo.ch: Come ha reagito l’Unione europea?
A.L.: Durante i primi sei mesi del 1993 il governo ha sottoposto alla Commissione europea una serie di temi sui quali intendeva discutere; questi non erano però inseriti in un concetto generale e non sussisteva un ordine di priorità.
Partendo da tali temi, il nostro compito è stato quello di preparare un pacchetto tale da risultare interessante per entrambe le parti. Nel mese di novembre del 1993 – ovvero meno di un anno dopo il rifiuto dello Spazio economico – abbiamo presentato un pacchetto comprendente sette oggetti, sfociati poi nei primi accordi bilaterali.
swissinfo.ch: A quel tempo le trattative consistevano soprattutto nel trovare un compromesso tra dare e ricevere. Oggi, invece, l’Unione europea non esita a criticare la particolarità della situazione svizzera. I negoziati sono dunque diventati più difficili?
A.L.: Attualmente possiamo contare su un sostegno interno piuttosto compatto alla via bilaterale. Quest’ultima, da soluzione di un problema è diventata un vero e proprio sistema. A quel tempo, invece, si agiva in base alla ricerca di compromessi, senza seguire un preciso metodo.
Va poi ricordato che – sempre in quel periodo – la Svizzera aveva mantenuto l’obiettivo strategico di adesione all’Unione europea. Posso quindi immaginare che questa intenzione avesse spinto Bruxelles a dimostrare una certa benevolenza verso la Confederazione.
Oggi, invece, la questione di un’eventuale adesione della Svizzera non ha ormai più alcun ruolo. Di conseguenza il contesto è diverso, e si fa largo la critica all’eccezione rossocrociata. Personalmente non condivido questa obiezione, poiché in fin dei conti ognuno cerca di difendere nel miglior modo possibile i propri interessi.
In ogni caso, le condizioni quadro per la via bilaterale sono radicalmente cambiate: tutto è diventato più complicato e le questioni istituzionali hanno un ruolo molto più centrale.
swissinfo.ch: Secondo lei quale strategia dovrebbe adottare il governo svizzero, tenendo conto che la via bilaterale diventa sempre più ardua: proporre nuovamente l’adesione allo Spazio economico, valutare l’entrata nell’Ue oppure optare per una pausa di riflessione?
A.L.: Penso che non seguirà nessuna di queste possibilità. Il consiglio federale si guarderà bene dall’invischiarsi in una discussione così delicata. È stato chiaramente scelto il paradigma bilaterale, e questa sarà la soluzione anche per il futuro.
A meno che l’Unione europea cambi orientamento e decida di modificare tutto completamente, ma per il momento questo scenario mi sembra piuttosto improbabile.
swissinfo.ch: Ciononostante, in molte questioni alla Svizzera non resta altro da fare che adottare in modo “spontaneo” il diritto europeo.
A.L.: Considerando la legislazione dell’Unione europea, un fatto appare evidente: lo spazio di manovra per la Svizzera non scomparirà, ma sarà comunque sempre più esiguo. E ciò non è soltanto legato ai rapporti tra Berna e Bruxelles, ma dipende anche dal fatto che le regolamentazioni diventano sempre più uniformi a livello internazionale, basti pensare a come il G20 agisce in modo maggiormente sistematico.
In ogni caso l’Unione europea considera in modo molto serio le particolarità della Svizzera, indipendentemente dal fatto di apprezzarle o meno. Si tratta di una realtà che fa parte dell’intero dispositivo, e su questo aspetto non vi sono alternative.
La Missione svizzera presso l’Unione europea a Bruxelles festeggia lunedì sera i suoi cinquant’anni con fondue, raclette e accompagnamento musicale tipicamente elvetico.
Prima della festa, la ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey prenderà la parola davanti a circa 350 invitati.
La Missione svizzera è stata istituita nel luglio del 1959, quando il governo elvetico ha deciso di stabilire relazioni ufficiali con la Comunità economica europea. L’ufficio a Bruxelles è poi stato inaugurato l’anno successivo.
Originario di Ascona e Basilea, Alexis Lautenberg è nato nel 1945 a Zurigo. Ha studiato scienze politiche all’Università di Losanna; nel 1974 è stato assunto dal Dipartimento federale degli affari esteri.
Durante la sua carriera diplomatica ha lavorato a Varsavia, Ginevra, Bonn e Berna, prima di essere nominato responsabile della missione svizzera presso l’Unione europea, a Bruxelles (1993). Dal 1999 al 2004 è stato ambasciatore svizzero in Italia, carica che ha poi ricoperto a Londra negli anni successivi.
Dopo il pensionamento nel 2010, Lautenberg collabora con lo studio Steptoe & Johnson di Bruxelles: rappresenta gli interessi delle aziende svizzere in qualità di consigliere politico ed economico. È inoltre presidente della camera di commercio anglo-svizzera.
Nel mese di settembre del 2010, il governo svizzero ha approvato la versione definitiva del rapporto sulla politica europea: la via bilaterale continua a essere quella privilegiata.
Il rapporto sulla politica europea è stato redatto in risposta al postulato della deputata Christa Markwalder, che chiedeva all’esecutivo di analizzare e – se necessario – adeguare la propria politica europea.
Il progetto del rapporto è stato utilizzato dal governo come base per la seduta speciale sull’Europa del 18 agosto 2010: i ministri ritengono nell’interesse della Svizzera proseguire le proprie relazioni con Bruxelles nell’ambito di accordi bilaterali settoriali.
Questo approccio consente – secondo l’esecutivo – di conciliare gli interessi di entrambe le parti. Finora, Berna e Bruxelles hanno firmato complessivamente circa 120 trattati bilaterali.
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