I diritti politici non sono uno strumento di inclusione!
Demi Hablützel è presidente della sezione giovanile dell'Unione democratica di centro di Basilea Città. Nel suo contributo, l'aspirante giurista spiega perché secondo la maggioranza della popolazione svizzera solo i cittadini e le cittadine elvetiche dovrebbero avere diritti politici.
La cittadinanza svizzera la si ottiene per discendenza, ovvero viene trasmessa dai propri genitori (ius sanguinis o principio di discendenza). Oppure la si può ottenere più tardi nella vita, attraverso la naturalizzazione.
Alla cittadinanza sono legati i diritti politici. In un Paese (democratico!), la nazionalità dà accesso al diritto di voto e di eleggibilità, che permette di far parte politicamente della società. Sia in modo attivo che passivo.
I recenti eventi ci fanno riflettere sulle ragioni che hanno portato alle crisi a livello nazionale, europeo e mondiale negli ultimi anni. Per quanto concerne la Svizzera, ci si può chiedere come dovrebbe essere organizzata la nostra democrazia in futuro e fino a che punto debba spingersi la partecipazione politica, per controllare meglio o addirittura evitare le crisi attraverso le strutture democratiche.
È qui che entra in gioco l’inclusione come un’opzione da discutere, la “destinazione” a cui aspirare per andare dall’esclusione e dalla separazione verso l’integrazione. Inclusione: un termine che oggi incontriamo sempre più spesso, in politica e nella società. L’inclusione permette a ogni persona nella società di partecipare, da cui tutti traggono beneficio al processo democratico, traendone beneficio senza restrizioni, a prescindere dalle norme e dagli sforzi individuali richiesti per farne parte o per diventarne una componente preziosa.
La democrazia sta vivendo la più grossa crisi dalla Seconda guerra mondiale e dalla Guerra fredda.
Sul lungo periodo, a causa della tendenza all’autoritarismo e all’autocrazia che perdura da circa 15 anni.
Sul breve periodo, a causa della pandemia di COVID-19 e della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.
La resilienza è un elemento chiave nelle discussioni volte a risolvere la crisi dalle mille sfaccettature: le democrazie devono rafforzare la loro resistenza e solidità “dall’interno verso l’esterno” per respingere meglio le minacce.
Nella nostra serie puntiamo l’attenzione su un principio della democrazia che finora è stato toccato solo marginalmente nel dibattito intorno alla resilienza: l’inclusione.
Vi presentiamo persone che si impegnano per la “deep inclusion”, ossia un’inclusione globale di tutte le principali minoranze. Anche i contrari di questa idea, che godono del sostegno della maggioranza politica, verranno sentiti.
In occasione del Forum globale 2022 sulla democrazia diretta modernaCollegamento esterno, in programma a Lucerna dal 21 al 25 settembre, swissinfo.ch organizza un panel una tavola rotonda sull’inclusione.
Per inciso, anche gli Svizzeri all’estero sono stati esclusi per molto tempo: possono infatti usufruire dei diritti politici solo dal 1992.
La democrazia diretta come garanzia di successo
Ciò che sembra piuttosto romantico dal punto di vista socio-etico, presenta ovviamente anche delle insidie.
Alla luce delle crisi menzionate, gli attivisti e le attiviste chiedono una democrazia più solida e un ampliamento delle opportunità di partecipazione al processo politico per ogni individuo. Una democrazia più solida? Più robusta della nostra democrazia elvetica? Prego?
Una democrazia stabile e la partecipazione diretta della popolazione al processo politico sono naturalmente centrali e spiegano in parte le condizioni paradisiache della Svizzera rispetto a buona parte del resto del mondo. Senza i pilastri della democrazia, molte cose non esisterebbero. Conosciamo le condizioni che prevalgono in molti Paesi del mondo e non è necessario spiegarle qui.
In breve: la Svizzera è un modello di successo e la democrazia diretta ne è la garante, poiché consente a tutti i cittadini e a tutte le cittadine di prendere parte alle decisioni politiche (e quindi economiche) – a breve, medio e lungo termine – che modellano il nostro futuro.
Ciò significa saper perdere votazioni ed elezioni dando prova di fair play, accettando l’opinione della maggioranza. Spesso ciò è esasperante e fa riflettere sull’ironica “saggezza” dello sport: a volte si perde, a volte vincono gli altri…
Tipica società migratoria
Ma è proprio questo il punto: sempre più spesso gli ambienti di sinistra chiedono che gli stranieri e le straniere che vivono qui siano integrati nel processo politico svizzero (quasi) senza ostacoli. E questo già prima della naturalizzazione. Ciò porterebbe a una migliore integrazione e, di conseguenza, a una piena inclusione. La massima diventerebbe la piena partecipazione, a prescindere dalla cultura e dalla nazionalità.
In Svizzera abbiamo una tipica società migratoria e, quindi, una crescita demografica dinamica. L’emigrazione e soprattutto l’immigrazione fanno parte della vita quotidiana del nostro Stato.
Cogliere le opportunità di naturalizzazione
Di conseguenza, circa un quarto della popolazione residente non può partecipare al processo politico. I partiti di sinistra descrivono questa situazione in modo drastico: queste persone sono escluse dalla nostra società.
La domanda sorge spontanea: è necessario il diritto di voto per gli stranieri e le straniere? Il principio dello ius sanguinis è un modello superato? Lo ius soli, ossia in principio di concessione della cittadinanza in base al luogo di nascita, non sarebbe un modello molto più in linea con lo spirito dei tempi?
A mio avviso, la questione non è se gli stranieri e le straniere siano esclusi dal nostro processo politico. Perché sì, lo sono. Certo che lo sono.
La domanda da porsi è piuttosto perché non sfruttano la possibilità di ottenere un passaporto svizzero dopo un certo periodo di tempo, come dà loro diritto la legge. Se lo vogliono davvero, le opzioni ci sono e la maggior parte di esse si basa su condizioni ragionevoli. Non tutte, d’accordo. E per queste posso certamente immaginare delle correzioni.
Democrazia significa, tra l’altro, che tutte e tutti hanno le stesse possibilità di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, di partecipare all’organizzazione della comunità e dello Stato.
Un premio meritato per l’integrazione
Sia l’implementazione dello ius soli che il diritto di voto per gli stranieri e le straniere non portano di per sé a un’integrazione riuscita. L’integrazione è prima di tutto una questione di volontà, di utilizzo di tutte le risorse individuali possibili su un determinato “campo di gioco”.
I diritti politici non devono quindi essere uno strumento di integrazione, ma il meritato traguardo alla fine di un processo personale. Essere nati e cresciuti in Svizzera non garantisce un’integrazione riuscita.
Nel caso dello jus soli, la naturalizzazione è automatica. Gli Stati Uniti, ad esempio, l’hanno introdotta per incoraggiare l’immigrazione. Ma la Svizzera vuole fare lo stesso? Noi, che non abbiamo problemi ad attirare immigrati e immigrate da tutto il mondo?
Il passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli sarebbe contrario all’obiettivo di un controllo ragionevole della politica di immigrazione e naturalizzazione che serva gli interessi reali (e non soggettivi ed ideologici!) della Svizzera.
A livello comunale e cantonale, ma anche a livello nazionale, i partiti di sinistra hanno più volte riproposto alle urne il tema del diritto di voto per le persone straniere. Tuttavia, è chiaro che questa idea non ha alcuna possibilità di essere accettata dall’elettorato, che l’ha già chiaramente respinta in diverse occasioni.
Qual è la loro motivazione? Perché oggettivamente – come descritto – la Svizzera non trarrebbe alcun vantaggio dallo ius soli!
O per dirla in modo diverso e sintetico: perché bisogna dare un premio prima della prestazione? Perché i diritti politici prima dell’integrazione?
È quindi evidente che i diritti politici concessi troppo presto non sono assolutamente una garanzia di inclusione al servizio della Svizzera e delle persone che vi vivono!
Traduzione di Daniele Mariani
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