The Swiss voice in the world since 1935

I rischi delle nuove crociate dell’Occidente

Tre combattenti Khmer rossi in un'immagine di propaganda diffusa ai tempi del regime di Pol Pot. Keystone

Il conflitto che oppone l'ONU al governo cambogiano sul ruolo del tribunale straordinario per i crimini dei Khmer rossi illustra i limiti di una giustizia internazionale, dove la verità è troppo facilmente dal lato dei più potenti. A scapito delle complessità regionali.

Con le sue dimissioni, presentate poco più di sei mesi dopo la nomina a capo del tribunale per i Khmer rossi, il giudice d’istruzione svizzero Laurent Kasper-Ansermet ha sottolineato nuovamente il fossato venutosi a creare tra le Nazioni Unite e il potere di Phnom Penh.

Le divergenze riguardano l’apertura di nuove inchieste contro cinque ex leader del regime di Pol Pot, che tra il 1975 e il 1979 ha provocato la morte di oltre due milioni di persone. Ma dietro a questo caso, si cela un problema ben più rilevante: la pertinenza e i limiti della giustizia internazionale.

Nel 2003 il governo cambogiano e le Nazioni Unite avevano raggiunto un accordo sull’apertura di un tribunale straordinario. Composta di magistrati internazionali e nazionali, la corte è chiamata a giudicare gli alti dirigenti del regime dei Khmer rossi e i principali responsabili dei massacri commessi.

Phnom Penh chiede però di limitare il processo ai primi cinque casi già aperti, che vedono coinvolti quattro alti dignitari del regime ancora in vita e il comandante Duch, direttore del centro di tortura S21, condannato nel febbraio del 2012 al carcere a vita.

L’ONU accusa il governo di aver rotto l’accordo opponendosi all’apertura di nuove inchieste, mentre diverse ONG – Amnesty International in primis – denunciano l’ingerenza di Phnom Penh e «la violazione del diritto delle vittime alla verità e alla giustizia».

Il prezzo della stabilità

«Non bisogna difendere gli interessi di qualcun’altro, più di quanto farebbe lui stesso. Siamo noi le vittime di Pol Pot. E siamo noi ad aver bisogno più di voi di giustizia». Dim Sovannarom, capo della sezione relazioni pubbliche al tribunale straordinario cambogiano, ha perduto la famiglia nei campi di lavoro, così come successo a molti altri suoi connazionali.

La reazione di Sovannarom riassume l’irritazione che serpeggia tra i cambogiani di fronte a quella che è percepita come una giustizia intransigente. Il portavoce deplora in particolare le scarse conoscenze del contesto locale da parte dei magistrati internazionali.

Contattato per telefono, il giudice Ansermet non ha voluto prendere posizione al riguardo.

Secondo il politologo belga Raoul Marc Jennar, che ha vissuto per vent’anni in Cambogia e attualmente lavora anche come consulente del governo, il malinteso risale a prima del 2003. «È un peccato che nell’accordo non sia stato definito con precisione chi deve essere considerato come alto dirigente del regime e principale responsabile dei massacri».

«In alcune regioni vivono ancora persone che hanno le mani sporche di sangue. Il governo ha però concluso un’amnistia con coloro che facevano parte dei Khmer rossi. E questo è il prezzo da pagare», conclude Raoul Marc Jennar.

La necessità di voltare pagina

Per François Roux, ex avvocato del comandante Duch e oggi capo dell’ufficio della difesa al Tribunale speciale per il Libano, le tensioni sorte attorno al caso cambogiano illustrano i limiti della giustizia penale internazionale.

«Questi tribunali sono frutto di decisioni politiche. Ma poi ai giudici tocca portare a termine il loro compito in modo indipendente. Ritroviamo lo stesso problema in Libano, Ruanda, Ex Jugoslavia e Sudafrica. Cosa fare dunque? Credo che nessuno abbia una risposta, a parte la necessità di riconoscere che questi tribunali internazionali sono più che altro un simbolo. Si tratta senza dubbio di qualcosa di molto utile alla società, ma insoddisfacente dal punto di vista del diritto e dell’equità».

Resta da sapere quanti simboli sono necessari a una società per ricostruirsi. Chum Mey, uno dei due sopravvissuti al centro di tortura S21, non vuole un altro processo. «Questi tribunali costano molto e i risultati sono poco soddisfacenti», spiega. Dal suo punto di vista, l’arresto di altri responsabili rischierebbe di far cadere nel caos il paese.

Assieme ad altre vittime, Chum Mey ha creato un’associazione nella quale sono ammessi anche ex dirigenti dei Khmer rossi, disposti ad impegnarsi per la ricostruzione del paese. «Per me, è un modo per lasciarci alle spalle il nostro passato».

Strumentalizzazione dei diritti umani

Anche il regista Rithy Panh, sopravvissuto ai campi di lavoro, è stufo di «una giustizia internazionale nella quale vengono usati due pesi e due misure».

«Perché i magistrati rivolgono ai cambogiani domande stupide sulla forma del barattolo nel quale dovevano urinare, mentre ai testimoni occidentali chiedono cose intelligenti sull’etica e la morale di un crimine contro l’umanità?», si chiede ironico il regista.

«Il governo cambogiano ha commesso molti errori grossolani nel modo di comunicare, ammette dal canto suo il politologo Raoul Marc Jennar. Ma la radicalità di alcune organizzazioni internazionali, che tendono a confondere la promozione dei diritti umani con una crociata, provoca delle grandi ingiustizie. Uno stato di diritto non si costruisce da un giorno all’altro in un paese dove è stata aperta la prima facoltà universitaria nel 1990. Ma questo la comunità internazionale lo ignora o finge di ignorarlo».

Per François Roux, esiste effettivamente un rischio di strumentalizzazione dei diritti umani in nome della giustizia. «I magistrati sono in buona fede quando pensano di dover partire per una crociata contro l’impunità in seno a un tribunale internazionale. Devono però tener presente che il loro compito si limita unicamente a giudicare coloro che in quel momento sono seduti sul banco degli imputati».

I Khmer rossi sono giunti al potere il 17 aprile 1975, con la proclamazione a primo ministro del loro leader Pol Pot. Il regime è stato rovesciato il 7 gennaio 1979.

Oltre due milioni di persone sono morte in 3 anni, 8 mesi e 20 giorni.

Dopo la caduta del regime per mano delle truppe vietnamite, la Cambogia è sprofondata in una sanguinosa guerra civile, conclusasi nel 1998 con lo smantellamento delle strutture politiche e militari dei Khmer rossi.

Nel 2006 il Tribunale speciale per i Khmer rossi ha dato il via all’inchiesta contro cinque leader del regime.

Kaing Guek Eav

alias Duch (ex direttore dell’S-21) è stato riconosciuto colpevole in prima istanza di crimini contro l’umanità e di gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra. Due anni dopo, nel 2012, è stato condannato in appello al carcere a vita.

Altri processi attualmente in corso:

Khieu Samphan, ex capo di Stato della Kampuchea democratica, nome ufficiale della Cambogia tra il 1976 e il 1979.

Ieng Sary, ex ministro degli affari esteri della Kampuchea democratica

Nuon Chea, ex presidente dell’Assemblea nazionale della Kampuchea democratica e segretario aggiunto del partito comunista.

 

Ieng Thirith, ex ministra degli affari sociali della Kampuchea democratica. Attualmente è sottoposta ad esami medici per demenza.

1997 Cadono gli ultimi movimenti armati guidati dai Khmer rossi.

1998 Muore Pol Pot nel suo feudo di Anlon Veng.


2007 Istituzione di un tribunale speciale per i crimini dei Khmer rossi (CETC).


Febbraio 2009 Apertura a Phnom Penh del processo contro il comandante Duch.


Luglio 2010 Duch è condannato a 30 anni di prigione. Ricorso in appello.


Giugno 2011 Apertura a Phnom Penh del processo contro quattro alti dirigenti del regime dei Khmer rossi ancora in vita.

Febbraio 2012 Duch è condannato alla reclusione a vita.

(Traduzione dal francese, Stefania Summermatter)

Uno smartphone mostra l’app SWIplus con le notizie per gli svizzeri all’estero. Accanto, un banner rosso con il testo: ‘Rimani connesso con la Svizzera’ e un invito a scaricare l’app.

I più letti
Quinta Svizzera

I più discussi

In conformità con gli standard di JTI

Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative

Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.

Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR