I social media alimentano la disinformazione e il populismo in Svizzera come negli Stati Uniti?
La Svizzera è più protetta dalle fake news rispetto a Paesi come gli Stati Uniti. Ciò è dovuto a un sistema migliore e a cittadini più prudenti o semplicemente al fatto che meno eserciti di troll sono interessati al nostro Paese? Le risposte sono diverse.
Molte persone si informano attraverso i social media invece che alla radio, alla televisione o sui giornali. E tante temono che per questo motivo vengano tralasciate notizie importanti, si diffonda maggiormente la disinformazione e si rimanga bloccati nella propria bolla di filtraggio.
Questo è vero in tutto il mondo: secondo il Reuters Digital News Report 2023Collegamento esterno, il 56% della popolazione mondiale si chiede se ciò che legge su Internet sia vero o falso. Le proporzioni variano a seconda dei continenti: l’Africa domina con la percentuale più alta del 77%, seguita dal Nord America con il 65%. In fondo alla scala c’è l’Europa con il 53%.
Fake news, un problema globale
Dopo la Brexit, l’elezione di Trump e il genocidio dei Rohingya, il problema delle fake news è emerso in tutta la sua drammaticità. Il 2017 è stato l’anno in cui i timori legati alla disinformazione sono dilagati: Facebook è stato indicato come un acceleratore della disinformazione e dell’incitamento all’odio orchestrati, soprattutto in occasione della campagna per la Brexit e delle elezioni presidenziali statunitensi del 2016.
Le accuse contro Facebook hanno spaziato fino al favoreggiamento di un genocidio, che ha visto 700’000 membri della minoranza Rohingya fuggire dal Myanmar nell’agosto 2017 per salvarsi dalle atrocità commesse dall’esercito. Facebook è accusato di aver incitato il sentimento d’odio verso i Rohingya in Myanmar e di complicità nel genocidio. Attualmente, diverse persone chiedono un risarcimento e giustizia.
Dal 2017 è passata molta acqua sotto i ponti. Al posto di Facebook, molte persone ora usano più frequentemente altri canali, come WhatsApp o Telegram. Alle informazioni dubbie sulla Brexit è seguita una fase di diffusione online di informazioni controverse sulla pandemia di coronavirus e poi sull’invasione russa dell’Ucraina.
Ma non sono cambiate solo le tematiche: c’è anche una maggiore ricerca sulla diffusione della disinformazione
Gli Stati Uniti come “Paese più vulnerabile” per la disinformazione
I social media – a differenza di radio e televisione – sono globali e svincolati dai confini nazionali. Di conseguenza, si potrebbe trarre la conclusione che se le reti sociali guidano le fake news, la disinformazione e la polarizzazione, lo fanno allo stesso modo in tutto il mondo. Ma non è così.
Ci sono Paesi e regioni che sono più indifesi di altri nei confronti della disinformazione online. Gli Stati Uniti sono particolarmente esposti a questo fenomeno.
Uno studioCollegamento esterno dell’Università di Zurigo sulla resilienza alla disinformazione online, pubblicato nel 2020, ha preso in esame diversi Paesi europei e gli Stati Uniti. Il team guidato dalla scienziata della comunicazione Edda Humprecht descrive gli Stati Uniti come un caso particolare per quanto riguarda la disinformazione online.
Le ragioni sono economiche e strutturali: “Il Paese si distingue per l’ampio mercato pubblicitario, la debolezza dei media del servizio pubblico e il consumo di notizie relativamente frammentato”, si legge nello studio. Le dimensioni del mercato pubblicitario rendono attraente la possibilità di veicolare fake news all’utenza dei social media. Lo studio conclude che gli Stati Uniti sono “il Paese più vulnerabile” alla diffusione della disinformazione online.
Chi si informa sui social media?
Gli avvenimenti degli ultimi anni hanno fatto sì che molte persone in tutto il mondo sviluppassero una maggiore consapevolezza della disinformazione. Secondo il Reuters Digital News Report 2023, solo il 17% è indifferente rispetto al fatto di ottenere informazioni sui social media, mentre il resto dell’utenza teme di perdere informazioni importanti o che le sue opinioni non siano messe sufficientemente in questione.
Molte persone usano ancora i social media per le notizie, ma in alcuni Paesi la quota si è ridotta: in Svizzera,Collegamento esterno nel 2018 un o una utente su due si è informata tramite i social media – in calo rispetto al 39% del 2023. Gli Stati UnitiCollegamento esterno hanno raggiunto il record del 51% già nel 2017; nel 2022 la quota era ancora al 42%.
Valori più elevati si registrano in molti Paesi africani. Il 78% dei nigeriani e delle nigerianeCollegamento esterno utilizza attualmente i social media come fonte di notizie.
In ogni caso, le reti sociali non sono mai state il mezzo decisivo per la formazione dell’opinione politica in Svizzera: il libro del 2021 “Digitalizzazione della democrazia svizzera”Collegamento esterno, ad esempio, è giunto alla conclusione che “i social media non sono consultati da una chiara maggioranza di elettrici ed elettori svizzeri per la formazione dell’opinione in vista di elezioni e votazioni”.
La radio, la televisione e i giornali sono ancora le fonti di informazione politica più importanti in Svizzera. Sono anche più affidabili.
Tobias Keller, scienziato dei media e della politica presso l’istituto demoscopico gfs.bern, che ha collaborato alla stesura del libro, afferma a SWI swissinfo.ch che ci sono alcuni fattori che differenziano la situazione svizzera da quella statunitense e brasiliana. I media ad ampio raggio negli Stati Uniti sono “chiaramente più schierati politicamente rispetto alla Svizzera – e i social media alimentano opinioni politicizzate”. In Brasile, invece, WhatsApp e Telegram sono “canali di informazione molto importanti”. Le informazioni unilaterali o false vengono raramente approfondite in questa sfera semipubblica.
Secondo Keller, l’interazione tra media pubblici e privati e il sistema multipartitico con la sua politica orientata al consenso sono fattori che rendono la Svizzera più resistente alla polarizzazione e al populismo in rete nel confronto internazionale.
“La fiducia nel sistema politico e nelle istituzioni è quasi tradizionalmente molto maggiore e più stabile in Svizzera rispetto all’estero. E la democrazia diretta è molto apprezzata come correttivo – invece di tenersi dentro la rabbia o scendere in piazza, come tende ad accadere nei sistemi indiretti”, rileva Keller.
Nel libro “Digitalizzazione della democrazia svizzera” si legge che il fatto di recarsi frequentemente alle urne è una sorta di allenamento per individuare la disinformazione: “Grazie alle centinaia di proposte politiche valutate e alle campagne sperimentate, l’elettorato svizzero è molto abituato a valutare informazioni diametralmente opposte (…). Questo aumenta la resistenza alle informazioni dubbie”.
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In altre parole, svizzeri e svizzere sono già abituate al fatto che non possono sempre fidarsi delle informazioni, indipendentemente dal canale mediatico. D’altronde, il populismo non esiste solo da quando c’è Facebook.
Il populismo in Svizzera è più antico di Facebook
I social media non sono visti solo come diffusori di fake news, ma sono anche spesso ritenuti responsabili della polarizzazione politica e del successo delle forze populiste.
Per la sua tesi di laurea, la scienziata della comunicazione Sina Blassnig dell’Università di Zurigo ha studiato come avviene la comunicazione populista su Internet. Tra le altre cose, ha confrontato la frequenza e il tipo di dichiarazioni populiste della classe politica in Svizzera, Germania, Stati Uniti e Regno Unito nei talk show politici e su Internet.
Contrariamente alle aspettative, non sono stati gli Stati Uniti a primeggiare, ma in parte la Svizzera. “Non abbiamo riscontrato differenze significative tra i Paesi in termini di centrismo popolare, spiega Blassnig a SWI swissinfo.ch. Il discorso centrista è un tipo di comunicazione populista che assurge il popolo a entità e ne rivendica la sovranità. “L’anti-elitarismo è risultato significativamente più basso negli Stati Uniti rispetto agli altri tre Paesi. L’esclusione di persone immigrate, straniere, gruppi religiosi o altri gruppi sociali era significativamente più alta in Svizzera rispetto agli altri tre Paesi”. La ricerca si è svolta nel 2014, poco dopo l’iniziativa sull’immigrazione di massa, accettata dal 50,3% dell’elettorato elvetico, che potrebbe essere una parte della spiegazione di questi risultati.
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Blassnig ha l’impressione che il “discorso sul populismo” abbia contribuito a rafforzare e in parte a sminuire gli “attori di estrema destra”. A suo avviso, i veri problemi sono “l’estremismo, l’autoritarismo, il razzismo e il sessismo”, che spesso vanno di pari passo con il populismo.
Secondo la scienziata, “alcune caratteristiche del sistema politico svizzero”, che spesso sono state viste come ostacoli al populismo, lo favoriscono maggiormente, come le frequenti votazioni. “Le votazioni popolari regolari potrebbero infatti promuovere una campagna populista permanente, compensando così gli effetti restrittivi del sistema di rappresentanza diretta e proporzionale”, spiega Blassnig. Esistono anche punti di contatto culturali per il populismo anti-elitario in Svizzera: “La cultura politica della Svizzera, con il suo ‘sistema di milizia’, il suo pronunciato localismo e il suo euroscetticismo, offre un terreno fertile per una retorica anti-elitaria e incentrata sul popolo”.
Sebbene l’intero spettro politico usi la retorica populista “di tanto in tanto”, in Svizzera c’è “una maggioranza di populismo di destra”. Ma questo populismo è più antico della diffusione di Internet: “Rispetto ad altri Paesi, la Svizzera ha avuto un forte movimento populista di destra a partire dagli anni Novanta”, afferma Blassnig.
Svizzera: poco interessante per Russia e Cina
Edda Humprecht svolge la sua attività di ricerca presso l’Università di Zurigo ed è la principale autrice dello studio che ha identificato gli Stati Uniti come “il Paese più vulnerabile” alla disinformazione.
In questo studio, la Svizzera fa parte del gruppo di Paesi del Nord Europa che presentano la maggiore resistenza alle fake news dannose. Per Humprecht, però, questo non ha a che fare solo con la stabilità della democrazia, ma anche con il fatto che si tratta di un Paese piccolo, diviso da quattro lingue, con scarsa importanza geopolitica.
La Svizzera è generalmente resistente alla polarizzazione e al populismo o la resilienza è limitata alle reti sociali come acceleratrici della disinformazione? “Nessuna delle due”, dice Humprecht. “La polarizzazione e il populismo giocano un ruolo importante come in molti altri Paesi. I social media sono molto utilizzati in Svizzera. Il Paese è semplicemente meno attraente per le campagne orchestrate”.
È vero che ci sono fattori di resistenza, come un sistema mediatico ben sviluppato. “Ma le classi vulnerabili alla disinformazione dello schieramento di destra spesso non usano nemmeno i media pubblici.” Humprecht vede il fattore più importante a livello sociale: “In Svizzera, il numero di persone economicamente emarginate è minore che in Francia”. Questo, assieme al piccolo mercato pubblicitario, contribuisce a una certa resilienza.
Un messaggio negli Stati Uniti può raggiungere centinaia di milioni di persone. I nove milioni di persone in Svizzera non possono essere raggiunti tutti con il tedesco, il francese o l’italiano, il che restringe ulteriormente il mercato.
Nello studio, Humprecht e i suoi coautori e coautrici hanno utilizzato come metro di misura i mercati pubblicitari e quindi l’orientamento al profitto, perché è più facile da misurare rispetto all’importanza geopolitica. “Ma la geopolitica è altrettanto importante. La Svizzera si trova in una buona posizione: per la Russia o la Cina è meno interessante esercitare un’influenza in Svizzera che in un grande Paese”, afferma Humprecht.
Uno dei motivi per cui la Svizzera è meno minacciata dalle fake news rispetto agli Stati Uniti è semplicemente che non è così interessante come gli Stati Uniti.
A cura di David Eugster
Traduzione e adattamento dal tedesco: Sara Ibrahim
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