Il Brasile vuole ridurre il lato oscuro dei biocarburanti
La produzione di biocarburanti è spesso accusata di accentuare il problema della fame. Da dieci anni il Brasile tenta di legare l’aumento della produzione di carburanti alternativi alla riduzione della fame e della povertà.
Pioniere in materia, il Brasile si è lanciato nei biocarburanti già una quarantina di anni fa. Il paese sudamericano è oggi il leader mondiale nella fabbricazione di etanolo e il terzo produttore di biodiesel.
Per invertire una storica logica che associa l’espansione delle zone di coltivazione alla fame e al lavoro degradante, il governo brasiliano punta su elementi quali l’innovazione tecnologica, la modernizzazione delle condizioni di produzione e di lavoro, così come i programmi d’incentivi rivolti ai piccoli produttori.
5% di biodiesel
Il principale strumento messo in atto per rendere più sociale la catena di produzione dei biocarburanti è il Programma nazionale di produzione e di utilizzo del biodiesel (PNPB). Questo prevede l’aggiunta, in modo progressivo e obbligatorio, di biodiesel prodotto da piccoli agricoltori a partire da piante oleaginose al diesel convenzionale.
Il PNPB impone attualmente un’aggiunta del 5%, ciò che basta per mantenere in attività 61 stabilimenti, per una produzione complessiva di 2,6 miliardi di litri di biodiesel.
Secondo l’Agenzia nazionale del petrolio, del gas naturale e dei biocarburanti (ANP), queste cifre rappresentano un aumento della produzione del 129% rispetto al 2007.
La catena produttiva è ripartita su tutte le regioni del paese. Tra i principali clienti vi è la Petrobras Biocombustibles (PBio), una filiale di Petrobas creata dall’ex presidente Lula. Lo sviluppo del settore rimane tuttavia disproporzionato, con una predominanza della produzione di soia nel sud. Stando al governo, la produzione di altre piante oleaginose (come il girasole, il ricino e la palma, più adatte alle regioni del nord-est) è comunque in crescita.
Carburante sociale
Per garantire l’integrazione dei piccoli agricoltori nella catena di produzione, un’altra regola del PNPB stabilisce che soltanto le aziende munite del “Label carburante sociale” possono partecipare alle aste organizzate dall’ANP. Per ottenere tale marchio, creato dal Ministero dello sviluppo agrario, un’impresa deve obbligatoriamente acquistare almeno il 30% delle sue materie prime dalle cooperative di piccoli agricoltori riconosciute dallo Stato.
Ed è appunto su questa ripartizione dei proventi che punta il governo. Secondo le ultime cifre ufficiali disponibili, a fine 2010 erano 109’000 le famiglie contadine di diverse regioni del Brasile a partecipare al programma. Anche qui, però, la ripartizione a livello nazionale è disuguale, con una predominanza al sud (57,1%) e una partecipazione estremamente bassa al nord (0,4%).
«I biocarburanti costituiscono un’opportunità per diversificare l’approvvigionamento energetico in Brasile e nel mondo, oltre a fornire impieghi e redditi alle campagne», afferma Miguel Rossetto, presidente di PBio. L’ex ministro dello Sviluppo agrario riconosce tuttavia che la dimensione sociale del PNPB può essere ancora migliorata.
Per raggiungere tale obiettivo, la strategia 2012-2016 di PBio prevede d’investire 690 milioni di dollari nella produzione di biodiesel. Entro il 2015, l’apertura di una nuova fabbrica nello Stato del Parà dovrebbe inoltre dinamizzare la produzione nel nord del paese.
Storica leadership
Per ciò che riguarda la produzione di etanolo ricavato dalla canna da zucchero, il Brasile detiene una posizione leader dal periodo della dittatura. Il regime militare che era a capo del paese negli anni Settanta del secolo scorso aveva deciso d’investire tempo e denaro nello sviluppo di alternative energetiche, in risposta alla crisi petrolifera.
Attualmente, la produzione mondiale di etanolo è stimata a 40 miliardi di litri all’anno (di cui 25 miliardi a fini energetici). Il Brasile, che produce 15 miliardi di litri, è l’unico a utilizzare l’etanolo per alimentare le automobili. Altri paesi, tra cui Stati Uniti, Giappone, Messico, Argentina e Colombia, hanno comunque già iniziato a miscelare questo carburante con la benzina.
Problemi vecchi e nuovi
La produzione di canna da zucchero su vasta scala è stata a lungo associata alla dittatura militare e al lavoro forzato. L’aumento della meccanizzazione – 60% durante l’ultimo raccolto, secondo l’Unione dell’industria della canna da zucchero – e le azioni della Polizia federale contro il lavoro degradante stanno comunque lentamente modificando quest’immagine. Sono però emersi “nuovi” problemi, come ad esempio l’impennata del consumo di crack tra gli operai che lavorano nei campi di canna.
Dal canto loro, i problemi già noti persistono, come evidenziano le indagini nel nord-est del paese svolte dall’ong Repórter Brasil. Si tratta in particolare di «migrazioni» forzate dei lavoratori, del contatto diretto con prodotti chimici o delle giornate estenuanti di lavoro. «Ci sono lavoratori che riescono a tagliare fino a dieci tonnellate di canna al mese», rileva Raimundo Nonato Moura, sindacalista nello Stato di Piauí.
Al momento, l’altra grande preoccupazione dei movimenti sociali brasiliani è l’impatto della produzione di etanolo sull’ambiente. A inquietare è soprattutto il fatto che la «frontiera della canna» possa avanzare in regioni quali l’Amazzonia. Gli ecologisti brasiliani lottano pure per la riduzione degli incendi legati all’agricoltura, una pratica che degrada l’ambiente e che libera grandi quantità di gas a effetto serra.
Uno studio pubblicato dalla Fondation Getúlio Vargas mostra che le emissioni di gas inquinanti del biodiesel sono del 57% inferiori a quelle del diesel convenzionale.
Dalla ricerca emerge poi che l’aggiunta di 5% di biodiesel al diesel convenzionale ha già permesso di evitare 12’945 ricoveri in ospedale e 1’838 decessi all’anno dovuti a malattie respiratorie.
Traduzione di Luigi Jorio
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