Il Consiglio federale svizzero, i punti forti di un Governo “debole”
Da 175 anni un Governo composto di sette membri guida la Svizzera federalista nella buona e nella cattiva sorte e per questo gode di una grande fiducia. Uno dei segreti è la vicinanza al popolo.
A prima vista è un ristorante tipico come se ne vedono a decine in quel di Berna, la capitale federale. Cucina casalinga, vini corposi, tavoli all’aperto e gestori cordiali. Quattro cose però rendono speciale questo locale: la posizione, il nome, la cosiddetta Säli (la sala interna al primo piano) e la clientela.
Il ristorante si affaccia proprio sulla Piazza federale, vicino alla Banca nazionale e di fronte a Palazzo federale, in un certo senso nel cuore del potere politico della Svizzera.
Al primo piano del “Café Fédéral”, questo il nome con cui è conosciuto il ristorante, vi è una sala alle cui pareti sono appese le foto di tutte le donne e tutti gli uomini che hanno governato la Svizzera negli ultimi 175 anni. In passato, proprio in questa sala i membri del Consiglio federale si ritrovavano per mangiare assieme al termine della seduta settimanale.
Oggi ormai per questi pranzi piacevoli tra colleghi di Governo in un’atmosfera intima il tempo è troppo poco, ma è possibile incrociare le consigliere e i consiglieri federali in uno dei tanti ristoranti di Berna mentre bevono un caffè e scambiano quattro chiacchiere con conoscenti più o meno di vecchia data. Spesso sono privi di scorta o di guardie del corpo.
L’immersione quotidiana dei membri del Governo elvetico tra la popolazione rappresenta uno degli elementi costitutivi di un sistema politico che, rispetto ai sistemi degli altri Paesi, è molto particolare. Il modello svizzero è rinomato per la sua efficienza ed è considerato un esempio di democrazia.
La statistica dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) è inequivocabile: in Svizzera i valori relativi all’efficienza politica e al gradimento democratico sono alti, mentre in questa speciale classifica altri Paesi arrancano, come per esempio la vicina Italia.
A Roma dallo scorso autunno governa Giorgia Meloni, 68a Presidente del Consiglio dalla proclamazione della Repubblica – avvenuta 77 anni fa –. In Italia dal 1946 hanno prestato giuramento non meno di 1300 tra ministre e ministri, mentre in Svizzera dal 1848 – come si può vedere anche dalle foto appese nella sala del “Café Fédéral” – le consigliere e i consiglieri federali che hanno fatto una promessa solenne o prestato giuramento sulla Costituzione federale sono stati appena 121. In altre parole: ogni anno la Svizzera “consuma” un numero di governanti 25 volte inferiore rispetto all’Italia.
Come mostrano le analisi dell’Università di Berna*, questo dato impressionante affonda le radici nella fiducia da record che la popolazione svizzera ripone nel proprio Governo, il Consiglio federale. Stando all’Ufficio federale di statistica, negli ultimi vent’anni questa fiducia è persino aumentata ulteriormente.
Le differenze tra il Governo svizzero e gli esecutivi politici di altri Paesi europei, però, non riguardano solo le statistiche e le cifre. La politologa Rahel Freiburghaus, che nella sua veste di ricercatrice studia la politica svizzera, oltre a questi aspetti evoca altre differenze di natura più pratica.
Tra queste figura il ruolo del Consiglio federale all’interno dei meccanismi politici: “Contrariamente a quanto avviene in altri Paesi, in Svizzera è raro che il Governo si presenti come organo decisore individualista; il Consiglio federale elvetico funge piuttosto da mediatore, il cui compito è quello di trovare un equilibrio tra gli interessi più disparati”.
Tutto ciò non è casuale; la ragione di questa dinamica particolare va ricercata, per esempio, negli ampi diritti di cui godono le cittadine e i cittadini. Il popolo, infatti, può chiedere, tramite referendum, di sottoporre ogni nuova legge a votazione popolare oppure può addirittura proporre una modifica costituzionale tramite un’iniziativa popolare. “Se da un lato il Consiglio federale deve informare gli aventi diritto al voto in modo completo, obiettivo e trasparente circa gli oggetti sottoposti a votazione federale, dall’altro talvolta nei confronti dei Cantoni deve agire da mediatore”, afferma Freiburghaus.
Dando vita al Consiglio federale quale organo esecutivo, ai padri costituenti del 1848 – le donne e molte altre categorie della popolazione sono state a lungo escluse dal diritto di voto – era riuscito un capolavoro capace di durare nel tempo: negli ultimi 175 anni, infatti, i tentativi di riforma, per esempio per ampliare l’esecutivo o per introdurre l’elezione del Consiglio federale da parte del popolo, sono falliti. Per ben tre volte – 1899, 1939 e 2011 – il popolo ha potuto esprimersi al riguardo in occasione delle rispettive iniziative, che per finire non sono mai state accolte.
Allo stesso tempo i partiti, come organo di nomina, e il Parlamento, come organo elettivo del Consiglio federale, devono “trattenersi” quando si tratta di trovare candidate e candidati capaci di ottenere la maggioranza dei voti per l’alta carica governativa, afferma Freiburghaus: “Non sono richieste personalità forti e dalla lingua tagliente che seguano la linea del partito, bensì servono individui comunicativi capaci di fare il bene della squadra”. Solo così è possibile arrivare a soluzioni praticabili nel complesso sistema politico elvetico, dove i poteri sono ripartiti; il Consiglio federale, infatti, si trova al centro del processo decisionale politico.
Per molto tempo le osservatrici e gli osservatori, così come le specialiste e gli specialisti, hanno fatto fatica a mettere a fuoco il sistema governativo svizzero, che non assomiglia né al sistema parlamentare né tantomeno a quello presidenziale. Nelle democrazie parlamentari come l’Italia, la Gran Bretagna o l’Australia, le cittadine e i cittadini eleggono il Parlamento che poi, con la propria maggioranza, nomina il Governo e può persino farlo cadere.
In un sistema presidenziale come quello degli Stati Uniti, invece, il Parlamento e il Governo vengono eletti direttamente dal popolo. E in Svizzera? Qui la maggioranza del Parlamento, la cosiddetta Assemblea federale – costituita dal Consiglio nazionale e dal Consiglio degli Stati –, elegge ogni membro del Governo singolarmente e secondo il principio dell’anzianità di servizio.
Tuttavia, non è possibile rimuovere dalla carica i membri del Governo nei quattro anni che intercorrono tra un’elezione per il rinnovo integrale dell’esecutivo e l’altra, ed è raro che una consigliera o un consigliere federale che hanno manifestato la propria disponibilità alla rielezione non vengano confermati; dal 1848 è successo solo quattro volte, l’ultima volta nel 2007 con l’ex ministro della giustizia Christoph Blocher.
Governo senza capo
C’è un altro aspetto che contraddistingue il Governo elvetico dagli altri esecutivi nazionali: non ha un capo. Il ruolo di Presidente della Confederazione viene ceduto ogni anno a un altro membro del gabinetto e non comporta alcun potere supplementare, ma solo compiti rappresentativi in Svizzera e all’estero.
Come altri impulsi della Rivoluzione francese per la democrazia moderna – come, per esempio, i diritti democratici popolari diretti – nella Francia centralizzata l’idea di Governo collegiale fu abbandonata rapidamente, mentre in Svizzera, caratterizzata da molte comunità politiche più piccole, trovò terreno fertile e nel 1848 fu sancita dalla Costituzione.
Un Parlamento con poche risorse
Oltre alla sovranità popolare, tra gli impulsi della Rivoluzione francese figura anche la forte posizione dell’organo legislativo (Parlamento) rispetto a quello esecutivo (Governo). “Dal punto di vista giuridico e formale il Consiglio federale è uno tra i Governi più deboli d’Europa”, afferma Adrian Vatter**, professore di politica svizzera presso l’Università di Berna e autore del libro “Der Bundesrat – die Schweizer Regierung“, opera in lingua tedesca sul Consiglio federale.
E ciò non è tutto, in quanto “il Parlamento svizzero ha molti diritti ma scarse risorse, oltre a essere poco professionalizzato”. Per questo motivo in Svizzera i rapporti di forze risultano piuttosto equilibrati anche sotto questo profilo.
Sebbene questo “sistema direttoriale”, caratterizzato da un esecutivo in formato mini, abbia dimostrato la propria efficacia nella vita di tutti i giorni, nei periodi di crisi il Consiglio federale finisce regolarmente nell’occhio del ciclone. Basti pensare all’inizio della pandemia di COVID-19 nel 2020, quando il Governo posticipò una votazione popolare già fissata, o ai primi mesi di quest’anno quando l’istituto finanziario “Credit Suisse”, gigante bancario in crisi, è stato rilevato da UBS, diretta concorrente.
In entrambi i casi il Consiglio federale ha fatto ricorso all’”ultima ratio”, il diritto di necessità; in questo modo ha alimentato nuovi dibattiti sulle debolezze e sui punti di forza del Governo nel sistema politico svizzero.
Dibattiti, questi, che nell’era della mediatizzazione e della personalizzazione si ripercuotono sempre più anche sui singoli membri dell’esecutivo. I giornali scandalistici conducono periodicamente sondaggi di gradimento tra la popolazione, dai quali emerge che, attualmente, se si trattasse di dover scegliere con chi bere un caffè al ristorante, la gente preferirebbe la ministra della difesa Viola Amherd.
Governare in tempo di crisi
In Svizzera, le leggi federali sono generalmente soggette a referendum facoltativo. Ciò significa che una nuova disposizione di legge può entrare in vigore solo se entro 100 giorni dalla sua pubblicazione non sono state raccolte 50’000 firme per indire un referendum.
In caso di urgenza, la maggioranza dell’Assemblea federale può consentire l’entrata in vigore immediata di una legge. Un eventuale referendum avrà luogo solo successivamente.
Il diritto di necessità del Consiglio federale nel senso attuale esiste dal 1999, quando la Costituzione federale è stata rivista. Il Governo può applicarlo sulla base degli articoli 184 e 185: Per salvaguardare gli interessi del Paese e la sua sicurezza interna ed esterna, può emanare autonomamente ordinanze senza dover consultare il Parlamento o il popolo.
Il diritto di necessità è stato applicato per la prima volta nel 2008, in occasione del salvataggio della banca UBS. Durante la pandemia di coronavirus, il Governo ha fatto capo a questa possibilità 18 volte nel 2020 e, più recentemente, nel 2023 per il salvataggio di Credit Suisse.
Altri sviluppi
*Freitag, Markus e Alina, Zumbrunn. 2022. Politische Kultur. Pagg. 85–109. In Handbuch der Schweizer Politik – Manuel de la politique suisse, edito da Y. Papadopoulos, P. Sciarini, A. Vatter, S. Häusermann, P. Emmenegger e F. Fossati. Basilea: NZZ Libro.
**Vatter, Adrian. 2020. Der Bundesrat. Die Schweizer Regierung. Volume 12. Politik und Gesellschaft in der Schweiz. Basilea: NZZ Libro.
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