Il ricorso alle iniziative popolari va frenato?
Negli ultimi tempi sono notevolmente aumentate le iniziative popolari sottoposte a votazione federale. Il popolo è così chiamato ad esprimersi su un numero sempre maggiore di temi. Alcuni propongono ora di introdurre ostacoli più grandi per frenare questa tendenza.
Sabato pomeriggio sulla Bärenplatz di Berna. Questa piazza della capitale elvetica, sempre piuttosto affollata, figura tra i luoghi prediletti da partiti e organizzazioni per la raccolta delle 100’000 firme necessarie per la consegna di un’iniziativa popolare alla Cancelleria federale.
Un’attività praticata a più riprese anche da alcuni esponenti politici svizzeri, tra cui il deputato socialista Andy Tschümperlin. “Ho cominciato a diventare attivo in politica, raccogliendo firme per un’iniziativa nel mio Comune. Questo lavoro fa parte del mio curriculum politico”.
Le iniziative popolari rappresentano uno dei perni del sistema di democrazia diretta. Grazie a questo strumento, i cittadini firmatari possono avanzare delle proposte di modifica della Costituzione, che devono essere sottoposte direttamente al verdetto del popolo, anche se non sono condivise dal governo e dal parlamento. Per fare questo occorre però trovare almeno 100’000 persone, aventi diritto di voto, disposte a sottoscrivere il testo nel giro di 18 mesi dal lancio ufficiale dell’iniziativa.
L’iniziativa popolare permette ai cittadini di proporre una modifica della Costituzione. Per essere valida, deve essere sottoscritta da almeno 100’000 aventi diritto di voto nello spazio di 18 mesi.
Il Parlamento può decidere di accettare direttamente l’iniziativa. Può pure rifiutarla o preparare un controprogetto. In ogni caso viene comunque organizzato un voto popolare.
Per essere adottata, l’iniziativa deve ottenere il voto di una maggioranza di cittadini e di cantoni.
Marea di iniziative
Negli ultimi tempi, il numero delle iniziative popolari è costantemente aumentato di anno in anno. Partiti e organizzazioni non sembrano temere i costi per la raccolta delle firme, che si aggirano in media sui 200’000 franchi.
“Ci sono voluti quasi 100 anni per le prime 250 iniziative. Oggi siamo già giunti a 400”, rileva Bruno Hofer, autore di un libro che ripercorre l’evoluzione di questo diritto politico, dal 1891 sino al 2012 (“Volksinitiativen in der Schweiz 1891 bis 2012”).
“L’iniziativa è diventata una misura di supporto dell’esercizio politico”, aggiunge Hofer, il quale analizza nel suo saggio le ragioni che spingono le forze politiche a fare un uso crescente di questo strumento democratico. “Ormai tutti i partiti, anche quelli che compongono il governo, considerano buona cosa sottoporre agli elettori dei formulari per la raccolta di firme, come se volessero celebrare la vitalità della democrazia”.
Anche per Avenir Suisse, “meno iniziative porterebbero di più”. Secondo il “Think-Tank” del settore economico, l’aumento delle iniziative va legato anche la sensibile crescita della popolazione, che facilita la raccolta delle firme. “Per questo motivo, sarebbe auspicabile raddoppiare o triplicare il numero delle firme necessarie”.
Tre proposte al vaglio
Un’idea sostenuta anche da Jean-Daniel Gerber. In un’intervista alla Neue Zürcher Zeitung, l’ex segretario di Stato menziona tre possibilità per erigere degli ostacoli alla pletora di iniziative popolari.
Innanzitutto un aumento del numero di firme da 100’000 a 200’000, in modo da tener conto della forte crescita demografica in corso dal 1977. Altra proposta, una riduzione della durata autorizzata per la raccolta delle firme da 18 a 9 mesi. Oppure, l’attribuzione di nuovi poteri al parlamento: verrebbero così sottoposte al popolo solo le iniziative che hanno ottenuto una determinata percentuale di sostegni da parte dei parlamentari.
Una quota simile non è però ben vista da molti politici e osservatori. “Si tratta di una perversione del carattere fondamentale dei diritti popolari”, ritiene Bruno Hofer. “L’idea alla base di questo strumento politico è invece quella di permettere ai cittadini di portare avanti delle proposte, senza dover passare dal parlamento”.
Il diritto di iniziativa popolare è stato introdotto già nel 1848 nella Costituzione federale, ossia al momento della nascita dello Stato moderno.
A quei tempi bastavano 50’000 firme per poter consegnare un’iniziativa popolare. Un numero che corrispondeva però all’8% degli aventi diritto di voto.
Dopo l’introduzione del diritto di voto per le donne nel 1971, questa quota era scesa all’1,3%. Il numero delle firme richieste è stato così aumentato nel 1971 a 100’000.
Oggi, 100’000 firme corrispondono a circa il 2% degli aventi diritto di voto.
Anche Martin Landolt, presidente del Partito borghese democratico (PBD), ritiene che questa proposta “non rientra nello spirito della democrazia diretta”. A suo avviso, dovrebbero essere eretti degli ostacoli più grandi, ma “i diritti popolari non vanno pregiudicati”.
Il presidente del PBD non vede inoltre di buon occhio una riduzione della durata del periodo autorizzato per la raccolta delle firme: un ostacolo di questo tipo potrebbe essere facilmente superato solo da coloro che dispongono di “una grande macchina di marketing”.
Adattamento automatico del numero
Resterebbe quindi la proposta di aumentare il numero delle firme. A detta di Hofer bisognerebbe introdurre un automatismo per tener conto dell’evoluzione demografica. Una misura introdotta quest’anno dal canton Ginevra: un’iniziativa popolare deve ora essere firmata da almeno il 4% degli aventi diritto di voto.
A livello federale, secondo Hofer, si potrebbe fissare questa quota al 2,5%, ciò che corrisponderebbe a circa 129’000 persone. Attualmente, invece, è necessario solo il 2% di firme dei 5,2 milioni di aventi diritto di voto.
Per Landolt, questo modello è degno di essere valutato. Con una percentuale fissa, il numero delle firme sarebbe automaticamente adeguato all’evoluzione demografica. Il tema è attualmente in discussione presso il PBD.
Effetto dubbio
Contrario ad un aumento della quota minima è invece Andy Tschümperlin, dal momento che “perfino i partiti di governo non riescono sempre a raccogliere le firme necessarie per un’iniziativa popolare”.
Landolt ammette che un aumento “potrebbe avere l’effetto di un autogol”: “proprio le forze che utilizzano le iniziative e i referendum come strumento di marketing potrebbero conservare anche in futuro la capacità di raccogliere le firme necessarie”.
Una questione discussa all’interno del PBD: “Da un lato vi sarebbe il bisogno di un aumento, dall’altro non siamo convinti che un cambiamento simile darebbe i risultati sperati”.
Termometro politico
Ostacoli più grandi non sono considerati una buona soluzione dal politolgo Marc Bühlmann, autore di uno studio sull’impiego delle iniziative popolari a livello cantonale. Tra i cantoni vi sono grandi differenze per quanto riguarda il rapporto tra la popolazione e il numero di firme necessario per un’iniziativa.
“Queste differenze non riflettono però il numero di iniziative lanciate nei cantoni”, osserva Bühlmann. “Vi sono dei cantoni che impongono un numero elevato di firme, ma che votano spesso su delle iniziative. In altri, con una quota minima piuttosto bassa, giungono in porto poche iniziative. Non vi è quindi un rapporto evidente”.
Il numero di iniziative lanciate non dipende solo dai criteri di questo strumento. In alcune regioni della Svizzera vi sono maggiori problematiche e questo si riflette poi sul numero di iniziative popolari.
Secondo il portale delle autorità elvetiche “ch.ch”, la campagna e la raccolta delle firme per un’iniziativa popolare a livello federale richiedono un onere di almeno 150’000 franchi.
Non vi sono però degli studi sui costi di un’iniziativa, dal suo lancio fino all’esame da parte del parlamento e al voto finale.
La Cancelleria federale stima che l’organizzazione e lo svolgimento di una votazione federale costano da 7 a 8 milioni di franchi per i poteri pubblici. Ogni anno si tengono in Svizzera fino ad un massimo di 4 votazioni federali, nelle quali è generalmente sottoposto più di un tema al verdetto popolare.
Le spese per la procedura da parte delle autorità (esame dell’iniziativa, preparazione di un messaggio, sedute delle commissioni parlamentari e in dibattito alle due Camere federali) sono stimate a 200’000 franchi. L’onere può essere più alto se viene elaborato un controprogetto diretto o indiretto.
Traduzione di Armando Mombelli
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