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Il tuo voto conta? Trump dice ‘Vediamo’, la Svizzera dice ‘Parliamone’

Fighter jet with two people on board
Gli elettori svizzeri hanno approvato un credito per l'acquisto di nuovi caccia che dovrebbero sostituire i “vecchi” FA/18, ma il dibattito non è ancora concluso. © Keystone/ Valentin Flauraud

Le preoccupazioni dei cittadini statunitensi in vista delle prossime elezioni sono tutt'altro che uniche. Le recenti esperienze della Svizzera con i referendum possono offrire alcune idee per gestire la polarizzazione politica.

In un momento inquietante per la democrazia americana, il presidente americano, Donald Trump, si è rifiutato di dichiarare se accetterà l’esito delle elezioni del 3 novembre, avvertendo invece i suoi sostenitori di prepararsi a un disastro democratico.

“Sarà una frode come non l’avete mai vista”, ha detto durante il primo dibattito televisivo con il candidato democratico alla presidenza, Joe Biden.

Trump ha pure messo in dubbio la validità del voto per corrispondenza – iniziato già verso il 1880 e ora accessibile all’83% dell’elettorato americano – e ha suggerito al gruppo dei “Proud Boys”, i sostenitori della supremazia bianca, di “tenersi pronti” fino a quando il risultato non sarà noto.

Questa deriva verso comportamenti antidemocratici nella più lunga democrazia moderna non è certo un’eccezione nel panorama politico globale, secondo Adam Przeworski. Il politologo della New York University ricorda che 68 paesi non hanno mai avuto un passaggio di potere pacifico.

“In effetti, le transizioni pacifiche di potere e l’accettazione delle decisioni elettorali sono state rare negli Stati moderni”, sottolinea Przeworski, che in una sua ricerca ha valutato 3’000 voti popolari in 230 anni. In Africa, un premio speciale mira a onorare i leader che si dimettono volontariamente di fronte all’opposizione democratica. È stato conferito simbolicamente a Nelson Mandela nel 2007, ma non è stato assegnato in sei degli ultimi dieci anni perché la giuria internazionale non è riuscita a trovare un leader nel continente africano disposto ad accettare una sconfitta democratica.

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Equilibrio tra interessi in competizione

Una tale riluttanza ad accettare il risultato di un’elezione o un referendum è “un chiaro segno che la democrazia è troppo debole in un paese”, osserva Marc Bühlmann, professore di scienze politiche all’Università di Berna. “In una vera democrazia la sconfitta non esiste, ma solo il risultato”.

In molti paesi le elezioni non sono solo un controllo regolare del potere, ma aiutano a dare equilibrio a una varietà di interessi in competizione. La Costituzione statunitense crea deliberatamente una tensione tra la presidenza e il Congresso, spesso nelle mani di schieramenti politici opposti.

In Germania, le elezioni in ciascuno dei 16 Bundesländer (Stati regionali) sono scaglionate nel corso della legislatura quinquennale del Bundestag, la Camera bassa del parlamento. Ciò permette agli elettori di ritoccare gli equilibri di potere nel Bundesrat, la Camera alta in cui sono rappresentate le Regioni. I francesi a volte vivono con la “coabitazione”, il presidente proviene da una sponda politica e il governo dall’altra. Questo tipo di meccanismi di condivisione del potere e di compensazione può rendere più facile per un campo politico accettare un risultato negativo alle urne.

Questo vale anche per la Svizzera. “Un esempio evidente di questa cultura di accettazione del risultato di uno scrutinio si è visto con l’ultima votazione federale del 27 settembre”, rileva Marc Bühlmann, che dirige il progetto di ricerca Swissvotes, con il quale vengono valutati tutti i risultati delle votazioni dal 1848.

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In votazione vi erano cinque temi, tra cui un credito miliardario per l’acquisto di nuovi aerei da combattimento, approvato dalla maggioranza di centro e destra del parlamento e combattuto da un referendum del Gruppo per una Svizzera senza esercito. Dopo la chiusura delle urne, vi è stata una lunga suspense sull’esito di questo oggetto, in quanto per diverse ore le proiezioni mostravano una divisione del 50 – 50 % tra i “sì” e i “no”.

Alla fine, i sostenitori dei caccia si sono imposti con una strettissima maggioranza: meno di 9’000 schede in più su oltre tre milioni di voti espressi. Una vittoria anche per il governo che aveva proposto l’acquisto dei velivoli da combattimento.

Ma, subito dopo, l’arrivo dei dati finali, la ministra della difesa Viola Amherd ha dichiarato che un futuro acquisto potrebbe essere “più economico del previsto”, tenendo conto del risultato serrato di questo voto. I perdenti hanno invece annunciato di proseguire la battaglia quando si tratterà di decidere quale aereo acquistare. In altre parole, la votazione non ha posto fine ai dibattiti.

“Forse la reattività del governo nei confronti delle esigenze della metà di elettori che si sono opposti, potrebbe evitare una nuova votazione”, dice Giada Gianola, politologa dell’Università di Berna. A suo avviso, il sistema politico svizzero offre ai cittadini e ai gruppi politici molte possibilità per definire l’agenda e partecipare al processo decisionale. “Dopo questo scrutinio, si intravedono già proposte che potrebbero portare a nuove votazioni sul congedo parentale, la legge sulla caccia e o l’integrazione europea” – tre temi sui quali gli elettori si sono espressi lo scorso 27 settembre. 

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Gli svizzeri hanno il diritto di essere ascoltati

Non tutti gli elettori svizzeri apprezzano l’invito a partecipare alle battaglie politiche tre o quattro volte all’anno. Sia in Parlamento che nei governi cantonali si è cercato di introdurre periodi di attesa per nuove iniziative popolari.

“Tali limitazioni e periodi di attesa esistono in molti paesi con meccanismi di democrazia diretta”, indica Klaus Hofmann, direttore del Direct Democracy Navigator dell’Università di Wuppertal, che ha catalogato più di 1’800 normative di referendum e iniziative popolari in 108 paesi. Ma il governo svizzero ha sempre respinto ogni tentativo di limitare la capacità dei cittadini di lanciare iniziative e referendum.

“La mancanza di tali barriere non ha mai portato a interruzioni intollerabili o tensioni nella vita pubblica”, sosteneva il governo nel 1986, rispondendo a una proposta di un parlamentare liberale di Basilea, che – in qualità di dipendente dell’industria chimica – era irritato da un’iniziativa contro la sperimentazione animale, lanciata appena un giorno dopo la votazione su una proposta simile.

Un modo per superare la polarizzazione?

La democrazia diretta può quindi ridurre la filosofia del “chi vince prende tutto” alle urne. E tali pratiche esistono negli Stati Uniti, anche se non a livello nazionale.

Sarah Rosier di Ballotpedia, una banca dati online sulle elezioni statunitensi, osserva che 49 dei 50 Stati americani dispongono di normative che permettono di sottoporre nuove leggi o emendamenti costituzionali a un voto popolare. “Venticinque Stati permettono ai cittadini stessi di chiedere un referendum sulle nuove leggi”, precisa Sarah Rosier.

“Il nostro grande problema è che non abbiamo una democrazia diretta a livello federale”, dice Dane Waters, stratega del partito repubblicano ed ex funzionario dell’amministrazione repubblicana.

“L’America si trova ora ad affrontare una delle sue più grandi prove dai tempi della Guerra civile”, prevede Waters. “La divisione e la polarizzazione sono all’apice e tutto è radicato nelle differenze razziali, economiche, morali e sociali. Se gli Stati Uniti avessero avuto una democrazia diretta a livello nazionale queste differenze avrebbero potuto essere affrontate […] dando voce alle persone”.

Traduzione di Armando Mombelli

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