In Svizzera l’obbligo di leva non si tocca
La Svizzera resta tra i rari paesi dell’Europa occidentale che oggi mantengono la coscrizione obbligatoria. La proposta di abolire questo obbligo è stata spazzata via senza mezzi termini in votazione popolare domenica.
Il paese ha rifiutato in modo massiccio e compatto l’iniziativa “Sì all’abolizione del servizio militare obbligatorio”. Tutti i cantoni e il 73% dei votanti hanno bocciato il testo promosso dal Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE), che proponeva un servizio militare e un servizio civile prestati da uomini e donne su base volontaria.
Dai sondaggi in vista del voto era emerso che la maggioranza dei cittadini elvetici considera irrinunciabile l’esercito di milizia. Il risultato inequivocabile dello scrutinio di domenica lo ha confermato. Un aspetto evidenziato nelle reazioni sia degli oppositori che dei fautori dell’iniziativa.
Riconoscendo che “la nozione di milizia è profondamente ancorata nella concezione popolare dell’esercito”, il Partito socialista (PS) puntualizza tuttavia che il sostengo al servizio militare obbligatorio “non deve essere confuso con un sì all’insieme della struttura militare attuale. Il nostro esercito necessita delle riforme”, sostiene il PS in una nota.
Una necessità su cui concorda il presidente della Società svizzera degli ufficiali Denis Froidevaux, il quale ha dichiarato all’agenzia di stampa Ats che ora deve proseguire la riflessione sull’ammodernamento dell’obbligo di servire.
Altri sviluppi
Servizio di leva: Svizzera tra le eccezioni
L’idea sarebbe di allargare la sicurezza ad altri settori, quali per esempio la sanità e la protezione dell’ambiente, e di estendere la milizia alle donne e agli stranieri domiciliati in Svizzera. Il Partito liberale radicale cercherà di convincere i socialisti ad aderire a una proposta in tal senso, ha indicato il parlamentare Hugues Hiltpold.
Interpretando il categorico rifiuto popolare di abolire l’obbligo della leva in Svizzera come un riconoscimento dell’esercito e della sicurezza, anche il ministro della difesa e presidente della Confederazione Ueli Maurer ha affermato che l’attuale modello di servizio militare e civile non è perpetuo.
Un gruppo di lavoro si sta già occupando della riorganizzazione della protezione civile, ha aggiunto. Un secondo gruppo di lavoro si occuperà del servizio militare. Si tratterà in particolare di migliorare la permeabilità fra le istituzioni, come ad esempio tra difesa militare e civile, o tra protezione civile e dei vigili del fuoco, ha precisato Maurer
Il portavoce del GSsE Nikolai Prawdzic si è dal canto suo rammaricato che anche la sinistra non abbia capito la vera posta in gioco: in molti hanno confuso la fine dell’obbligo di servire con la fine dell’esercito di milizia e hanno temuto che l’esercito sfuggisse al controllo democratico, ha dichiarato alla televisione svizzera.
Sta di fatto che il GSsE esce nuovamente seccamente sconfitto. Così come i partiti di sinistra che lo hanno sostenuto. Nelle sue battaglie, dopo la sua prima iniziativa popolare, che chiedeva l’abolizione pura e semplice dell’esercito svizzero, il GSsE non è più riuscito a superare la soglia di un terzo dei consensi. Quel testo nel novembre 1989, due settimane dopo la caduta del muro di Berlino, ottenne il sostegno del 35,6% dei votanti.
Dai sondaggi in vista del voto era emerso che la maggioranza dei cittadini elvetici considera irrinunciabile l’esercito di milizia. Il risultato inequivocabile dello scrutinio di domenica lo ha confermato. Un aspetto evidenziato nelle reazioni sia degli oppositori che dei fautori dell’iniziativa.
Riconoscendo che “la nozione di milizia è profondamente ancorata nella concezione popolare dell’esercito”, il Partito socialista (PS) puntualizza tuttavia che il sostengo al servizio militare obbligatorio “non deve essere confuso con un sì all’insieme della struttura militare attuale. Il nostro esercito necessita delle riforme”, sostiene il PS in una nota.
Una necessità su cui concorda il presidente della Società svizzera degli ufficiali Denis Froidevaux, il quale ha dichiarato all’agenzia di stampa Ats che ora deve proseguire la riflessione sull’ammodernamento dell’obbligo di servire.
PLACEHOLDERSi modifica la legge sul lavoro
La sinistra domenica ha perso anche un’altra battaglia: il referendum contro la modifica della Legge sul lavoro, per consentire ai negozi annessi alle stazioni di servizio lungo autostrade e principali assi stradali di impiegare personale 24 ore su 24 per la vendita di prodotti “che rispondono principalmente ai bisogni dei viaggiatori”. Il cambiamento legislativo è stato approvato con quasi il 56% dei voti.
Le dimensioni di questo risultato hanno sorpreso, poiché nei sondaggi durante la campagna per il voto, l’elettorato si era mostrato spaccato sulla questione.
Evidentemente rammaricati i sindacati che, insieme ai partiti di sinistra e ad associazioni legate alle Chiese, avevano impugnato il referendum, ritenendo che la modifica legislativa sarebbe il primo passo verso la liberalizzazione generalizzata degli orari di apertura dei negozi. Ciò che farebbe cadere un pilastro fondamentale nella protezione dei salariati: il divieto di lavoro notturno e domenicale.
La copresidente del sindacato Unia, Vania Alleva, ha reagito al risultato chiedendo che le promesse fatte durante la campagna ora vengano rispettate. I partiti borghesi e il governo hanno sempre affermato che le nuove norme riguardano solo 24 negozi; “li prendiamo in parola”, ha dichiarato.
Gli avversari della modifica “hanno cercato di dipingere il fantasma della società di 24 ore, ma è sempre stata solo una questione di assortimento”, ha assicurato il direttore dell’Unione svizzera delle arti e mestieri Hans-Ulrich Bigler. Ora si potranno sfruttare meglio i margini di manovra che già erano presenti nella legge sul lavoro, ha aggiunto.
Attualmente le stazioni di servizio autostradali e sui principali assi stradali sono autorizzate ad impiegare ininterrottamente personale per vendere carburante e servire caffè e spuntini, ma non per prodotti che non possano essere consumati sul posto: la vendita di questi ultimi è vietata la domenica e la notte tra la 01:00 e le 05:00.
Legge sulle epidemie al passo con i tempi
Con il 60% di sì, ha nettamente superato l’esame delle urne anche la revisione totale della Legge sulle epidemie (LEp). Approvata a stragrande maggioranza dal parlamento, era stata combattuta con un referendum da gruppi di oppositori e critici delle vaccinazioni.
Costoro contestavano l’introduzione della possibilità per la Confederazione di rendere obbligatoria una vaccinazione. Finora solo i cantoni avevano questo diritto. A loro avviso, ciò comporterebbe il rischio di vaccinazioni coatte e di un aumento delle pressioni economiche – ossia dell’industria farmaceutica – affinché Berna dichiari obbligatorie delle vaccinazioni per le quali non vi sarebbero necessità epidemiologiche.
Con l’approvazione della nuova LEp, lo strumentario a disposizione delle autorità è stato adattato alle esigenze del 21esimo secolo, mentre la “cassetta degli attrezzi” degli anni ’70 è stata mandata in pensione”, ha dichiarato all’agenzia stampa Ats la presidente del comitato di sostegno Ursula Zybach.
Secondo i fautori della revisione, infatti, era infatti indispensabile adeguare la legge alle alle esigenze attuali della prevenzione, l’individuazione precoce, il controllo e la lotta contro le malattie trasmissibili. La diffusione di queste ultime è infatti cresciuta negli ultimi decenni a seguito delle trasformazioni delle condizioni di vita in una società globalizzata e dei mutamenti climatici.
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