Un rapporto del Controllo federale delle finanze alimenta il dibattito sul progetto del governo federale di allentare le regole per l'esportazione d'armi. Secondo l'organo di sorveglianza, i controlli sono insufficienti e manca una distanza critica dalle ditte esportatrici.
Questo contenuto è stato pubblicato al
7 minuti
Storico di formazione e grigionese di origine, mi interesso soprattutto di questioni politiche e sociali.
All’inizio dell’estate il Consiglio federale aveva annunciato la sua intenzione di allentare ulteriormente le regole per l’esportazione di armi, permettendo le vendite anche verso paesi coinvolti in un conflitto interno.
Eppure già oggi, scrive in un rapportoCollegamento esterno reso noto lunedì il Controllo federale delle finanze (CDF), le aziende belliche possono sfruttare le lacune della regolamentazione in vigore, godendo della benevolenza dell’amministrazione. Talvolta manca da parte di quest’ultima una sufficiente distanza critica dalle ditte esportatrici e dai loro lobbisti.
Stando al rapporto della CDF, tutte le decisioni sono state prese in conformità alle regole. Le modifiche dell’ordinanza e la prassi interpretativa (mediante decisioni confidenziali del Consiglio federale che hanno carattere di principio) hanno tuttavia portato negli ultimi 20 anni a “un’attuazione della LMB piuttosto favorevole all’economia”.
Nelle valutazioni delle richieste di esportazione, le varie istanze federali che se ne occupano “dovrebbero mantenere una distanza critica dalle imprese monitorate e dai loro lobbisti”, nota la CDF. Il rapporto deplora anche il fatto che i controlli sul rispetto delle regole per l’esportazione sono insufficienti e troppo saltuari.
I rilievi della CDF non sono passati inosservati alla Seco che ha criticato il rapporto sostenendo che il documento sia stato influenzato da un giudizio politico sull’esportazione di materiale bellico e sulle norme che lo regolano.
Contenuto esterno
Granate all’ISIS
Il rapporto del CDF contribuisce a ravvivare un dibattito già molto accesso. Domenica il periodico SonntagsBlickCollegamento esterno aveva rivelato che bombe a mano fabbricate dall’azienda svizzera Ruag erano probabilmente finite nell’arsenale dell’Isis in Siria. Stando al giornale, le granate sarebbero state sottratte all’Isis dal gruppo Haiat Tahrir al-Scham (o Al Qaida in Siria) in un villaggio della provincia di Idlib, uno degli ultimi bastioni del gruppo jihadista.
Le armi in questione sono poi state mostrate in televisione. Stando a diversi esperti contattati dal domenicale, le granate assomigliano ai prodotti fabbricati dalla Ruag. Non vi è la certezza assoluta, poiché i numeri di serie non sono leggibili. Tuttavia, il portavoce dell’azienda ha affermato che sulla base delle fotografie, le bombe a mano sono effettivamente state prodotte dalla ditta di proprietà della Confederazione.
La decisione del governo di mitigare le regole per l’esportazione d’armi è stata deplorata anche dal Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr). Sempre domenica il presidente del Cicr Peter Maurer ha affermato ai microfoni della radio pubblica SRF che la decisione di rendere più facile la vendita di armi, insieme al rinvio della ratifica del trattato internazionale per il divieto delle armi nucleari, comporta per la Svizzera una perdita “in termini di credibilità e di affidabilità come attore umanitario.”
“Il Consiglio federale ha perso la bussola morale”
Il rapporto della CDF ha trovato ampio spazio anche nelle colonne dei giornali svizzeri. Il tono è generalmente piuttosto critico.
“In Svizzera chi esporta carri armati e pistole può contare di essere lasciato in pace dallo Stato”, scrive per esempio il Tages Anzeiger. “In media un’azienda che produce armamenti viene controllata dalla Confederazione solo ogni cinque decenni.” “La preoccupazione per i posti di lavoro e per il know how nell’ambito degli armamenti ha finora impedito una svolta”, aggiunge il quotidiano zurighese. “Ma per le omissioni della Seco emerse ora non ci sono più argomenti validi.”
“Per quel che concerne l’esportazione d’armi, il Consiglio federale ha perso la bussola morale”, afferma dal canto suo il Blick. Il tabloid ritiene che sia giunta l’ora di “disarmare parzialmente” il governo in questo ambito. “Con i suoi ampi poteri e con decisioni confidenziali [il governo] prende decisioni incomprensibili, che per la Svizzera hanno maggiore importanza rispetto alle cifre delle esportazioni. Va bene tutto ciò che conduca a maggiori controlli e meno arbitrarietà”.
Anche Le Temps mette in primo piano i rischi per l’immagine del paese. “Il peso geopolitico della Svizzera è dato soprattutto dal suo soft power,” nota il quotidiano romando. “La sua influenza morale, immateriale. Facilitando in tal modo l’esportazione di materiale bellico, il Consiglio federale assume il rischio di minare la forza della diplomazia elvetica.”
“Resta da vedere cosa ne pensa il popolo svizzero”, scrive la Tribune de Genève. Il quotidiano ricorda che i votanti svizzeri avevano respinto con ampia maggioranza nel 2009 un’iniziativa che chiedeva il divieto di tutte le esportazioni di materiale bellico.
In futuro il popolo avrà tuttavia la possibilità di esprimersi nuovamente sull’argomento, quando sarà messa in votazione l’iniziativa del Gruppo per una Svizzera senza esercito che vuole bloccare i finanziamenti all’industria degli armamenti. “Le posizioni rimarranno senza dubbio inconciliabili”, conclude il quotidiano ginevrino.
0,14% delle esportazioni
Nel 2016 la Svizzera ha venduto materiale bellico per un valore di 412 milioni di franchi. La cifra corrisponde allo 0,14% del totale delle esportazioni elvetiche. A livello internazionale la Svizzera si classifica così all’11° posto tra i paesi esportatori di armi.
I cinque principali paesi destinatari delle esportazioni svizzere di armi sono stati la Germania, il Sudafrica, l’India, gli Stati Uniti e il Pakistan, come scrive il Controllo federale delle finanze nel suo rapporto. Nella versione pubblica del documento i nomi dei maggiori fornitori sono tuttavia occultati.
L’autorità che concede l’autorizzazione per le esportazioni è la Segreteria di Stato dell’economia (Seco). L’attuale ordinanza sull’esportazione di materiale bellico esclude la vendita di armi a paesi coinvolti in conflitti armati interni. In giugno il Consiglio federale ha deciso di allentare questa regola.
Articoli più popolari
Altri sviluppi
Affari esteri
La Svizzera coi nervi a fior di pelle dopo la vittoria di Trump
Come si può evitare che l’IA sia monopolizzata da Paesi e aziende potenti?
L'intelligenza artificiale ha il potenziale per risolvere molti dei problemi del mondo. Ma i Paesi e le aziende tecnologiche più ricche potrebbero cercare di accaparrarsi questi benefici.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.
Per saperne di più
Altri sviluppi
Armi svizzere anche nei paesi in guerra
Questo contenuto è stato pubblicato al
La decisione, motivata dalla volontà di mantenere in Svizzera capacità produttive nel settore degli armamenti, suscita però molte perplessità fra le organizzazioni che difendono i diritti umani e anche in parlamento. Lo scorso settembre, una dozzina di aziende svizzere che producono armamenti - tra cui RuagCollegamento esterno, General Dynamics European Land System – MowagCollegamento…
Il gemello guerriero di un aereo svizzero in lizza nelle forze USA
Questo contenuto è stato pubblicato al
Progettato nel cantone di Nidvaldo (Svizzera centrale), il Pilatus PC-9Collegamento esterno volerà presto nei cieli afghani? In un certo senso sì. Il Beechcraft AT-6 Wolverine, una variante americana dell’aereo svizzero, è uno dei due apparecchi attualmente testati dall’aeronautica militare statunitense per future missioni di combattimento. Se selezionato, questo “cugino” del PC-9 potrebbe entrare a…
Esportato quasi mezzo miliardo di materiale bellico nel 2015
Questo contenuto è stato pubblicato al
Bilancio in chiaroscuro nel 2015 per le ditte svizzere attive nel settore dell’armamento: da un lato le esportazioni sono calate del 21% rispetto al 2014, dall’altro però il volume delle nuove autorizzazioni è aumentato del 35%, a 769 milioni di franchi. La differenza tra i due dati si spiega con il fatto che alcuni beni…
L’embargo in Medio Oriente ostacola le esportazioni svizzere
Questo contenuto è stato pubblicato al
L’industria elvetica degli armamenti teme di perdere contratti milionari a causa del divieto di vendere armi agli Stati del Medio Oriente. In Svizzera, le restrizioni all’esportazione di materiale bellico intendono impedire che le armi vengano usate per commettere violazioni dei diritti umani.
In seguito all’offensiva militare dell’Arabia Saudita contro i ribelli Houti nel vicino Yemen, il governo svizzero ha deciso nel mese di marzo di imporre restrizioni sulle esportazioni verso il lucrativo mercato mediorientale.
Già confrontata con il franco forte, l’azienda statale di armamenti Ruag comunica che dal marzo 2015 non ha ottenuto l’autorizzazione di esportare verso il Medio Oriente. «Le richieste di esportazione sono in sospeso per la maggior parte dei paesi toccati dalla moratoria», indica l’azienda in una e-mail spedita a swissinfo.ch. Il danno finanziario è stimato a «diverse decine di milioni di franchi», scrive Ruag.
Il pericolo, aggiunge l’azienda con sede a Berna, è di perdere terreno nei confronti di altri concorrenti a lungo termine. «Inoltre, la nostra base industriale in Svizzera rischia di indebolirsi. Se le restrizioni dovessero protrarsi, i siti di Ruag in Svizzera [che impiegano 4'300 persone] verranno colpiti in modo significativo».
La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha confermato che le severe restrizioni all’esportazione concernono anche il Kuwait, la Giordania, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e l’Egitto, paesi coinvolti nel conflitto in Yemen.
Nel 2014, Bahrein e Emirati Arabi Uniti hanno effettuato ordinazioni per oltre 14 milioni di franchi ciascuno. Le ordinazioni dell’Arabia Saudita - un paese che negli ultimi anni è stato tra i grossi clienti di Ruag - sono state di poco inferiori ai 4 milioni.
Lettera di protesta
In giugno, diverse lobby sostenute da politici hanno inviato una lettera di protesta al governo, stando a un articolo della Neue Zürcher Zeitung (NZZ). Nella lettera si deplora che le restrizioni elvetiche hanno avvantaggiato gli esportatori di altri paesi, in particolare la Germania. Secondo la NZZ, anche l’attività del fabbricante di materiale bellico Rheinmetall Air Defence, con sede in Svizzera ma di proprietà tedesca, subisce le conseguenze del blocco delle esportazioni in Medio Oriente.
Le perdite dell’industria degli armamenti appaiono però sotto una luce diversa, se si pensa ai crimini di guerra perpetrati nel conflitto in Yemen, fa notare la sezione svizzera di Amnesty International (AI). «È risaputo che i caccia sauditi hanno bombardato obiettivi civili», sottolinea a swissinfo.ch Alain Bovard, esperto di commercio d’armi presso AI.
In Svizzera, prosegue, «la lobby delle armi è ben rappresentata e abbastanza potente per imporre delle modifiche nella legge che giovano agli interessi finanziari dei suoi membri». Alain Bovard fa riferimento alla controversa modifica legislativa dello scorso anno - adottata per un solo voto - che facilita le esportazioni di materiale bellico.
Con questa modifica, le esportazioni svizzere sono vietate soltanto nei paesi in cui sussiste un rischio importante che le armi vengano utilizzate per commettere violazioni dei diritti umani. Altrimenti, spetta al governo decidere caso per caso.
Indonesia, un cliente prezioso
Gli armamenti venduti all’estero rappresentano soltanto lo 0,26% di tutte le esportazioni elvetiche dello scorso anno. Tra i principali clienti ci sono la Germania e l’Indonesia, un mercato emerso nel 2014 e che sta ora colmando la lacuna lasciata dal Medio Oriente. Lo scorso anno, una cospicua ordinazione dell’Indonesia ha fatto salire il valore degli armamenti svizzeri venduti all’estero a 563,5 milioni di franchi (contro i 461 milioni del 2013).
Nei primi sei mesi del 2015 le vendite sono leggermente cresciute (217 milioni) grazie, ancora una volta, alle ordinazioni indonesiane. L’industria di materiale bellico è tuttavia lontana dalla cifra raggiunta nel 2011: 873 milioni di franchi.
Tangenti in India?
Malgrado una percentuale relativamente piccola se paragonata a quella di altri settori di esportazione, l’industria degli armamenti è considerata un ramo importante ed è il principale fornitore dell’esercito svizzero.
La natura stessa dei suoi prodotti pone però l’industria bellica sotto stretta osservazione, in Svizzera e all’estero. L’India ha ad esempio avviato un’inchiesta nei confronti di due aziende con sede in Svizzera accusate di aver versato delle tangenti per assicurarsi dei contratti.
Alcuni mesi fa, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha però respinto la richiesta indiana di assistenza giudiziaria nei confronti della Rheinmettal Air Defence e della SAN Swiss Arms (entrambe in mani tedesche). Le informazioni fornite dalle autorità indiane non soddisfacevano i requisiti della legislazione pertinente [sull’assistenza giudiziaria internazionale per questioni penali] e l’MPC non è quindi stato in misura di dar seguito alla domanda di assistenza giudiziaria, si legge un comunicato. Nessuna delle aziende coinvolte ha risposto alle domande di swissinfo.ch.
Armi riesportate illegalmente
Non è la prima volta che l’industria svizzera degli armamenti finisce nel mirino. La legislazione sull’esportazione di materiale bellico è stata inasprita nel 2012, dopo la scoperta che delle armi di fabbricazione elvetica erano state riesportate verso Stati terzi.
Alain Bovard di AI osserva ad ogni modo che la Svizzera ha fatto in generale passi avanti per ciò che riguarda il commercio di armi. «In un paio di occasioni le autorità elvetiche si sono mostrate alquanto ingenue, ma il comportamento della Svizzera è tutto sommato positivo».
Non è stato possibile registrare l'abbonamento. Si prega di riprovare.
Hai quasi finito… Dobbiamo verificare il tuo indirizzo e-mail. Per completare la sottoscrizione, apri il link indicato nell'e-mail che ti è appena stata inviata.
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.