Salvare vite sulle spalle delle fasce più deboli della società?
Fare di ogni persona alla morte una presunta donatrice di organi, a meno che in vita abbia posto il veto, è un’insidiosa scorciatoia, secondo due medici a lungo attivi in questo campo. La soluzione alla carenza di donatori di organi in Svizzera risiede nella formazione e nella comunicazione, ci spiegano.
Uniformità nazionale dal 2007
In Svizzera fino al 1° luglio 2007, ossia prima che entrasse in vigore la Legge federale sui trapianti, questi erano disciplinati a livello cantonale. Per la donazione di organi, in 17 cantoni vigeva il modello dell’opposizione (consenso presunto), negli altri 5 vigeva l’obbligo di chiedere il consenso.
Qualche anno dopo l’entrata in vigore della legge federale, in parlamento sono state presentate proposte di passare al modello del consenso presunto. La Camera del popolo ha approvato una mozioneCollegamento esterno in tal senso, ma la Camera dei cantoni l’ha affossata. La stessa richiesta è stata avanzata, ma bocciata da entrambe le Camere, nell’ambito della revisione parzialeCollegamento esterno della Legge sui trapianti, entrata in vigore lo scorso novembre.
Il governo federale si è sempre detto contrario e nel corso dei dibattiti parlamentari, il ministro della sanità Alain Berset ha ricordato che prima dell’entrata in vigore della legge federale, il cantone che aveva il tasso più elevato di donazioni era il Ticino, dove già allora vigeva l’obbligo di chiedere il consenso.
Sconfitti in parlamento, i fautori del consenso presunto hanno ora deciso d’imboccare la strada della democrazia diretta. Lanciata dalla sezione locale RivieraCollegamento esterno (regione di Montreux e di Vevey, sul lago Lemano) dell’Ong Junior Chamber InternationalCollegamento esterno, l’iniziativa popolare è sostenuta dalla fondazione SwisstransplantCollegamento esterno.
“Ma adesso dove si trova la sua anima?”. “In linea di principio noi saremmo d’accordo di donare gli organi del nostro caro, ma così nella sua prossima vita lo faremmo diventare una giraffa. Per questo non possiamo dare il nostro consenso”.
Sono due esempi degli interrogativi più disparati rivolti a Sebastiano Martinoli e Roberto Malacrida, nella trentina d’anni in cui i due medici ed ex professori universitari sono stati in prima linea nella promozione di una cultura di donazioni di organi in Ticino.
Benché entrambi da qualche anno si siano ritirati dalla medicina intensiva e di urgenza, l’impronta dei due professionisti in Ticino è ancora tangibile. Nel corso degli anni del loro lavoro pionieristico, il cantone italofono è passato dal fondo ai vertici della classifica delle donazioni di organi in Svizzera e per i media ticinesi ambedue rappresentano tuttora delle figure di riferimento su questa tematica.
Un cambiamento giuridico
Un tema ora al centro del dibattito pubblico in Svizzera, poiché è in corso la raccolta di firme per l’iniziativa popolare “Favorire la donazione di organi e salvare vite umaneCollegamento esterno“.
Essa chiede l’introduzione del principio del consenso presunto, detto anche “modello dell’opposizione”. Vale a dire che si presume che ogni persona sia d’accordo che alla morte i suoi organi, tessuti e cellule possano essere prelevati a scopo di trapianto, a meno che in vita abbia espresso la propria opposizione.
Oggi invece è l’inverso: una persona che desidera donare i propri organi esprime questa volontà attraverso l’apposita tesseraCollegamento esterno oppure dicendolo ai familiari. Per gli espianti, i medici devono sempre chiedere il consenso alla famiglia, “nel senso di raccogliere la conferma delle volontà del loro caro deceduto”, ricorda Roberto Malacrida.
+ Per saperne di più sulla situazione in Svizzera
I promotori dell’iniziativa sottolineano che la maggioranza dei paesi confinanti con la Svizzera ha adottato il principio del consenso presunto e i loro tassi di donazione di organi sono circa il doppio di quello elvetico.
È l’unica via praticabile per fare finalmente uscire la Svizzera dal gruppo di paesi con i tassi più bassi d’Europa?
Formazione e comunicazione per instaurare fiducia
No, ci rispondono senza esitazioni Sebastiano Martinoli e Roberto Malacrida, basandosi sulla loro esperienza pluridecennale. La prova: in Ticino, dove vige il principio del consenso informato, è stata raggiunta una quota di donazione pressoché uguale a quella della Spagna, il paese con il tasso più alto d’Europa, dove vige il consenso presunto.
Incontriamo i due medici separatamente, ma è come se parlassero con una voce sola. Non hanno dubbi sul fatto che il rapporto di fiducia delle famiglie dei pazienti nei confronti del personale curante abbia un influsso cruciale sulla propensione alla donazione di organi. E questa relazione di fiducia va costruita sapientemente.
“Più del 50% del successo della domanda di donazione di organi è dovuto al lavoro all’interno dell’ospedale”, afferma Sebastiano Martinoli. È determinante che “nei tre pilastri ospedalieri” per la donazione di organi – ossia nei reparti di terapia intensiva, rianimazione e pronto soccorso – vi siano team debitamente formati ad affrontare la diagnosi di morte cerebrale e ad accompagnare i familiari, spiega il chirurgo. Ciò implica “una buona scolarizzazione psicologica, comunicativa e tecnica”.
Queste équipe infermieristiche svolgono un lavoro preliminare capitale: al momento in cui il medico incontra la famiglia per chiedere il consenso di prelevare uno o più organi per la donazione, “si trova già la strada spianata”, sottolinea Roberto Malacrida. “Con tatto, sensibilità e rispetto, le infermiere preparano i familiari, riescono a infondere loro un sentimento di fiducia nei confronti del personale curante”.
Naturalmente, però, anche i medici devono essere formati a dovere e avere esperienza, per non rischiare di distruggere in un attimo tutto il lavoro degli infermieri. “Il problema generale della medicina oggi è che talvolta non comunica con uno stile sufficientemente rispettoso nelle situazioni più tragiche”, osserva Roberto Malacrida. Invece “un buon medico deve essere un buon comunicatore, non solo un bravo scienziato e un bravo tecnico”.
Rispettare tempi e silenzio
Una comunicazione ben fatta richiede parole e tempi giusti, spiegano i due esperti. Spesso, una delle grandi difficoltà dei medici è di resistere alla pressione dell’urgenza nella complessa organizzazione dell’espianto: per rassicurare la famiglia del paziente, occorre dedicarle tutto il tempo necessario, con tranquillità.
Particolarmente arduo è “gestire il silenzio. Nella comunicazione della morte c’è sempre un primo momento di silenzio. I familiari sono scioccati e il medico deve tacere, deve sapere assumere il silenzio, che può sembrare molto lungo”, dice Roberto Malacrida, ricordando di aver vissuto centinaia di volte episodi simili.
I due medici si oppongono invece categoricamente a tentativi di forzare la mano ai familiari che rifiutano la donazione, tramite pressioni e ricatti morali. “Eticamente è improponibile”, s’indigna Roberto Malacrida. “Siamo una società troppo multiculturale per pretendere il consenso di tutti”, rileva Sebastiano Martinoli.
I contatti di questi specialisti con i familiari non si interrompono peraltro con l’ottenimento del consenso. “Scrivevamo loro dapprima una lettera di ringraziamento, in cui trasmettevamo anche la gratitudine di chi aveva ricevuto gli organi, e dopo circa sei mesi una lettera per informarci su come avevano vissuto l’esperienza”, racconta Sebastiano Martinoli. I rapporti di fiducia così si consolidano.
Con l’iniziativa una vasta discussione
Il tema occuperà sicuramente ampio spazio nei media svizzeri per parecchio tempo in relazione all’iniziativa popolare che chiede l’introduzione del consenso presunto per la donazione di organi. Le discussioni avranno un effetto benefico?
Pur non condividendo l’idea dell’iniziativa, Roberto Malacrida giudica “molto importante il dibattito democratico che si creerà, indipendentemente dal risultato della raccolta delle firme ed eventualmente della votazione”, A suo avviso, si avrà così un’opportunità d’informazione e di riflessione generale. “Per questi ultimi motivi potrei anche firmare l’iniziativa”, aggiunge.
Fermamente contrario all’iniziativa, Sebastiano Martinoli teme invece che essa “si giocherà sul filo delle emozioni”.
Rischi in agguato
In ogni caso i due pionieri di una cultura di donazione di organi in Ticino faranno sicuramente sentire le loro voci, per mettere in guardia contro i pericoli che, a loro avviso, comporterebbe la prassi del consenso presunto. In primo luogo, molto probabilmente, parte della popolazione – soprattutto quella immigrata – non sarebbe informata, avvertono.
Entrambi vedono poi il rischio di discriminazioni sociali, vale a dire di servirsi di famiglie di fasce più deboli della popolazione, che sarebbero più facilmente forzabili, di persone senza famiglia e di emarginati. Inoltre rilevano il pericolo che dei medici utilizzino il consenso presunto come scorciatoia, per evitare il lavoro d’informazione, di comunicazione e di accompagnamento. È questo lavoro che consente “il consenso sereno, senza pentimenti”, afferma Roberto Malacrida.
Poiché i fautori dell’iniziativa citano spesso la Spagna come esempio, Sebastiano Martinoli e Roberto Malacrida ricordano che il paese iberico ha introdotto nella legge il consenso presunto, ma in realtà viene sempre richiesta l’informazione ai parenti per confermare il desiderio del defunto. Inoltre, contemporaneamente, sono state create equipe di medici, infermieri e psicologi ben formati che lavorano in modo coordinato e si prendono cura dei pazienti e delle famiglie. A loro avviso, è questo che ha determinato il cambiamento. In Spagna, come in Ticino.
Dal profilo etico
Bioeticista, ex membro della Commissione nazionale di etica per la medicina umana (CNECollegamento esterno), Alberto BondolfiCollegamento esterno, che ha insegnato in varie università svizzere e all’estero, da molti anni si occupa del tema delle donazioni e dei trapianti di organi. Nel dibattito pubblico sull’iniziativa popolare sulla donazione di organi è perciò particolarmente sollecitato dai media.
“Moralmente ritengo che il consenso presunto sia accettabile. Dal profilo etico non è un comportamento da rifiutare categoricamente”, ci dichiara l’attuale professore onorario dell’università di Ginevra, ricordando che giuridicamente “il cadavere non è equiparato a una persona. Certo, ci sono i diritti personali post mortem che non permettono di fare di un cadavere tutto quel che si vuole. Ma d’altra parte la persona in vita non ha il potere assoluto sul proprio corpo quando sarà morta”.
L’accademico puntualizza comunque che anche tra gli specialisti di etica non tutti la pensano così. Le opinioni divergono pure in seno alla CNE.
Tant’è che la maggioranza della Commissione, nel 2012 in relazione al progetto di modifica della Legge sui trapiantiCollegamento esterno, si era detta contraria al modello del consenso presunto, giudicando che questo interferirebbe con i diritti della personalità. Per garantire che a nessuno alla morte verrebbero prelevati organi contro la propria volontà, secondo la maggioranza dei membri della CNE, sarebbe indispensabile l’istituzione di un sistema di dichiarazione obbligatoria, ciò che restringerebbe la libertà di scelta individuale.
La CNE ha inoltre espresso dubbi sull’efficacia della misura. Un punto di vista, questo, condiviso da Alberto Bondolfi. “Non credo che sia la soluzione miracolo”, osserva il bioeticista.
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