Immigrazione: «missione impossibile» per il governo
Anche se non soddisfa nessuno, il progetto di legge per applicare l’iniziativa «contro l’immigrazione di massa» presentato dal governo era probabilmente l’unica via percorribile, commenta giovedì parte della stampa svizzera. Altri quotidiani sono invece più scettici. Su un aspetto però concordano: per districare la matassa, il popolo svizzero sarà verosimilmente chiamato prima o poi di nuovo alle urne.
All’annuncio del disegno di legge, le critiche sono piovute un po’ da tutte le parti: c’è chi avrebbe voluto più elasticità per soddisfare i bisogni del mercato del lavoro, come il mondo economico, chi una linea meno conciliante con l’UE, come l’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice, all’origine dell’iniziativa), chi un modello più chiaro e compatibile con gli accordi sottoscritti con Bruxelles, come i Verdi.
Siamo in un anno elettorale e chi «non parla forte e fa dell’iperventilazione» ha già perso, annota l’Aargauer Zeitung. La posizione del governo è però quella giusta. «Il suo messaggio è: pilotiamo da soli l’immigrazione dall’UE, a condizione di riuscire a trovare un accordo con Bruxelles. Se non funziona, non funziona. Una simile postura non ha però nulla a che vedere con la debolezza. È semplicemente pragmatismo, poiché un confronto aperto con Bruxelles, come vorrebbe la destra conservatrice, danneggerebbe la nostra economia», sottolinea il giornale argoviese.
«Per adesso è la strada più corretta», titola dal canto suo il Corriere del Ticino. Da quando il popolo ha approvato l’articolo costituzionale, sono spuntate molte proposte. Nessuna si è dimostrata finora percorribile. «Non ci sono soluzioni a prova di bomba né formule miracolose […].La via scelta dal Consiglio federale di applicare alla lettera l’iniziativa e nel contempo di tentare il negoziato con Bruxelles può non piacere, ma è quella più corretta nei confronti del popolo e la meno peggiore politicamente».
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Il governo punta su contingenti e priorità ai lavoratori indigeni
Anche per un altro giornale ticinese – La Regione – «il Consiglio federale non aveva altra scelta». Il 9 febbraio 2014, «il popolo ha infatti dato un mandato preciso al governo e al parlamento. La Svizzera deve riprendere il controllo sui flussi migratori anche quando interessano i cittadini dell’Unione europea. Questo principio, accanto a quello che dà la precedenza alla manodopera indigena, è stato iscritto nella Costituzione e il Consiglio federale non ha altra possibilità se non quella di tradurre in pratica il dettame costituzionale, pur cosciente delle conseguenze che tutto ciò è destinato ad avere nei rapporti con l’esterno e, in particolare, con l’Ue».
Bisogna «mettere il turbo»
Il progetto di legge non soddisfa però tutti i quotidiani. Un anno dopo la votazione, «il dossier sembra ancora bloccato alla casella di partenza», scrivono in un commento comune il 24heures e la Tribune de Genève, deplorando il fatto che «il governo non fa nulla per mostrare di prendere sul serio il problema dell’immigrazione» e tacciando di «fumisteria» le misure per incoraggiare il ricorso alla manodopera indigena.
«La Svizzera vittima d’inerzia», titola invece Le Matin. «È giunto il momento di porre fine all’incertezza che pesa su tutti gli attori toccati direttamente» dall’iniziativa: aziende, università, gli stessi stranieri… Mercoledì il governo ha ribadito quanto aveva già tratteggiato in giugno: un’applicazione draconiana del testo dell’UDC. «Vi saranno quindi dei contingenti. Una buona dose di preferenza ai lavoratori indigeni. Il tutto mixato con misure per dare dinamismo all’impiego di certe categorie della popolazione […]. E un pizzico di negoziati con Bruxelles», continua Le Matin. «Nei fatti, però, la Svizzera rimane immersa nel buio assoluto. A quale livello saranno fissati i contingenti? Come rendere possibile un’inflessione da parte dell’Europa e su quali punti? Mantenendo un’incertezza sempre più difficile da gestire, il governo delude».
Il testo dell’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” iscrive nella Costituzione federale l’obbligo di porre un freno all’immigrazione, fissando tetti massimi e contingenti annuali in funzione dei bisogni dell’economia. Sul mercato del lavoro, la preferenza dovrebbe essere inoltre data ai residenti. Secondo il nuovo articolo costituzionale 121a, la Svizzera ha tempo tre anni, dal voto del 9 febbraio 2014, per applicare il testo.
La Liberté parla dal canto suo di un «tentativo di spaccata» per conciliare accordo sulla libera circolazione e iniziativa, con un «uovo di Colombo che non è proprio fresco» e che riporta indietro il paese all’epoca dei contingenti e del «mercanteggiamento tra cantoni, settori professionali e amministrazione».
È passato un anno dalla votazione e la politica svizzera continua a procedere con serafica calma, scrive in sostanza la Neue Zürcher Zeitung. Il progetto presentato mercoledì dal governo non ha per nulla posto fine alle incertezze, sottolinea il giornale zurighese, chiedendo che adesso si «metta il turbo». Per la Neue Luzerner Zeitung, mercoledì il Consiglio federale «non ha compiuto nessun passo in avanti». Secondo il giornale lucernese, «il governo ha indebolito la sua posizione negoziale rivelando il suo obiettivo ultimo [preservare gli accordi bilaterali, ndr.]. L’UE ormai sa che Berna non assumerà una posizione di confronto. D’altro canto, questo approccio è però anche da lodare, poiché il Consiglio federale punta ad avere relazioni stabili con il suo principale partner commerciale».
Verso un nuovo voto?
Difficile adottare un altro approccio, rileva Le Temps, poiché «l’iniziativa ‘contro l’immigrazione di massa’ obbliga il governo a reinventare la strategia dell’acrobazia politica». L’articolo costituzionale approvato dal popolo è incompatibile con il mantenimento delle relazioni in vigore con l’UE. Relazioni che il governo non vuole mettere in pericolo. «Si tratta quindi di trovare un’astuzia che permetta di salvare la libera circolazione e i sei accordi ad essa legati», continua Le Temps. Nel progetto, «il Consiglio federale fa trasparire la sua volontà di trattare in modo diverso i cittadini dello spazio UE-AELS dagli altri. Come? Con un sistema binario, che prevede regimi distinti per questi due cerchi di migranti».
Per il Tages-Anzeiger, il governo si trova comunque di fronte a una «mission impossible». «Con tutto il rispetto per le capacità dei negoziatori svizzeri una cosa è prevedibile: un’applicazione stretta dell’iniziativa non si concilia con gli accordi bilaterali».
«La Svizzera dovrà valutare quale peso dare agli accordi bilaterali e quale alla gestione dell’immigrazione […]. Aumentano così le chance che il popolo sia chiamato ancora una volta alle urne», sottolinea la Neue Zürcher Zeitung.
Un’opinione condivisa da diversi altri quotidiani. «Ci aspettano tempi caotici e forse un domani, per sciogliere il nodo, si renderà davvero necessaria una nuova consultazione popolare – conclude il Corriere del Ticino. Ma prima bisognerà dimostrare di avere tentato tutte le strade».
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Bruxelles è certo disposta a «discutere» della questione della libera circolazione, sollevata dalla decisione del popolo svizzero di porre un freno all’immigrazione. Ma discutere non significa «negoziare» un compromesso che metterebbe a repentaglio i principi fondamentali dell’UE. Un anno dopo il voto del 9 febbraio sull’iniziativa “contro l’immigrazione di massa”, le posizioni di Berna e Bruxelles sembrano inconciliabili.
Ci sono questioni di forma e di fondo. È con un bacio stampato sulla guancia - davanti alle telecamere, evidentemente – che il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha accolto a Bruxelles la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga. Ma l’affetto sincero che il lussemburghese prova nei confronti della Svizzera è lungi dall’essere smisurato.
A un anno dall'accettazione da parte del popolo svizzero dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, promossa dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), Jean-Claude Juncker ha ribadito fermamente la sua posizione: in quanto amici, la Svizzera e l’UE devono poter discutere di tutto, nella speranza di aiutare la Confederazione ad uscire da una brutta situazione.
In nessun caso, però, Bruxelles rinegozierà il principio della libera circolazione delle persone, rimesso in questione dal popolo elvetico. A stretta maggioranza, l’elettorato ha infatti deciso che la Svizzera dovrà reintrodurre contingenti sui lavoratori stranieri, fissare dei tetti massimi all’immigrazione e dare la priorità ai residenti sul mercato del lavoro.
Certo, Svizzera ed Unione europea «non sono in guerra» dal 9 febbraio 2014, ha sottolineato il presidente della Commissione. Juncker si è impegnato a proseguire «un confronto di opinioni» ai più alti livelli in modo da sciogliere la matassa della libera circolazione. Un confronto che spera «fruttuoso» anche se ammette di non essere «oltremodo ottimista».
Ma le cose devono essere chiare: «Per ora, i nostri punti di vista rimangono divergenti». Il tema sarà discusso a «scadenze regolari», ma la Commissione non si impegna a portare avanti «veri e propri negoziati». In caso contrario rischierebbe di riaprire il vaso di Pandora scoperchiato dal Regno Unito, dove il dibattito sulla libera circolazione delle persone è più acceso.
L’intero edificio in pericolo
L’esecutivo dell’UE mantiene dunque la linea tracciata lo scorso dicembre dai ministri degli affari esteri dei Ventotto. I capi della diplomazia avevano ribadito che la «libera circolazione non è negoziabile» e avevano poi sottolineato che l’applicazione dell’iniziativa minaccerebbe «il cuore delle relazioni tra Svizzera ed UE», ossia tutto il pacchetto di Bilaterali I legati tramite la cosiddetta «clausola ghigliottina». Se una delle due parti denunciasse la libera circolazione, anche gli altri accordi decadrebbero automaticamente dopo sei mesi.
Atteso al banco di prova, il governo svizzero comunicherà probabilmente la sua strategia l’11 o il 18 febbraio. Il margine di manovra a sua disposizione è però «estremamente ridotto», ha affermato Simonetta Sommaruga dopo l’incontro a Bruxelles. E alla tensioni con Bruxelles si aggiungono le pressioni interne, amplificate dalle scadenze elettorali di ottobre, con il rinnovo del Parlamento federale, e l’ombra del franco forte che sembra minacciare la prosperità della Svizzera.
Un rompicapo istituzionale
Oltre al dossier migratorio, un'altra spina nel fianco è l'accordo istituzionale che Svizzera e Unione europea stanno negoziando da tempo. Per Bruxelles, si tratta di rafforzare la coesione del mercato interno europeo, attraverso un adeguamento quasi automatico dei Bilaterali allo sviluppo del diritto comunitario e attraverso un controllo giudiziario indipendente per la risoluzione di possibili controversie. Condizioni che Berna finora non si è detta disposta ad accettare.
I Ventotto l’hanno però ribadito chiaramente, nel dicembre 2014: «In assenza di un quadro istituzionale comune, non sarà concluso nessun nuovo accordo sulla partecipazione della Svizzera al mercato interno».
Per incitare Berna a fare delle concessioni, il commissario europeo per la politica energetica, Miguel Arias Cañete, ha usato il bastone e la carota durante un incontro con la ministra svizzera dell’energia Doris Leuthard, il 29 gennaio. Lo spagnolo ha infatti ventilato la possibilità di «un accordo provvisorio» nel settore dell’elettricità, che permetterebbe alla Svizzera di accedere al mercato europeo dal primo luglio.
Cañete ha però posto come condizione la risoluzione di quei problemi istituzionali legati al dossier dell’elettricità, come la questione degli aiuti statali e della giurisdizione di sorveglianza. Ora spetta alla Svizzera fare il proprio passo. La ministra Doris Leuthard ha dichiarato che «non sarà facile», pur salutando questa «piccola apertura» nel muro dei bilaterali.
Questa via potrebbe però essere interrotta nuovamente se la Svizzera non riuscirà a trovare una soluzione euro-compatibile al grattacapo del 9 febbraio. In dicembre, infatti i Ventotto si sono riservati esplicitamente «il diritto di porre fine ai negoziati istituzionali e ad altri negoziati legati al mercato interno», nel caso in cui Berna violasse il sacrosanto principio della libera circolazione delle persone. Un vero e proprio rompicapo.
Le reazioni della stampa svizzera
La stampa svizzera non si mostra sorpresa dall’esito dell’incontro tra Sommaruga e Juncker a Bruxelles. La Neue Zürcher Zeitung (NZZ) constata che non vi è stato alcun riavvicinamento. Tra il Consiglio federale, costretto a rispettare il più possibile la volontà del popolo di porre un freno all’immigrazione e la Commissione europea, attaccata al principio fondamentale della libera circolazione, «le posizioni sono troppo distanti per intravvedere anche una minima possibilità di negoziazione», rileva dal canto suo Le Temps.
Malgrado l’accoglienza calorosa che Juncker ha riservato a Sommaruga, i quotidiani elvetici ritengono che le posizioni restano inconciliabili. La Liberté di Friburgo parla di un «bacio ingannevole degli europei alla Svizzera», mentre il Corriere del Ticino sottolinea la difficoltà di «negoziare ciò che non è negoziabile» e solleva qualche dubbio sulla strategia dell’Unione democratica di centro che dopo aver chiesto un’applicazione alla lettera del testo, ora accusa il governo di essere troppo rigido.
Un anno dopo il voto sulla cosiddetta “immigrazione di massa”, è giunto il momento di «seppellire le illusioni», commenta dal canto suo Der Bund. «Le due parti non hanno praticamente alcun margine di manovra (...). È raro vedere dei politici dichiarare in modo così poco diplomatico che le divergenze sono inconciliabili», conclude il quotidiano bernese.
La Svizzera ha bisogno di accordi bilaterali con l’UE?
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La Svizzera può ridurre l’immigrazione senza danneggiare l’economia? Dieci mesi dopo l’approvazione da parte del popolo dell’iniziativa sul freno all’immigrazione, non è ancora chiaro in che modo il governo potrà risolvere questo dilemma.
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