L’uomo che vuol dar voce alle mucche e far riflettere la gente
Chi è l'uomo che è riuscito a convincere centomila svizzeri a preoccuparsi delle corna delle mucche e delle capre? Ritratto di Armin Capaul, un contadino di montagna ostinato che ha a cuore il benessere dei suoi animali.
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Non contenta di occuparsi dei fatti suoi, Susan ha studiato giornalismo a Boston per avere la perfetta scusa di mettersi nei panni degli altri. Quando non scrive, presenta e produce podcast e video.
Guance rosee, baffi biondo-rossicci e barba bianca, Armin Capaul è un personaggio speciale. Quando lo incontriamo, indossa un pullover di lana fatto a mano e porta al collo un fazzoletto rosso. Nella sua auto color blu vivace risuona una musica rock-country.
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Sulle aspre montagne del Giura bernese, Armin Capaul con la moglie Claudia e i tre figli adulti gestiscono una piccola fattoria. Le mucche e le capre della famiglia Capaul hanno le corna. Benché questo possa sembrare normale, in realtà non è affatto scontato: in Svizzera, alla maggior parte dei vitelli è praticata la cauterizzazione dell’abbozzo…
“Non ha mai sentito parlare di J.J. Cale? È una mia anima gemella”, mi dice Capaul. Gli confesso che non conosco il suo amato cantautore americano, non senza il timore che ai suoi occhi ciò rappresenti un cattivo inizio. Ma lui ride. E ride ancora di più quando vede i miei occhi si allargano alla vista della strada stretta e contorta che porta alla sua fattoria di 17 ettari arroccata su una montagna nel Giura bernese. In quella fattoria vi sono mucche, un toro, capre, pecore, asini, cani, gatti e galline.
“Si potrebbe mettere queste”, suggerisce Capaul, indicandomi un paio di ciabatte di paglia per gli ospiti, quando entriamo nella luminosa e calda cucina. La moglie, una bella donna con una lunga treccia grigia, mette da parte il lavoro a maglia e mi offre un tè.
Sul tavolo c’è un mucchio impressionante di buste; negli ultimi tempi ne ha ricevuto più di cento quotidianamente. Quelle recapitategli il giorno precedente contenevano 1’600 firme per l’iniziativa popolare “Per la dignità degli animali da reddito agricoli (Iniziativa per vacche con le corna)” che ha lanciato e promosso quasi da solo.
“Il record giornaliero è stato di 2’304 firme!”, si rallegra Armin Capaul, mentre si siede al tavolo insieme alla moglie per controllare gli ultimi arrivi.
Guardando la serie di timbri postali, Claudia Capaul dice con orgoglio: “Provengono da tutta la Svizzera. E non c’è nessuna organizzazione o partito che se ne occupano; solo mio marito e le persone che lo sostengono”. Un appoggio gli vien dato da tutta la famiglia.
Un attivista
La decornazione non faceva parte del programma di studi, quando Armin Capaul ha ottenuto il diploma di agricoltore nel 1976 nei Grigioni. Lo svizzero tedesco si è trasferito già vent’anni fa a Perrefitte, un paesino di montagna nella regione francofona del cantone di Berna, ma non parla la lingua locale. “È probabilmente meglio così, perché altrimenti mi immischierei troppo”, scherza in dialetto svizzero tedesco.
Ma c’è una questione in cui ficca volentieri il naso: il benessere degli animali con le corna. È stato intorno al 1980 che Armin Capaul ha visto per la prima volta una mandria di bestiame senza corna. E l’aspetto di quegli animali non gli è piaciuto. “Avevano la bava alla bocca e sudavano!”, racconta, ricordando come faticavano mentre salivano al pascolo estivo.
Tuttavia oggi è diventata prassi corrente che gli allevatori cauterizzino l’abbozzo corneale dei giovani animali, in modo che le loro corna non crescano. L’idea è di prevenire dal rischio di ferimento sia gli animali sia le persone.
“Questa è una scusa di comodo! Le vacche hanno sempre avuto le corna. Una volta, la gente aveva un rapporto più stretto con esse: le abbracciava, le accarezzava e parlato con loro”, osserva, criticando gli allevamenti a stabulazione libera, dove le mucche hanno certo più libertà di movimento, ma dove lottano più facilmente.
120’859 firme
Armin Capaul il 23 marzo 2016 ha depositato alla Cancelleria federale a Berna 120’859 firme per l’iniziativa “Per la dignità degli animali da reddito agricoli (Iniziativa per vacche con le corna)”, che sono state validate dai comuni.
Ora la Cancelleria federale le controllerà nuovamente e le conterà. Se ne saranno convalidate almeno 100’000, il governo e il parlamento saranno obbligati a sottoporre il testo al voto. Come ogni modifica costituzionale, per l’approvazione definitiva, nella votazione popolare l’iniziativa dovrà ottenere la doppia maggioranza di sì dei votanti e dei cantoni.
Il contadino insorge contro la decornazione perché è un’operazione dolorosa che va eseguita sotto anestesia. Gli abbozzi cornei sono rimossi bruciandoli con un ferro rovente. Inoltre Armin Capaul è convinto che le corna hanno uno scopo. “Le corna forniscono una forma di traspirazione che aiuta a regolare la temperatura corporea di un bovino”. È per evitare che gli animali continuino a subire questa crudeltà che Armin Capaul ha lanciato la sua iniziativa. Se questa fosse approvata in votazione popolare, i contadini che lasciano intatte le corna dei loro bovini e caprini riceverebbero dei sussidi federali.
Un amico degli animali
Quando non sta contando le firme o inviandole alle autorità comunali per la verifica, Armin Capaul si occupa dei suoi animali. Lo seguo nella stalla quando è l’ora del pasto per i tre vitelli, che condividono un pagliericcio in un box separato, mentre le loro madri si trovano con le altre vacche, ognuna delle quali ha il proprio spazio e la propria mangiatoia.
“Le guardi: sono in uno stato di trance!”, afferma. “In una stabulazione libera continuerebbero a spintonarsi per il posto che vorrebbero occupare. Per loro sarebbe stressante”, sostiene il contadino di montagna, precisando che i suoi animali vanno all’aria aperta ogni giorno: per poche ore in inverno e per la maggior parte della giornata in estate.
Ad Armin Capaul non piace la tendenza delle aziende lattiere automatizzate, dove le mucche sono alimentate e munte da robot. “Quei contadini verificano soltanto se il latte scorre, non hanno un legame con i loro animali”.
Capaul conduce i vitelli affamati dalle loro madri, li mette tutti in posizione e attende che si allattino a sazietà, mentre lui si accende una sigaretta e si siede su una panchina vicina.
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“Qui è dove medito”, dice, espirando una boccata di fumo e guardando la sua fila di mucche, ciascuna con un bel paio di corna lucide. Il contadino mi esorta a toccare un corno per sentire come è caldo, soprattutto vicino alla testa. È proprio vero, e mi sorprende anche che la mucca non sia infastidita dal contatto della mia mano sulle sue corna. Mi guarda appena con i suoi enormi occhi e continua tranquillamente a ruminare.
Armin Capaul non è un uomo complicato, ma ha due regole precise per quanto riguarda le fotografie. Una è che deve portare un cappello – “per nascondere la sua calvizie”, spiega ridendo la moglie Claudia. L’altra è più seria: proibisce di utilizzare flash nella stalla, poiché ciò potrebbe spaventare le mucche. Una precauzione che prende in seguito a un aborto spontaneo di una vacca dopo un servizio fotografico.
Nella stalla ci sono anche pecore e capre, che sono in un divertente recinto con varie strutture per potersi arrampicare. “La decornazione è ancora peggio per le capre, poiché con la loro pelle molto fine la cauterizzazione è ancora più dolorosa”, sottolinea Capaul.
Anche se l’iniziativa popolare che ha depositato il 23 marzo 2016 fosse accettata in votazione popolare, lui stesso non potrebbe beneficiare dei contributi finaziari della Confederazione poiché a quel momento sarà in pensione.
“Non lo sto facendo per fare soldi, bensì per il bene degli animali”, puntualizza, ricordando che al contrario per questa iniziativa ha speso un capitale. Ma egli è convinto che i circa 55mila franchi che ha sborsato negli ultimi cinque anni per questa battaglia non siano stati buttati via. Anzi, ne è valsa la pena. “Voglio dare voce alle mucche e far riflettere la gente sul problema”.
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Allo stato naturale, infatti, la maggioronza delle razze tradizionali di questi bovidi avrebbe le corna. Ma alla maggior parte dei vitelli viene cauterizzato (bruciato) l’abbozzo corneale, affinché le corna non crescano. Ciò permette di ridurre sia lo spazio che necessitano per l’allevamento sia i rischi di lesioni. Da qualche tempo, sono allevati anche bovini geneticamente…
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Ricercatori svizzeri e agricoltori stanno lottando contro il tempo per salvare le antiche razze da allevamento, prima che queste vengano soppiantate da razze bovine più produttive. In Europa come in Africa, il bestiame tradizionale si adatta meglio alle condizioni locali e alle sfide ambientali.
Negli ultimi dieci anni, il numero di vacche lattifere in Svizzera è diminuito, ma ciononostante il settore caseario ha prodotto più latte. Capire il perché è facile: nel 2013, una mucca svizzera produceva in media 4 kg di latte in più al giorno rispetto al 2000, indica l’Ufficio federale di statistica.
L’aumento della produttività è in parte dovuto alla selezione delle razze allevate, che consente agli agricoltori di favorire il bestiame che presenta determinate caratteristiche. Questa selezione comporta però anche dei risvolti negativi: col tempo, il fatto di puntare troppo sulla produttività può condurre alla sparizione di alcuni tratti genetici, inclusi quelli che hanno consentito alle razze tradizionali di adattarsi al loro ambiente.
«Molte razze di origine svizzera sono a rischio siccome non sono altrettanto produttive di quelle moderne», dice a swissinfo.ch Catherine Marguerat dell’Ufficio federale dell’agricoltura (UFAG).
«Le razze [tradizionali] sono molto preziose per la Svizzera se si considerano i pericoli dei futuri mutamenti nell’ambiente. Queste razze sono solitamente molto robuste e potrebbero avere dei geni che consentono di affrontare meglio le sfide ambientali».
Un problema nei paesi di sviluppo
L’essere umano addomestica le specie animali da secoli. Il concetto di “razza” è però nato soltanto circa 200 anni fa, quando gli agricoltori iniziarono a selezionare alcuni animali sulla base delle caratteristiche fisiche che rendevano le bestie più interessanti per l’allevamento.
Stéphane Joost, ricercatore del Politecnico federale di Losanna (EPFL), stima che nel corso del XX secolo circa il 16% delle razze animali da reddito si è estinto, mentre il 15% è stato minacciato di estinzione a causa dell’allevamento selettivo.
Nei paesi in via di sviluppo, il problema della conservazione della diversità genetica delle razze da allevamento tradizionali è più grave che negli Stati industrializzati, tra cui la Svizzera, spiega Stéphane Joost, responsabile di un progetto di ricerca di recente pubblicazione della Fondazione europea per la scienza (FES), e coordinato dall’EPFL.
Con la promessa di una produttività a corto termine, molti agricoltori preferiscono le razze “cosmopolita” a quelle locali. Spesso, però, gli animali non autoctoni muoiono siccome non sono adattati al clima locale. Sono inoltre vulnerabili alle malattie del posto.
Ad esempio, il bestiame nel Burkina Faso è minacciato dalla tripanosomiasi, un’infezione parassitaria trasmessa dalla mosca tse-tse che causa la morte di un milione di animali all’anno. Le mucche della razza indigena Baoule presentano una resistenza genetica alla malattia. Quelle della razzia asiatica Zebuine, preferite per la loro forza e la loro produzione di carne e latte, sono invece estremamente vulnerabili.
Un team internazionale di ricercatori ha studiato la genetica delle due razze e gli sforzi degli allevatori per combinarle. Il loro scopo è di capire come meglio preservare la resistenza alla malattia delle Baoule e la robustezza fisica delle Zebuine. La FAO prevede di pubblicare i risultati del progetto della FES in forma elettronica e stampata, così da consentire agli agricoltori nei paesi in via di sviluppo di avere accesso alle informazioni.
Tradizione svizzera
Il progetto di ricerca della FES sul bestiame in Africa può essere implementato anche alla Svizzera, ritiene Stéphane Joost. «Con il riscaldamento globale, ad esempio, la Svizzera e altri paesi alpini saranno confrontati con condizioni più rigide rispetto alle nazioni circostanti con un territorio pianeggiante. A causa della sua topografia, buona parte dei bovini, delle pecore e delle capre sono sulle montagne».
Con l’aumento della temperatura, spiega, l’erba dei pascoli - che rappresenta la dieta principale della maggior parte delle vacche lattifere in Svizzera - crescerà a una quota più elevata sui versanti montani, più vicino alle vette rocciose. In questi habitat in altitudine, più aridi, l’erba è tuttavia destinata a diventare scarsa e meno nutritiva.
Una sfida dietetica che non dovrebbe comunque preoccupare i bovini d’Evolène della Val d’Hérens, in Vallese. La tradizionale razza svizzera, oggi minacciata di estinzione, ha una costituzione robusta e un metabolismo che le consente di sopravvivere anche quando le risorse alimentari sono limitate.
«È un vantaggio importante disporre di razze robuste e adattate che sono in grado di nutrirsi di un’erba di qualità potenzialmente inferiore, mantenendo però un alto livello di produzione», osserva Stéphane Joost.
Evolène, piccole ma robuste
Negli ultimi anni, le vacche d’Evolène si sono lentamente riprese grazie agli sforzi di conservazione della fondazione senza scopo di lucro ProSpecieRara e di allevatori indipendenti come Adrienne Stettler, proprietaria di una pittoresca fattoria a Utzigen, vicino a Berna. Oggi in Svizzera si contano tra i 400 e i 450 bovini d’Evolène, di cui 20 appartengono a Adrienne Stettler, che le alleva sia per la carne sia per il latte.
Malgrado la loro dimensione relativamente piccola - l’altezza al garrese è di 115-130 centimetri contro i 147 in media di una Holstein - le vacche d’Evolène sono delle buone produttrici di latte, con circa 5'000 litri all’anno, spiega Adrienne Stettler. Le Holstein possono produrre il triplo di latte, ma necessitano in compenso di più cibo e sono più esposte alle malattie.
Una razza ottimale
Negli ultimi dieci anni, spiega Catherine Marguerat, la Svizzera ha fatto dei progressi: ha accresciuto la dimensione delle popolazioni di razze di bovini rare, aumentato la diversità genetica, intensificato i programmi di conservazione e sensibilizzato il pubblico. C’è però ancora del lavoro da fare.
«Dobbiamo sviluppare dei piani di emergenza per le razze in via di estinzione nel caso in cui scoppiasse un’epidemia e costituire delle banche genetiche per pecore, conigli e galline. Dobbiamo inoltre incoraggiare un numero maggiore di allevatori a partecipare ai programmi di conservazione», afferma.
Per il futuro dei programmi di selezione del bestiame, sottolinea, sarà essenziale trovare un equilibrio tra l’adattamento genetico tradizionale e le caratteristiche moderne di produttività. «Una razza ottimale è quella che è bene adattata alle condizioni locali della Svizzera e che può nutrirsi principalmente di erba e fornire prodotti di alta qualità».
Catherine Marguerat e Stéphane Joost partecipano entrambi a GENMON, un progetto che coinvolge l’UFAG e l’EPFL e che dovrebbe essere lanciato l’anno prossimo. L’obiettivo è di sviluppare uno strumento per monitorare le risorse genetiche animali in Svizzera.
«[GENMON] permetterà alle associazioni di allevatori e al governo di valutare la sostenibilità delle attività di allevamento per le razze svizzere. Fornirà informazioni sul grado di rischio e la popolazione, integrando anche parametri socioeconomici e ambientali», indica Catherine Marguerat.
Animali più vulnerabili alle malattie
Il servizio di monitoraggio della biodiversità del Dipartimento federale dell’ambiente indica che, dalla seconda metà del XX secolo, l’agricoltura svizzera si concentra su un piccolo numero di razze da allevamento.
Oggigiorno, la perdita sempre più accentuata di razze animali è ulteriormente aggravata dall’aumento delle razze ibride moderne, più produttive. Con la riduzione della diversità genetica, le popolazioni di animali da allevamento tendono alla consanguineità e quindi a una maggiore uniformità, ciò che le rende più vulnerabili alle minacce esterne quali parassiti e malattie.
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