Il Vecchio mondo si emancipa
Con la nuova presidenza di Joe Biden molti sperano in un riavvicinamento tra Stati Uniti ed Europa. Potrebbero però rimanere delusi.
Per la politica estera statunitense l’insediamento di un nuovo governo a Washington coincide normalmente con un cambiamento di impostazione sul piano della narrazione dominante, e meno su quello della strategia di fondo. I vincoli geopolitici e gli interessi strategici mutano allo stesso ritmo pacato di quanto non facciano le alleanze e partnership consolidate.
“Di primo acchito si è portati ad incolpare Trump dello straniamento sul piano transatlantico, ma la voragine tra americani ed europei si è aperta ben prima.”
Joseph de Weck, storico e politologo
Nell’ultimo quadriennio questa certezza è stata messa a dura prova, spingendo non pochi a sperare che il nuovo presidente imbocchi la strada del ritorno alla vecchia normalità: da una politica a vista a un regime che rispetti gli accordi e non sacrifichi le alleanze storiche sull’altare della logica (protezionistica) del profitto.
Sotto Barack Obama, Joe Biden ricopriva la carica di vicepresidente e nel suo gabinetto troviamo ora numerosi funzionari con legami con l’amministrazione di allora. La conclusione più ovvia è quella di pensare che la nuova politica estera degli Stati Uniti sarà quella vecchia. Con Joe Biden alla presidenza come saranno impostate le relazioni con l’Unione europea? E cosa può aspettarsi la Svizzera dalla nuova amministrazione?
L’Europa ritrova sovranità
Per l’Unione europea gli ultimi quattro anni hanno rappresentato un periodo di maturazione involontaria. La sensazione di straniamento all’interno della comunità transatlantica ha mostrato all’Europa quanto sia vacillante l’alleanza a stelle e strisce. Allo stesso tempo, sul piano della sicurezza ai margini dell’Europa la situazione si è aggravata e la Cina, rivale sistemico, si impone con crescente determinazione.
Alla luce di questi sviluppi sono aumentati gli appelli ad una maggiore autonomia da parte dell‘Europa. Il presidente francese Emanuel Macron ha riassunto questo obiettivo strategico con le parole “sovranità europea”. Questa nuova dottrina abbraccia svariati settori in cui l’Ue è sotto pressione per trovare le giuste risposte a innumerevoli domande.
Dalla nuova presidenza molti si aspettano un riavvicinamento tra Stati Uniti ed Europa. L‘analista politico Joseph de WeckCollegamento esterno non ritiene invece plausibile un simile sviluppo. “Di primo acchito si è portati ad incolpare Trump dello straniamento sul piano transatlantico, ma la voragine tra americani ed europei si è aperta ben prima”, ricorda de Weck. Il fossato strutturale nella politica economica e nei rapporti con la Cina non può essere colmato così in fretta.
La cooperazione euro-atlantica in materia di sicurezza sta riacquisendo importanza, sostiene de Weck. Ma anche un riaffermato rafforzamento della NATO non risolverà gli annosi problemi. Dall’Europa dell‘Est al Caucaso, dal Mediterraneo al Nord Africa: alle porte dell‘Europa la tensione cresce e nessuno è in grado di trovare le risposte giuste alle questioni in sospeso, in parte proprio perché i vari Paesi coinvolti perseguono interessi divergenti. L’Europa non dispone di nessuna strategia né nei rapporti con la Russia o la Turchia, né per quanto riguarda i movimenti migratori dal Nord Africa. Era già chiaro ad Obama che gli Stati Uniti non vogliono più fungere da custodi dell’ordine in questa regione del mondo.
Leadership attraverso la regolamentazione?
Nelle relazioni transatlantiche il punto critico potrebbero essere i rapporti con la Cina. “La politica estera dell‘amministrazione Trump era indirizzata in maniera unilaterale verso la Cina”, sostiene de Weck. Egli presume che sotto Biden questa attenzione estrema vada scemando, senza nulla togliere all’interrogativo centrale su come affrontare l’avanzata del Regno di Mezzo.
L’Ue non è intenzionata a scivolare nella logica statunitense che divide i Paesi in amici o nemici, ma piuttosto andare per la propria strada, prosegue de Weck. Il recente accordo sugli investimenti sottoscritto con la Cina è significativo in tal senso, proprio perché negoziato senza consultazione con il nuovo inquilino della Casa Bianca.
Per de Weck si tratta di un segnale che la Germania, il maggior artefice delle trattative, abbia imboccato la strada della “sovranità europea” d’intesa con il presidente francese Emmanuel Macron, seppur con un marcato accento sugli aspetti di politica economica. “In futuro gli storici potranno magari interpretare questo accordo come una dichiarazione europea di indipendenza dagli Stati Uniti”, suppone de Weck.
A Bruxelles si percepisce in generale una crescente autostima: sia nei negoziati sulla Brexit che per la lotta alla pandemia l’Unione ha stretto i ranghi. L’Ue è riuscita ad imporre i suoi standard nel mondo, ad esempio nel settore della regolamentazione dei dati. Forte di questi successi punta ora a far rispettare le proprie norme a livello globale, ad esempio nel campo della regolamentazione dei giganti della tecnologia o nella definizione di prodotti finanziari “sostenibili”. L’Ue sta diventando una superpotenza in campo normativo, causando crescenti attriti tra Bruxelles e Washington, continua de Weck.
Monito da parte americana
Sarà d’altronde interessante osservare come si posizioneranno gli USA in merito ad altre tematiche tipicamente europee. Ad esempio riguardo alla coesione intraeuropea sabotata da Stati membri come l‘Ungheria e la Polonia.
Anche nei Balcani occidentali rimane aperto l’interrogativo sul ruolo che assumerà il nuovo presidente statunitense. Per il momento l’Ue non sembra avere intenzioni espansionistiche, il che potrebbe spingere i Paesi isolati dei Balcani nelle braccia di Turchia, Russia o Cina. Come già accaduto in passato, un monito da parte americana sarebbe tuttavia in grado di scuotere gli Stati dallo stallo politico. A differenza di Trump, che non conosceva e neppure si interessava della regione, in passato Biden ha espresso opinioni argute, ad esempio sostenendo l’intervento durante la guerra in Bosnia.
Joe Biden in 1995 rightfully calling attention to the #genocideCollegamento esterno in Bosnia and Herzegovina and identifying Karadzic and Mladic as war criminals and murderers. pic.twitter.com/lZ0GfY60sYCollegamento esterno
— Bosnian History (@BosnianHistory) November 6, 2020Collegamento esterno
In generale si può presumere che la politica estera americana sarà reimpostata in maniera professionale e oggettiva. Tra i nuovi volti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si annoverano tecnocrati che conoscono bene l’Europa e – in linea con la tradizione del partito democratico – hanno un occhio di riguardo per le preoccupazioni europee.
E la Svizzera?
In dicembre gli USA hanno tacciato la Svizzera di manipolazione valutaria. Gl’interventi sul mercato dei cambi creerebbero dei vantaggi concorrenziali sleali per l’economia elvetica: accusa fermamente respinta dalla Banca nazionale svizzera. La notizia ha fatto scalpore, pur non scalfendo la buona natura dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Confederazione. “Non ci sono molti punti di frizione tra i due Paesi, la questione valutaria è un aspetto secondario”, conferma de Weck.
Secondo lui il conflitto latente si anniderebbe invece nelle questioni normative tra Ue e USA che obbligherebbero la Svizzera a prendere posizione. Per il resto è prevedibile che con Biden il coinvolgimento degli Stati Uniti nelle organizzazioni multilaterali sia nuovamente destinato a crescere. “E per un piccolo Paese come la Svizzera, che dipende dal multilateralismo, si tratta di un punto centrale”, ricorda de Weck.
In un modo o nell’altro, all’interno delle alleanze le carte saranno rimescolate. La Brexit non è soltanto uno sganciamento sul piano economico della Gran Bretagna dal Continente, bensì pure su quello geopolitico: Londra starebbe facendo l’occhiolino a Washington, ribadisce de Weck. Considerato che la politica adottata dalla Svizzera nelle relazioni con la Cina è principalmente improntata su interessi economici e sul mantenimento di un ordine multilaterale basato sulle norme, le sovrapposizioni con l’Ue sarebbero destinate ad aumentare.
È storico e politologo a Parigi. Dirige il dipartimento ‘Europa’ di una società di consulenza specializzata in rischi geopolitici e macroeconomici. De Weck è anche editorialista dell’Internationale Politik Quarterly del Consiglio tedesco per le relazioni estere (Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik) e fellow del Foreign Policy Research Institute.
Traduzione dal tedesco: Lorena Mombelli
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