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Stress test globale per la libertà di espressione

Come rendere i social network di nuovo sociali

Facebook-Gründer Mark Zuckerberg umringt von Fotografen im US-Kongress.
Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg ha dovuto rispondere di fronte Congresso degli Stati Uniti nel 2018. Xinhua News Agency All Rights Reserved

Serie Libertà di espressione, episodio 1: Appelli alla violenza, teorie del complotto e censura: i social network hanno molto potere. Troppo, dicono i critici. La Svizzera, invece, si affida al buon senso dei suoi cittadini. Come può Internet ridiventare una risorsa per la democrazia?

I social media si sono trasformati in un canale indispensabile per il dibattito pubblico. Ma questo è raramente visto come un vantaggio per la democrazia. Piuttosto, i social media sono considerati un veicolo di fake news, teorie del complotto e messaggi d’odio. Nel 2017, il Consiglio federale svizzero ha dichiarato che “una nuova regolamentazione dei social media non è necessaria”. Allo stesso tempo, c’è una crescente paura che le aziende tecnologiche private esercitino sempre più potere e mettano a tacere le voci dissidenti.

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In linea di principio, tutto dovrebbe essere cristallino. La Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) e il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici (1966) affermano che “ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; questo diritto include il diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni tipo, indipendentemente dalle frontiere, sia oralmente, sia per iscritto o a stampa, sotto forma di arte, o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”. In Europa, la Convenzione europea dei diritti umani (1950) conferma la libertà di espressione come un diritto giuridicamente vincolante (articolo 10). La Svizzera sancisce questa libertà fondamentale nell’articolo 16 della sua Costituzione del 1999.

In pratica, tuttavia, questi principi fondamentali rimangono controversi. Molti governi nel mondo non proteggono il diritto alla libertà di espressione, ma lo minano sempre più. In altre parti del mondo, individui e gruppi usano la libertà di espressione per giustificare discorsi discriminatori e carichi d’odio. Ma pur essendo un diritto universale, la libertà di espressione non è un diritto assoluto. Garantirla e farla rispettare è sempre un gioco di equilibri.

In una nuova serie, SWI swissinfo.ch esamina i vari aspetti, le sfide, le opinioni e gli sviluppi della libertà d’espressione in Svizzera e nel mondo. Il nostro obiettivo è quello di fornire una piattaforma per permettere a tutti di esprimere le proprie opinioni, offrire analisi da parte di esperti rinomati e mettere in evidenza gli sviluppi locali e globali. Naturalmente, le lettrici e i lettori sono invitati a partecipare al dibattito e a far sentire la loro voce.

In un’intervista a SWI swissinfo.ch, l’esperta di informatica Marietje Schaake mette in guardia dai pericoli dei social media non regolamentati: “Ciò dimostra quanto siano potenti queste aziende. Sono troppo potenti, soprattutto i giganti di internet che gestiscono i social media e i motori di ricerca. Queste aziende sono in grado di mobilitare non solo masse di consumatori, ma anche masse di elettori. Questa influenza sta diventando sempre più evidente e ora il problema deve essere affrontato”.

Cosa si potrebbe fare per rendere nuovamente lo scambio sociale su Internet un vantaggio per la democrazia piuttosto che una minaccia? Chi può fermare la polarizzazione, e come? La politica, creando leggi? Le aziende tecnologiche, stabilendo delle regole? O la società civile, sanzionando ciò che non le fa bene?

Per molti esperti, la soluzione sta nella società stessa. Il cambiamento deve venire dal basso, dagli utenti”, dice Audrey Tang, ministro degli affari digitali di Taiwan. In un certo senso, il cambiamento deve essere democratico.

La Germania fa da pioniera

Nel frattempo, molti Paesi stanno cercando di risolvere la questione emanando nuove leggi e regolamenti. La Germania ha giocato un ruolo pionieristico con la sua legge NetzDG, che viene applicata a tutte le piattaforme con più di due milioni di utenti in Germania. Questa legge garantisce che i reclami siano investigati a fondo e che i contenuti illegali siano rimossi entro 24 ore. Nel 2019, Facebook ha dovuto pagare una multa di due milioni di euro per non aver rispettato i requisiti normativi.

La legge tedesca è un prodotto di esportazione di successo: a ottobre 2020, gli scienziati del think tank danese Justitia hanno identificato un totale di 25 Paesi che stanno sviluppando o hanno adottato leggi ispirate alla NetzDG.

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Il problema è che l’idea di base della legge tedesca è facilmente aggirabile da governi meno democratici. Nel loro rapporto, gli scienziati danesi sottolineano che la NetzDG garantisce lo Stato di diritto e protegge la libertà di espressione servendosi di meccanismi che non sono stati replicati allo stesso modo in tutti i Paesi.

Per esempio, l’India ha nuove regole che proibiscono contenuti che minacciano “l’unità, l’integrità, la difesa, la sicurezza e la sovranità” del Paese – un linguaggio che sembra concepito per mettere a tacere i dissidenti.

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La Russia fa anche esplicitamente riferimento alla NetzDG nel suo regolamento contro le false informazioni. Ma nel 2020, ha aggiunto un quadro giuridico per bloccare completamente Internet in caso di “emergenza”, senza specificare le circostanze specifiche.

Propaganda in Ungheria e Polonia

Quello che alcuni vedono come incitamento all’odio diventa censura per altri. Per Petra Grimm, professoressa di etica digitale alla Media University di Stoccarda, è chiaro che la libertà di opinione non significhi semplicemente poter dire tutto senza impedimenti: “Come la libertà in generale, la libertà di opinione è sempre legata a certi limiti”, dice.

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In Polonia, lo scontro è scoppiato in seguito a una lunga disputa tra Facebook e i membri del partito politico al potere, che hanno ripetutamente pubblicato messaggi anti-LGBT sui social network e sono stati banditi dalla piattaforma.

Mentre la maggior parte dei Paesi sta cercando di ostacolare la pubblicazione di contenuti pericolosi o ostili su internet, la Polonia e l’Ungheria hanno adottato un approccio diverso: entrambi i Paesi vogliono impedire a Facebook e ad altri di bloccare i profili degli utenti finché i loro post non violano alcuna legge nazionale.

A febbraio, il ministro della giustizia ungherese ha detto (su Facebook) che i principali social network volevano “limitare la visibilità delle opinioni cristiane, conservatrici e di destra”.

Appello all’azione in Svizzera

La Svizzera non ha ancora una regolamentazione specifica sui social network. L’attivista web Jolanda Spiess-Hegglin, che è in prima linea nella lotta all’odio online con l’organizzazione Netzcourage, crede che sia necessario agire. “Un consigliere federale dovrebbe prendere la decisione di nominare un gruppo di lavoro ed elaborare una legge sui discorsi di incitamento all’odio”, sostiene l’attivista.

Jolanda Spiess-Hegglin vor ihrem Laptop.
Jolanda Spiess-Hegglin. © Keystone / Gaetan Bally

Spiess-Hegglin ritiene che, dopo aver lanciato appelli carichi di discriminazione e di disprezzo, sia troppo facile cavarsela sostenendo, per esempio, di aver subito un attacco hacker o che ci fosse qualcun altro dietro la tastiera.

Da parte sua, l’eticista Petra Grimm sottolinea che la responsabilità non sia solo politica. Per lei, “è una responsabilità di autocontrollo che ricade anche sulle aziende tecnologiche”.

In alcuni Paesi, Facebook e Twitter richiedono loro stessi che ci sia più chiarezza. Ma questo non convince Jolanda Spiess-Hegglin: “Quando le aziende chiedono regole più chiare allo Stato, è come se un assassino dicesse ‘non vendermi un coltello, o ucciderò qualcuno'”.

Una gara (mortale) per i clic

Ci sono poche possibilità che le piattaforme commerciali cambino significativamente da sole. Per Petra Grimm, il problema di base è strutturale: “Le notizie più spettacolari, che vanno un po’ oltre la verità ma che suscitano soprattutto emozioni, saranno le più cliccate. E i clic sono naturalmente il business delle reti sociali”. O, come riassume Jolanda Spiess-Hegglin: “i social network lasciano passare i discorsi d’odio, perché fanno guadagnare loro dei clic, e quindi dei soldi”.

Come uscire da questa logica? “Abbiamo bisogno di una rete di social media alternativa che operi secondo i principi del diritto pubblico e che permetta la comunicazione senza che questa sia sfruttata commercialmente”, suggerisce Petra Grimm.

Prof. Petra Grimm
Prof. Petra Grimm. Radmila Kerl

Quello che la professoressa di etica ha in mente esiste già. A Taiwan, per esempio, la piattaforma PTT è finanziata dall’università nazionale, indipendentemente dai poteri finanziari e senza azionisti.

In un’intervista a SWI swissinfo.ch, Audrey Tang, ministro degli affari digitali dell’isola, definisce questo sistema un esempio con valenza sociale e lo contrappone alle reti commerciali, che chiama “antisociali”.

“Abbiamo bisogno di una nuova narrazione”

Affinché i social network si evolvano nella giusta direzione, la pressione deve venire dalla società, dice Audrey Tang. A Taiwan, per esempio, la società civile ha chiesto maggiore trasparenza in politica. E l’hanno ottenuta. “Questa trasparenza totale sul finanziamento delle campagne politiche, conquistata con grande difficoltà, è diventata la norma.” A Taiwan, anche Facebook si sta adeguando, rivelando in tempo reale ciò che è propaganda politica. “Non abbiamo creato una legge in materia. Tali disposizioni si basano unicamente sulle sanzioni della società”, sostiene con fierezza la ministra.

Anche Fabrizio Gilardi, professore di scienze politiche attivo nella ricerca sulla digitalizzazione, sottolinea la necessità di una riflessione fondamentale su come interagiamo con il mondo digitale. Per lui, “non si tratta principalmente di una questione legale, ma di come vogliamo affrontarla come società”.

L’attivista Jolanda Spiess-Hegglin è anche convinta che dobbiamo ripensare lo scambio diretto con i nostri simili. “Dobbiamo imparare a coltivare un modo di comunicare privo di degenerazioni. I social media sono soprattutto un regalo agli attivisti che difficilmente vengono ascoltati dai media tradizionali.”

La Svizzera si affida al buon senso delle persone

“Gli utenti dei social network devono sviluppare una cultura virtuosa”, sostiene l’eticista Petra Grimm. “Abbiamo bisogno di una nuova narrazione, che dovrebbe essere più ottimista e orientata al valore.” Per lei, saranno necessari sforzi e sostegno politico per creare alternative ai giganti della tecnologia, e “questo dovrebbe accadere almeno a livello europeo – Svizzera inclusa”.

Tuttavia, la regolamentazione europea non è attualmente in cima all’agenda delle autorità svizzere. L’Ufficio federale delle comunicazioni sta esaminando possibili approcci alla governance delle piattaforme online, cercando però una soluzione specifica per la Svizzera. Matthias Ammann del think tank liberale Avenir Suisse preferisce affidarsi al buon senso dei cittadini informati piuttosto che alla regolamentazione. Dopo tutto, la democrazia diretta della Svizzera è una testimonianza della fiducia riposta in loro, scrive nella NZZ.

Traduzione: Sara Ibrahim

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