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Iraq: la transizione a rischio voluta da Washington

Questi soldati ritrovano le loro famiglie, ma per 50'000 di loro la guerra non è ancora finita. Keystone

Con la fine ufficiale delle operazioni di combattimento delle truppe americane, l'Iraq ha ritrovato, almeno in parte, la sua sovranità. Il paese mediorientale si ritrova attualmente in una fase di transizione estremamente fragile e ambigua, sottolinea il politologo ginevrino Hasni Abidi.

Sette anni dopo l’invasione che ha condotto alla caduta del regime di Saddam Hussein, l’esercito americano ha posto ufficialmente fine alle sue operazioni di combattimento in Iraq. Si apre ora una fase di transizione, solennemente annunciata dallo stesso presidente americano Barack Obama.

Scesi al di sotto di 50’000 soldati, dal 1° settembre gli effettivi delle forze armate americane dovrebbero servire esclusivamente a consigliare e assistere l’esercito iracheno. In base a quanto annunciato dal capo della Casa bianca, tutte le truppe americane dovrebbero lasciare il paese entro la fine del 2011.

Dopo aver ripreso in mano la propria sovranità, la nuova repubblica irachena si ritrova confrontata a grandi sfide. Le valutazioni di Hasni Abidi, direttore del Centro di studi e di ricerche sul mondo arabo e mediterraneo di Ginevra.

swissinfo.ch: Come interpreta quanto annunciato da Barack Obama. Possiamo attendere un vero cambiamento sul terreno?

Hasni Abidi: Con questa decisione, il presidente americano rispetta un impegno assunto all’inizio del suo mandato. La sua amministrazione è inoltre giunta alla conclusione che il mantenimento della presenza americana non cambierebbe le cose dal profilo politico in Iraq, un paese che non rappresenta ormai più una minaccia per la sicurezza degli Stati uniti. L’Afghanistan è diventato ben più prioritario.

Detto ciò, bisogna notare che Washington mantiene importanti basi militari e 50’000 soldati in Iraq, ossia circa un quarto degli effettivi dell’esercito iracheno. La loro missione ufficiale è di spalleggiare e consigliare le truppe irachene. In realtà continueranno probabilmente a partecipare ad operazioni di combattimento.

swissinfo.ch: I partiti iracheni hanno i mezzi e la volontà per trovare un’intesa oppure vi è il rischio di un’esplosione del paese?

H.A.: Cinque mesi dopo le elezioni non vi è ancora un governo e le trattative tra le diverse fazioni sono tuttora ad un punto morto. Il ritiro parziale delle truppe americane può essere visto come una vittoria, dal momento che l’Iraq ritrova la propria indipendenza. Ma questa indipendenza ha ancora un gusto amaro.

swissinfo.ch: Le forze politiche irachene non avrebbero voglia di riprendere in mano le redini del paese?

H.A.: Sotto gli americani, gli iracheni non sono riusciti a formare un governo. La popolazione comincia sempre più a perdere pazienza e fiducia nei confronti della democrazia, benché le elezioni si siano svolte regolarmente.

Il disimpegno di Washington potrebbe quindi incitare gli schieramenti politici iracheni a ritrovarsi e a riprendere in mano il loro destino. Ma si tratta di una scommessa rischiosa. Soltanto gli Stati uniti avevano infatti la capacità di influenzare le principali forze politiche in Iraq – che siano curde, sciite o sunnite – per evitare la frantumazione del paese. Una prospettiva che rimane possibile.

swissinfo.ch: L’economia irachena si sta sviluppando? Si assiste inoltre alla nascita di una classe media in Iraq?

H.A.: Gli Stati uniti hanno puntato molto sullo sviluppo delle imprese in Iraq. In seguito alle carenze in ambito di sicurezza e all’instabilità della classe dirigente, la creazione di un’economia reale in Iraq non è da attendersi per domani, ad eccezione del settore petrolifero.

Va comunque detto che il livello di vita di almeno una fetta degli iracheni è migliorato notevolmente in questi ultimi anni. Lo Stato rimane però ancora oggi uno dei soli datori di lavoro. Il tasso di disoccupazione rimane troppo alto e si denota un esodo molto importante di specialisti iracheni.

swissinfo.ch: La democratizzazione del paese dopo la caduta di Saddam Hussein ha portato all’emergere di una società civile in Iraq?

H.A. Vi è un abbozzo di democrazia in Iraq, questo è innegabile. Il paese si è dotato di una costituzione molto pluralista, che prevede tra l’altro delle quote per la rappresentazione delle minoranze religiose e delle donne. Un fatto unico nel mondo arabo.

La società civile irachena esiste, così come il tentativo di garantire una giustizia indipendente, che possa ad esempio colpire la corruzione endemica nel paese.

Le elezioni del 2005 e 2010 hanno mostrato un alto livello di maturità politica da parte del popolo iracheno. Ma questa aspirazione popolare di democrazia si scontra con la volontà delle principali forze politiche, molto dogmatiche e influenzate dai loro mentori iraniani, sauditi o d’altrove.

Frédéric Burnand, Ginevra, swissinfo.ch
(traduzione Armando Mombelli

L’Iraq fu riconosciuto dal governo svizzero il 27.8.1930, anno di scadenza del mandato britannico, in occasione di un ricevimento a Berna di re Faisal I.

Sul piano diplomatico, la Svizzera curò gli interessi della Germania in Iraq dal 1939 al 1945, quelli dell’Iraq presso le potenze dell’Asse e nei paesi occupati, quelli della Francia in Iraq e viceversa (1956-63), come pure gli interessi iracheni nella Repubblica federale tedesca (1965-70).

La nascita della Repubblica irachena permise l’apertura di un mercato e lo sviluppo di relazioni commerciali tra Svizzera e Iraq, che favorì in primo luogo il settore orologiero.

Dalla fine degli anni 1950-60 si stabilirono in Iraq diverse imprese svizzere attive nel campo delle assicurazioni, delle telecomunicazioni e dell’industria delle macchine.

Le relazioni si intensificarono, specialmente dopo il 1978, grazie a un accordo bilaterale di cooperazione commerciale, economica e tecnica.

A seguito dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990, il governo svizzero decretò l’adesione immediata alle sanzioni economiche decise dall’ONU.

Con il rapido deterioramento delle condizioni di vita della popolazione, l’aiuto umanitario svizzero si è intensificato sensibilmente dal 1995.

Nel 2003 l’Iraq è stato invaso da una coalizione capeggiata dagli Stati Uniti.

Come la maggior parte dei membri dell’ONU, la Svizzera non ha sostenuto tale intervento; il suo atteggiamento ha provocato divergenze fra Berna e Washington.

Attivo dal novembre del 2000, l’ufficio di collegamento della Svizzera a Baghdad ha consentito di coordinare le attività umanitarie e di favorire lo sviluppo degli scambi con il paese mediorientale.

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