L’accordo sulla migrazione tra UE e Tunisia serve solo ad alleviare i sintomi
Domenica l'Unione Europea e la Tunisia hanno firmato un memorandum d'intesa per un "partenariato strategico globale". L'accordo prevede aiuti finanziari per la Tunisia, che in cambio intensificherà la lotta contro la migrazione illegale attraverso il Mediterraneo. Per il sociologo ed ex ministro tunisino Mehdi Mabrouk, si tratta soprattutto di una lotta ai sintomi, non di una soluzione.
Il partenariato strategico si articola su “cinque pilastri”, secondo il memorandum d’intesaCollegamento esterno firmato dalle due parti. L’UE sosterrà lo sviluppo della Tunisia, che sta attraversando grandi difficoltà economiche. Il Paese del Maghreb, che è un importante punto di transito della migrazione subsahariana verso l’Europa, dovrà dal canto suo fare di più per contrastare gli attraversamenti del Mediterraneo.
Ma non tutti sono convinti dell’accordo. In un’intervista rilasciata a swissinfo.ch alla fine di giugno, Mehdi Mabrouk, sociologo ed ex ministro tunisino della Cultura, ha criticato sia la situazione politica della Tunisia, in crisi economica, sia la politica migratoria europea.
swissinfo.ch: Cosa pensa del partenariato migratorio tra l’UE e la Tunisia in cambio di denaro?
Mehdi Mabrouk: Prima di tutto, vorrei chiarire che non si tratta di una proposta di un vero e proprio partenariato finalizzato alla mobilità o alla gestione concertata della migrazione con la Tunisia, ma piuttosto di un partenariato che si concentra specificamente sulla “lotta” alla migrazione irregolare. Purtroppo, questa proposta adotta un approccio riduzionista, basato sulla sicurezza, volto unicamente a contenere i flussi migratori e a gestirli in modo rigido, persino pesante.
La Tunisia dispone delle risorse necessarie per monitorare le sue coste e sorvegliare i suoi confini, come prevede l’UE?
La costa della Tunisia è molto lunga e il territorio da controllare è di circa 1’500 chilometri quadrati. Il compito è quindi molto difficile per le autorità tunisine, soprattutto in un contesto di crescenti difficoltà economiche. L’Italia ha offerto alla Tunisia 82 navi militari per migliorare il controllo delle coste. Ma queste navi e i fondi stanziati dall’UE sono strumenti aneddotici per combattere la migrazione illegale.
Il presidente tunisino Kaïs Saïed ha inizialmente dichiarato che la Tunisia non è la forza di polizia dell’Europa e che non vuole fare il lavoro sporco per Bruxelles. È d’accordo con lui?
Kaïs Saïed ha detto che l’UE sta chiedendo alla Tunisia di assumere il ruolo di poliziotto per garantire che l’Europa rimanga un santuario. Ha aggiunto di non essere pronto ad assumersi questo compito o – come dice lei – di fare il “lavoro sporco”. Paradossalmente, però, lo stesso presidente ha una posizione anti-migrazione, soprattutto nei confronti delle persone che provengono dall’Africa subsahariana. Ha espresso le sue idee sulla migrazione nel famoso discorso del 21 febbraio 2023 – un discorso che è stato denunciato come odioso, razzista e xenofobo. Il presidente condivide questa visione xenofoba e anti-migrazione con la prima ministra italiana Giorgia Meloni e altri capi di Stato europei.
Nel suo discorso, Kaïs Saïed ha accusato i migranti subsahariani di diffondere la violenza e la criminalità nel Paese. Che impatto ha avuto questo discorso sulla situazione delle persone rifugiate e dei migranti in Tunisia?
Dopo questo discorso fortemente allarmistico, le autorità tunisine hanno cercato di intervenire per “controllare” meglio la situazione e prevenire il cosiddetto afflusso “di massa” di africani subsahariani in Tunisia. Nei regimi più o meno autoritari, le forze di sicurezza reagiscono immediatamente e sempre più duramente, e le azioni intraprese sono spesso piuttosto brutali e violente.
C’è stato un impatto sulla popolazione tunisina?
Sì, certo. Questo tipo di retorica anti-migrazione purtroppo incoraggia le persone a essere più xenofobe. A volte si verificano atti di razzismo. Gli immigrati sono sempre più vulnerabili, la loro situazione è spesso precaria e vengono sempre più presi di mira. Questo è un fattore che scoraggia gli africani subsahariani a venire in Tunisia. In effetti, il flusso di subsahariani che utilizzano la Tunisia come Paese di transito o come destinazione per un insediamento temporaneo è in netta diminuzione, come già mostrano le statistiche.
La repressione può ridurre la migrazione irregolare?
Nella migrazione, non esiste un arresto improvviso dei flussi. Quando si chiude una porta, se ne aprono altre, si inventano nuove rotte, come ad esempio quella che attraversa il Corno d’Africa passando per gli Stati del Golfo.
Cosa pensa dal punto di vista etico dell’accordo sulla migrazione proposto dall’UE alla Tunisia?
Da un punto di vista strettamente etico, è inaccettabile usare, sfruttare e strumentalizzare la crisi economica che la Tunisia sta attraversando per subappaltare la gestione dei flussi migratori. Questo dipende solo dall’UE. Dovrebbe accogliere le persone e fare una cernita di chi merita o meno lo status di rifugiato. È una politica non produttiva, che avrà effetti perversi.
Una politica non produttiva, perché i principali fattori che spingono a migrare persistono?
Questa politica di chiusura sta trasformando il Mediterraneo in un cimitero anziché in uno spazio di scambio e di sostegno tra popoli e Stati. Il problema delle migrazioni non si risolverà adottando un approccio puramente di sicurezza, finché continueranno a esistere ragioni strettamente oggettive delle migrazioni. Questo partenariato serve a risolvere i problemi che causano le migrazioni? Disoccupazione, guerre civili, cambiamenti climatici, come l’attuale siccità in Somalia: tutti questi fattori permangono. Dobbiamo cercare di cambiare la realtà della vita delle persone che transitano dalla Tunisia. Naturalmente, questa è una responsabilità innanzitutto degli Stati africani, ma deve essere condivisa anche dalla comunità internazionale.
Mehdi Mabrouk è un politico tunisino, dottore in sociologia e docente universitario. Dal 2012 al 2014 – dopo la destituzione del leader storico Ben Ali nell’ambito della Primavera araba – è stato ministro della Cultura della Tunisia. Come sociologo, Mehdi Mabrouk insegna, fa ricerca e pubblica su temi quali la migrazione internazionale, i giovani, l’istruzione e il cambiamento democratico. È direttore del Centre arabe des recherches et de l’étude des politiques (CAREP) di Tunisi.
Quali elementi dovrebbe contenere questo partenariato per essere interessante per la Tunisia?
La Tunisia ha attualmente tra 100’000 e 800’000 persone senza lavoro. Si tratta di un tasso di disoccupazione molto elevato, fino al 18-19% della popolazione attiva.
Circa un terzo di loro è altamente qualificato: ha una laurea in medicina, farmacia o ingegneria informatica. Ma anche queste persone altamente qualificate non possono ottenere il visto. Questo è un grosso problema. Dobbiamo quindi incoraggiare un sistema di scambi e di mobilità che permetta alla gioventù tunisina, sia essa qualificata o meno, di viaggiare, di avere il diritto di rimanere in Europa e di lavorarvi.
Esistono già partenariati bilaterali tra la Tunisia e alcuni Paesi europei, tra cui la Svizzera. Questi accordi non funzionano?
Sì, ma non sono sufficienti. La Svizzera, ad esempio, non è una delle destinazioni preferite dai tunisini e dalle tunisine. Ciò che spinge i tunisini a emigrare in Italia e in Francia non è solo una questione di vicinanza geografica, ma anche la presenza di loro compatrioti in quei Paesi che risale agli anni Sessanta. Le reti migratorie indirizzano i tunisini più verso queste destinazioni e meno spesso verso altri Paesi.
Nel frattempo, migliaia di tunisini, soprattutto giovani, continuano a migrare verso l’Europa attraverso il Mediterraneo.
Sì, l’emigrazione dalla Tunisia è estremamente elevata. Quando la Tunisia ha vissuto lo scoppio della sua rivolta popolare nel 2010 e nel 2011, nel giro di quattro settimane c’è stata un’ondata migratoria estremamente ampia, con circa 25’000 migranti arrivati sulla piccola isola di Lampedusa. Questa situazione è rimasta più o meno costante, non ci sono stati grandi cambiamenti. Allo stesso tempo, se si guardano i rapporti Eurostat, c’è una reale necessità di reclutare manodopera in Europa. Non bisogna quindi essere egoisti. Anche se volete strumentalizzare la crisi economica: siate un po’ generosi! Chiediamo all’UE di accogliere e reclutare lavoratori, qualificati e non.
Dodici anni dopo la Primavera araba, come sta evolvendo politicamente la Tunisia? Il presidente sarà in grado di mantenere il suo stile autoritario?
Kaïs Saïed ha sfruttato la crescente rabbia sociale, perché a un decennio dalla transizione i tunisini non hanno visto alcun cambiamento reale nella loro situazione economica e sociale. Purtroppo, stiamo perdendo le nostre libertà individuali. L’Europa non ha finanziato generosamente la transizione democratica della Tunisia, affinché il Paese possa risolvere i suoi numerosi problemi. L’UE ha perso un Paese che avrebbe potuto essere una democrazia, un’eccezione tra i Paesi arabi e musulmani. Le due parentesi della transizione democratica sono ormai chiuse. In termini strettamente economici, non è cambiato sostanzialmente nulla. Penso che il presidente potrebbe resistere a tutti questi vincoli, soprattutto con la morsa dello Stato sullo spazio pubblico, sulla società civile, sui giornalisti e sui blogger. Oggi, come ha detto il grande sociologo Vincent Geisser, stiamo vivendo un “ritorno della cultura della paura”.
Dal 2012 esiste un partenariato migratorio tra la Svizzera e la Tunisia: Berna sostiene Tunisi finanziariamente, sotto forma di facilitazioni per il rilascio dei visti a uomini d’affari, accademici e artisti tunisini e di posti di tirocinio in Svizzera.
In cambio, la Tunisia riprende le persone richiedenti asilo respinte. I due Paesi hanno anche un programma di cooperazione che si concentra sulla promozione dello sviluppo economico, sul rafforzamento della democrazia e sul miglioramento delle condizioni di vita in Tunisia. Dalla Primavera araba, la Svizzera ha (co)finanziato numerosi progetti di democratizzazione.
In qualità di membro associato dei sistemi di Schengen e Dublino, la Svizzera contribuisce anche alla politica europea in materia di migrazione e asilo.
Articolo a cura di David Eugster
Traduzione di Daniele Mariani
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