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L’archivio ceceno per non uccidere la memoria

Nel 2007 interi quartieri di Grozny erano ridotti in macerie. Keystone

Il 27 ottobre si celebra la Giornata mondiale UNESCO del Patrimonio Audiovisivo. Zaynap Gashaeva, attivista cecena per i diritti umani, ha rischiato la vita per documentare le atrocità commesse nel suo paese. L'archivio di filmati e immagini è ora al sicuro, in Svizzera.

Zaynap Gashaeva ha tante cose da raccontare. Storie del suo popolo e del suo paese. Zaynap, classe 1953, ha visto la guerra, i morti. Mamme e bambini straziati. Il suo sguardo è triste, ma pieno di determinazione. «Un giorno sarà fatta giustizia».

Rifugiata in Svizzera dal gennaio 2011, Zaynap incarna lo spirito di quelle donne che come Anna Politkovskaja hanno sfidato il potere per raccontare la verità. Dal 1994 ha raccolto centinaia di filmati e testimonianze degli orrori delle guerre in Cecenia. L’archivio, conservato in Svizzera dalla Società per i popoli minacciati, dovrebbe permettere un giorno di punire i colpevoli.

Le immagini che giungono oggi da Grozny sono sorprendenti. Le macerie hanno lasciato il posto a palazzi moderni, parchi e strade illuminate. La Cecenia ha voltato la pagina buia della guerra e delle violenze?

Zaynap Gashaeva: In effetti le autorità russe e cecene hanno voluto cancellare tutte le tracce della guerra. Sono stati costruiti grattacieli, ospedali e scuole. Sono ovviamente contenta di questo sviluppo. Ma se andiamo più in profondità vediamo che le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani continuano.

Ad esempio?

La legge non è rispettata. Spesso l’autore di un omicidio non è punito oppure si mette qualcuno in prigione senza un processo. Una realtà che non riguarda soltanto la Cecenia, ma tutta la federazione russa. Inoltre soltanto chi ha i soldi può accedere alla sanità o all’educazione, contrariamente a quanto sancito dalla Costituzione. Non è mia intenzione parlare male del mio paese, ma questa è la realtà quotidiana. Le persone che come me si battono per i diritti umani sono considerate dei terroristi.

Da anni collabora con la Società per i popoli minacciati per costituire un archivio sulla Cecenia. Cosa contiene esattamente e da dove provengono i documenti?

Innanzitutto ci sono tutti i documenti raccolti da Echo Vojny (Eco della guerra), l’organizzazione che abbiamo fondato nel 1997. Si tratta soprattutto di filmati che ho realizzato assieme ad altre due donne. Ci sono scene di guerra, delle manifestazioni civili e materiale storico. Poi ci sono le immagini di alcuni giornalisti molto coraggiosi e del regista svizzero Erick Bergkraut.

Perché l’archivio si trova in Svizzera?

Durante la seconda guerra in Cecenia (1999-2000) sono stata invitata in Svizzera dalla Società per i popoli minacciati. Ho detto al suo ex direttore che avevo parecchi documenti da conservare in un luogo sicuro. In quel periodo non sapevo se il giorno dopo sarei ancora stata in vita e non volevo assolutamente perdere il materiale. L’importante era portarlo in un posto sicuro, pulirlo e conservarlo. Ho chiesto a molte persone, ma lui è stato l’unico a interessarsi.

Come è stato portato in Svizzera?

Non è stato facile. Ci sono state diverse persone che hanno preso il rischio di portarlo dapprima a Mosca e poi in Svizzera. In Cecenia si rischiava meno a farsi trovare con un’arma o una bomba, che con i filmati. La prima cosa che ci chiedevano ai checkpoint era se avevamo una telecamera.

Avevamo tutti molta paura. Ricordo che se i militari russi trovavano una foto di un combattente ceceno in una casa, uccidevano tutta la famiglia. Per questo motivo nascondevamo le cassette sotto terra e nei muri.

Qual è l’importanza di questo archivio?

Vogliamo documentare tutto ciò che è successo in Cecenia. L’archivio è la voce del popolo, la memoria del nostro paese. È molto importante siccome non è stato conservato nulla della storia cecena. Nel 1944, al momento della deportazione del popolo ceceno in Asia centrale, nel mio villaggio rinchiusero più di 700 persone in un edificio, prima di dargli fuoco. Di questa tragedia non ci sono tracce, non ci sono documenti.

L’archivio vuole poi essere un’alternativa alla versione ufficiale, che ha sempre occultato la realtà. Nel 1999 ero al mercato di Grozny quando è caduto un missile che ha ucciso più di 200 persone. Le fonti ufficiali parlarono di un’esplosione causata da una manipolazione errata da parte di alcuni mercanti di armi. I nostri filmati mostrano invece chiaramente che si è trattato di un crimine contro la popolazione civile.

Il nostro scopo è anche questo: se un giorno i politici vorranno strumentalizzare la storia a loro favore, l’archivio potrà mostrare come sono andate effettivamente le cose.

I documenti audiovisivi potranno anche essere impugnati nei tribunali internazionali?

I giudici e gli esperti che hanno visionato il materiale ci hanno confermato il suo valore. I documenti potranno essere utilizzati per condurre un’inchiesta e condannare i responsabili. Abbiamo ad esempio le prove che in molti casi si è fatto ricorso ad armi illegali, in violazione delle leggi internazionali.

Durante le manifestazioni popolari in Birmania nel 2007, e più di recente in Siria, abbiamo visto persone rischiare la vita per filmare la repressione del governo. Qual è il suo messaggio a queste persone?

Quando abbiamo iniziato a filmare ci siamo dette che saremmo tutte morte e che nessuno avrebbe saputo ciò che succedeva in Cecenia. Per fortuna non abbiamo avuto paura. Eravamo determinate: anche se qualcuno di noi fosse morta, le altre dovevano continuare.

È questo il mio messaggio: non abbiate paura perché trasmettete e conservate la verità e la memoria storica per le altre generazioni.

Nasce nel 1953 a Tekeli, in Kazakhistan, dopo la deportazione dei sui genitori dalla Cecenia (1944).

Studia economia a Mosca e nel 1994 inizia a lavorare in difesa deidiritti umani.

Durante le due guerre cecene (1994-1996 e 1999-2000) documenta ciò che succede nel paese. Assieme ad altre donne filma le scene di guerra e raccoglie le testimonianze della popolazione civile.

Lavora con giornalisti e attivisti europei, ceceni e russi. Tra loro la giornalista Anna Politkovskaja (assassinata nel 2006) e le attiviste per i diritti umani Natalya Estemirova e Zarema Sadulayeva (entrambe assassinate nel 2009).

Nel 1997 contribuisce alla fondazione di Ekho Voyny (Eco della guerra), un’organizzazione che si occupa di ritrovare le persone scomparse e di assistere gli orfani e i veterani di guerra.

In seguito s’impegna nella promozione della pace e in lavori a carattere umanitario in Cecenia e nel resto della federazione russa.

Costretta a fuggire a causa delle numerose minacce, ottiene rifugio in Svizzera nel gennaio 2011.

Attualmente si occupa dell’archivio ceceno assieme alla Società dei popoli minacciati di Berna. L’archivio riunisce tutti i documenti audiovisivi che Gashaeva e altre donne hanno clandestinamente fatto uscire dalla Russia.

Il suo impegno è raccontato nel film documentario di Eric Bergkraut “Coca, la colomba della Cecenia” (2005).

Nel maggio 2011 le viene assegnato il premio Somazzi, un riconoscimento attribuito alle donne attive nella difesa dei diritti umani e nella promozione della pace.

Lo svizzero Dick Marty è stato incaricato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa di allestire un rapporto sulla situazione dei diritti dell’uomo nella regione del Caucaso del Nord.

Nel rapporto, approvato dal Consiglio d’Europa nel gennaio 2011, si legge che in Cecenia le autorità «continuano a mantenere un clima generalizzato di paura».

Pur riconoscendo il miglioramento a livello delle infrastrutture, Marty sottolinea che «la situazione dei diritti umani e il funzionamento della giustizia e delle istituzioni democratiche continuano a sollevare forti preoccupazioni».

Le sparizioni degli oppositori al governo e dei difensori dei diritti umani, scrive Marty, continuano a godere dell’impunità.

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