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L’Italia chiama, Berna risponde con… prudenza

Le celebrazioni per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia sono ormai iniziate; nella foto il tempio della Concordia di Agrigento, illuminato a festa il 30 dicembre 2010 Keystone

In Svizzera si è guardato con interesse e simpatia alle vicende che hanno portato all'unità italiana, in particolare negli ambienti liberali. Quando però si è trattato di riconoscere il nuovo Stato, il governo elvetico ha reagito con molta prudenza. Intervista allo storico Sacha Zala.

La Svizzera è stato uno dei primi Stati assieme alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti a cui l’Italia ha chiesto di essere riconosciuta dopo la proclamazione del Regno, avvenuta il 17 marzo 1861. Berna ha però reagito in maniera piuttosto tiepida, spiega Sacha Zala, direttore dei Documenti diplomatici svizzeri.

swissinfo.ch: Il 17 marzo 1861 viene proclamato il Regno d’Italia. La Svizzera come reagisce alla creazione di questo nuovo Stato?

Sacha Zala: In maniera molto cauta. Quando Torino notifica a Berna la creazione del Regno, il Consiglio federale risponde semplicemente che prende atto del ‘nuovo ordine delle cose’ e ribadisce le antiche relazioni di buona amicizia. Nella risposta alle autorità italiane evita esplicitamente di riconoscere il nuovo Stato, che giuridicamente è ‘soltanto’ un ingrandimento del Regno di Sardegna. È vero che a Torino questa missiva è interpretata come un riconoscimento; la formulazione utilizzata dal governo svizzero è però volutamente ambigua.

swissinfo.ch: Perché questa prudenza?

S. Z.: Il Regno d’Italia crea una nuova situazione: un chiaro riconoscimento da parte della Svizzera avrebbe implicato l’interruzione immediata di tutte le relazioni con gli Stati precedenti, la cui esistenza era stata garantita dal Congresso di Vienna. E questo il Consiglio federale non lo vuole fare, perlomeno non prima che la situazione sia chiarita definitivamente, ciò che avverrà comunque molto presto.

Non bisogna poi dimenticare che gli attuali confini dell’Italia sono fissati soltanto dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1861 è ancora aperta la questione del Veneto e del Tirolo meridionale – che confina con la Svizzera – e la questione dello Stato pontificio… È quindi comprensibile che la Svizzera dia prova di prudenza e attenda prima le reazioni delle potenze europee.

swissinfo.ch: Vi sono dei contenziosi territoriali anche tra la Svizzera e l’Italia?

S. Z.: Vi sono effettivamente alcune piccole questioni confinarie aperte, in particolare nella Valposchiavo e in Ticino. Del resto tra i primi trattati siglati fra la Svizzera e il nuovo Regno d’Italia ci sono proprio quelli per regolare i confini.

Il problema svizzero nel 1861 è però un altro: il confine con l’Italia è quello più recente e del quale forse ci si fida meno. La separazione della Valtellina dai Grigioni del 1797 era avvenuta soltanto due generazioni prima. Nel subconscio federale, il Ticino è un ex-baliaggio, e con l’affermazione nella seconda metà del XIX secolo del principio di nazionalità basato su lingua e cultura, esiste innegabilmente un potenziale di revisione dei confini. Da parte italiana, lo stesso Cavour nel 1861 afferma che se un giorno la Svizzera avesse ottenuto il Vorarlberg e il Tirolo, si sarebbe potuta ipotizzare l’unione del Ticino con l’Italia. Del resto le fortificazioni a sud di Bellinzona erette nel 1848 durante la guerra nell’Italia del nord e la costruzione dei forti di Airolo nella seconda metà degli anni 1880 sono da leggere prima in chiave anti-austriaca e poi anti-italiana.

swissinfo.ch: Berna guarda quindi a sud con una certa preoccupazione?

S. Z.: Senza dubbio i rapporti tra il Ticino e la Confederazione attraversano un periodo di crisi già a partire dal 1848. Berna sospetta il cantone se non di fomentare, sicuramente di tollerare le attività dei rivoluzionari italiani. Per questa ragione, nel novembre del 1848 l’Assemblea federale obbliga i rifugiati italiani in Ticino a trasferirsi nella Svizzera interna. In una lettera indirizzata al Consiglio federale nell’aprile del 1853 (quell’anno l’Austria decretò la chiusura delle frontiere ed espulse dal Regno Lombardo-Veneto circa 6’000 ticinesi, ndr) il Consiglio di Stato ticinese prende posizione con veemenza contro le accuse secondo le quali il cantone è un focolaio rivoluzionario. Nello stesso documento, però, emerge con forza anche la lealtà nei confronti di Berna. Pur rilevando tutte le difficoltà alle quali è confrontato il cantone, il governo ticinese dichiara che la competenza per la ‘alta politica’ spetta esclusivamente al Consiglio federale. Nonostante questi gravi problemi, il Ticino si sente quindi pienamente svizzero.

swissinfo.ch: Sin dai primi anni dell’Unità, a creare attriti tra la Svizzera e l’Italia è il fenomeno del contrabbando. Qual è la posizione della Confederazione?

S. Z.: Effettivamente è un fenomeno che irrita molto le autorità italiane. A tal proposito sono assai significative le parole di Cavour durante un incontro nel 1861 con l’incaricato d’affari svizzero a Torino. In sostanza il capo del governo italiano polemizza dapprima contro i contrabbandieri svizzeri, assicurando comunque che l’Italia non tenterà di intraprendere qualcosa contro la Confederazione. La Svizzera dal canto suo reagisce con estrema costanza, portata avanti fino ad oggi, sottolineando che non ci sono obblighi internazionali che costringono uno Stato a regolare le proprie esportazioni. Dal punto di vista elvetico, questi traffici nelle zone di confine non hanno nulla d’illegale, si tratta semplicemente di esportazione.

swissinfo.ch: La Svizzera è però stata anche una terra di rifugio per molti profughi italiani e ha guardato di buon occhio quanto stava avvenendo in Italia…

S. Z.: La Svizzera è l’unico paese europeo nel quale la rivoluzione del 1848 ha attecchito e vi sono senza dubbio dei forti sentimenti, anche ideologici, nei confronti di tutte quelle persone rifugiatesi in Svizzera. D’altro canto, la questione dei rifugiati crea enormi pressioni internazionali sulla Svizzera, tacciata di lassismo. Nonostante il Consiglio federale cerchi di mantenere in equilibrio tutti gli interessi, la questione rimane acuta per almeno mezzo secolo e sfocerà addirittura nel 1902 con la momentanea rottura delle relazioni diplomatiche tra Svizzera e Italia.

Non bisogna infine dimenticare la questione religiosa: Ticino e Valposchiavo facevano ancora parte delle diocesi di Como e di Milano. In Svizzera, perlomeno tra i liberali, si vedeva dunque di buon occhio tutto ciò che indeboliva lo Stato della Chiesa e quindi il suo controllo su queste terre, che ben presto saranno staccate dalle diocesi italiane. In questo senso l’Unità d’Italia contribuisce a ‘perfezionare’ l’unità elvetica.

Per la Svizzera la somma di tutti questi sviluppi ha certamente fatto sì che le varie componenti del Paese attecchissero assieme in modo più forte. Queste crisi e le pressioni provenienti dall’esterno hanno innegabilmente cementato proprio in quei decenni un’identità svizzera.

I Documenti diplomatici svizzeri (DDS) sono un centro di ricerca dell’Accademia di scienze morali e sociali, che pubblicano in particolare i documenti rilevanti per la politica estera svizzera.

Una prima edizione di 15 volumi, relativa al periodo 1848-1945 è stata pubblicata dal 1979 al 1997. Nel quadro della seconda serie, che copre il periodo 1945-1961, sono stati pubblicati sei volumi.

Una banca dati elettronica permette inoltre di consultare numerosi documenti e dei dossier tematici.

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