«L’Italia va salvata dal malcostume»
A 150 anni dall'unità d'Italia, cosa possono insegnare all'Italia di oggi i protagonisti del Risorgimento? E che ruolo può avere il pensiero di Carlo Cattaneo, il più "svizzero" dei patrioti italiani? Intervista con lo storico Paul Ginsborg.
swissinfo.ch: Professor Ginsborg, lei ha intitolato il suo ultimo libro Salviamo l’Italia. Ma da cosa va salvata l’Italia?
Credo che l’Italia vada salvata soprattutto dal malcostume imperante. Con malcostume intendo il ricorso frequente a forme di clientelismo, la presenza della criminalità organizzata, l’attenzione esclusiva alla sfera familiare e l’incapacità di molte famiglie di guardare oltre il consumo e gli affetti familiari. In altre parole, intendo l’assenza di una sfera pubblica che abbia veramente un senso e le sue regole, che sia garanzia di democrazia.
Questo malcostume, se posso chiamarlo così, è molto peggiorato negli ultimi 10-15 anni. Abbiamo un presidente del consiglio che non nasconde il suo disprezzo per le istituzioni, per la corte costituzionale, per il presidente della repubblica, per la magistratura. Nello stesso tempo è proprietario del maggior gruppo televisivo privato del paese, ciò che è all’origine di un enorme conflitto d’interessi. C’è una profonda crisi di valori e di comportamento, proprio nel cuore del paese.
Paul Ginsborg
C’è una profonda crisi di valori e di comportamento, proprio nel cuore del paese
swissinfo.ch: Nel suo libro, lei propone dei paralleli tra il periodo attuale e quello precedente l’unità d’Italia. Un tema che accomuna i due periodi è quello della «decadenza» dell’Italia.
P.G.: Non voglio dire che la nostra epoca sia identica a quella risorgimentale, ovviamente. I problemi sono diversi, le classi sociali sono cambiate. Ma le voci del Risorgimento ci sono vicine, le riflessioni degli uomini e delle donne di quell’epoca ci possono essere d’insegnamento. Questo è molto bello.
Quanto alla decadenza, bisogna anche sottolineare le differenze tra le due epoche. Gli uomini e le donne del Risorgimento avevano una forte idea di patria, ma non avevano uno stato italiano. Ora noi abbiamo uno stato, ma poco senso della patria e della nazione. L’Italia è stata fatta, come volevano i protagonisti del Risorgimento, ma è stata fatta male.
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swissinfo.ch: In fondo, lei sembra dire che la famosa frase di Massimo d’Azeglio, «abbiamo fatto l’Italia, ora bisogna fare gli italiani», è ancora in qualche modo attuale.
P.G.: Sì, ma solo fino a un certo punto. Gli italiani si considerano e vivono come italiani, non c’è dubbio, ma è un’identità complessa e profondamente pessimista. Non c’è una celebrazione dell’innovazione, della democrazia, del buon funzionamento dell’amministrazione pubblica. Gli italiani ci sono, ma si trovano in un contesto veramente poco favorevole. Loro stessi ne sono in gran parte responsabili.
swissinfo.ch: Negli anni novanta lei ha curato, insieme a Vittorio Foa, un libro che si intitolava Le virtù della repubblica. In quel libro, lei sosteneva la capacità di rigenerazione della società italiana, capacità incarnata nell’azione dei magistrati di Mani pulite. Cos’è andato storto, allora?
P.G.: Era un libro di speranza, sembrava veramente che l’Italia avesse imboccato un nuovo corso di riforme, soprattutto nella sfera pubblica, nei rapporti tra politici, amministratori e imprenditori. E invece non è andata così, sostanzialmente per due ragioni.
Prima di tutto, la magistratura si è trovata isolata nella società italiana. La sua azione appariva troppo radicale. Sembrava che non solo indagasse sugli amministratori e i politici, ma chiedesse anche un comportamento esemplare ai cittadini. La maggioranza degli italiani non ha voluto saperne. Ai magistrati è venuto a mancare il sostegno della popolazione.
La seconda ragione è stata l’incapacità della maggiore forza politica della sinistra di assumere, in quel momento, una posizione di responsabilità. Il Partito comunista italiano e i partiti suoi eredi avevano troppa paura dei loro scheletri nell’armadio, dei fondi segreti provenienti da Mosca. Temi di cui invece si sarebbe potuto parlare più apertamente.
Nel momento in cui le forze riformatrici erano forti nella società italiana, è venuta a mancare una rappresentanza politica efficace. È una situazione ricorrente nella storia italiana. Gli ex-comunisti aspettavano che le acque si calmassero.
Paul Ginsborg
Gli italiani si considerano e vivono come italiani, non c’è dubbio, ma è un’identità complessa e profondamente pessimista
swissinfo.ch: Al di là dei demeriti della sinistra italiana, non andrebbero riconosciuti anche i meriti di Berlusconi? Berlusconi ha goduto per anni di un consenso piuttosto ampio.
P.G.: Non c’è dubbio. Per questo il berlusconismo è un fenomeno che andrebbe studiato a fondo. È chiaro che non si tratta solo di un uomo, ma di un sistema di governo, di un insieme di valori molto particolare, osservati con interesse e preoccupazione in molte parti d’Europa. Un regime soft, contrassegnato non dal manganello, ma dal potere mediatico, dall’uso politico dell’informazione.
L’incoraggiamento fortissimo del clientelismo, il paternalismo di Berlusconi, l’idea del dono, della generosità, il ritorno al vecchio costume per cui il potere politico distribuisce posti di lavoro e favori: tutto questo è meritevole di un’analisi approfondita, che finora non c’è stata.
swissinfo.ch: Lei cita spesso nel suo libro Carlo Cattaneo, il più “svizzero” dei protagonisti del Risorgimento. C’è in qualche modo una pista svizzera, federalista, per uscire dall’attuale crisi italiana?
P.G.: Nei testi di Cattaneo si trovano proposte di grande interesse: la valorizzazione del governo dei comuni e delle città, l’idea dell’autogoverno, la possibilità di far convivere in Italia modelli regionali diversi, dotati di ampia autonomia. Sono proposte che possono rafforzare la democrazia italiana, una democrazia che oggi soffre di un sistema rappresentativo dominato delle segreterie dei partiti, da piccoli gruppi di potere.
Il decentramento che aveva in mente Cattaneo, ispirato al modello svizzero e statunitense, può fornire all’Italia un insegnamento prezioso. Ma attenzione: Cattaneo non ha mai voluto un’autonomia lombarda. E non ha neppure mai detto che le regioni meno prosperose dovessero essere abbandonate a se stesse. Era un patriota italiano. Le posizioni della Lega Nord non sono mai state quelle di Cattaneo.
Paul Ginsborg, nato a Londra nel 1945, è professore di storia contemporanea all’Università di Firenze. Fra le sue opere si possono ricordare Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-49 (1978), Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988 (1989), Storia d’Italia 1943-1996. Famiglia, società, Stato (1998), L’Italia del tempo presente. Famiglia, società civile Stato. 1980-1996 (1998), Berlusconi (2004). Fortemente critico verso il governo di Silvio Berlusconi, è stato tra gli animatori del movimento dei girotondini e oggi fa parte dell’associazione «Libertà e giustizia». Dal 2009 è cittadino italiano.
Nel suo ultimo libro, intitolato Salviamo l’Italia (2010), Paul Ginsborg propone una rivisitazione delle grandi figure del Risorgimento italiano, da Carlo Cattaneo al conte di Cavour, da Daniele Manin a Carlo Pisacane, da Giuseppe Mazzini a Giuseppe Garibaldi, che servono da spunto, in occasione dei 150 anni dell’unità a, a una riflessione sulle storture dell’Italia presente.
Per «salvare l’Italia», Ginsborg fa affidamento ad alcuni elementi della storia del paese, rimasti spesso in secondo piano, ma capaci a suo avviso di fornire gli impulsi per una rifondazione dell’Italia: l’esperienza dell’autogoverno urbano, l’europeismo, le aspirazioni egualitarie e l’ideale della mitezza. Il volume è appena stato pubblicato nella sua versione tedesca (Italien retten, Wagenbach, Berlino, 2011).
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