“La democrazia partecipativa è una questione di mentalità”
Contrariamente agli altri paesi che hanno vissuto la «primavera araba», la Tunisia è riuscita a portare avanti il processo di transizione post Ben Ali. Per il giurista Yadh Ben Achour, che ha svolto un ruolo chiave nella preparazione delle riforme politiche, questo successo ancora fragile è legato alla storia del paese e a una certa esperienza di consenso e democrazia partecipativa.
Malgrado la minaccia terroristica e securitaria, la Tunisia prosegue il suo cammino democratico, forte di una nuova Costituzione e dell’elezione di un parlamento e di un presidente permanenti. Intervista col professor Yadh Ben Achour, a capo della “Alta istanza per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica”, di passaggio a Ginevra.
swissinfo.ch: Nel 2011 ha diretto questa istituzione incaricata di portare avanti le riforme politiche. Quali sono le principali lezioni che ha tratto da questa esperienza?
Yadh Ben Achour: Eravamo in un periodo rivoluzionario e in simili circostanze il diritto non può governare integralmente la realtà. Ma non si può mai fare a meno delle leggi, anche nel mezzo di una rivoluzione!
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Il risultato è stata la creazione di una sorta di “parlamento” attraverso l’Alta istanza. Era composto di partiti politici di una certa fama, perché avevano resistito alla dittatura di Ben Ali, indipendentemente dalle loro ideologie. Erano tutti all’opposizione e si erano coalizzati dopo lo sciopero della fame nell’ottobre 2005 attraverso una piattaforma comune, che svolgerà un ruolo nell’elaborazione finale della Costituzione. Di fatto, l’Alta istanza – senza legittimità elettiva – era costruita sul consenso.
Grazie a questo lavoro mi sono reso conto di quanto l’esistenza di un consenso prerivoluzionario sia stata preziosa. È questa esperienza di democrazia partecipativa che ci ha permesso di attraversare con successo il periodo di transizione e di giungere a una nuova Costituzione. Dopo tutto si tratta di una Costituzione democratica, malgrado la presenza al potere di un partito islamista.
Nato il 1º giugno 1945 alla periferia di Tunisi, questo avvocato tunisino è esperto di diritto pubblico e teorie politiche islamiche.Ha diretto la facoltà di scienze giuridiche, politiche e sociali di Tunisi (1993-1999), è stato membro dell’Istituto di diritto internazionale e del comitato di esperti incaricato dell’elaborazione di un rapporto sullo sviluppo umano nel mondo arabo (2007).Il 15 gennaio 2011 è stato scelto per presiedere la “Commissione Nazionale per le Riforme Politiche”, ribattezzata due mesi dopo “Alta istanza per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica”. Ha pubblicato diversi libri e articoli accademici.
swissinfo.ch: Qual è il segreto di questa eccezione tunisina in un mondo arabo agitato e poco o per nulla democratico?
Y.B.A: Il segreto della cosiddetta “eccezione tunisina” è legato a un certo numero di elementi. Prima di tutto, vi è l’esperienza di Bourghiba [primo presidente della Tunisia, 1957-1987] che malgrado il carattere autoritario del suo governo, ha portato avanti delle riforme moderniste, in particolare per quanto riguarda il diritto della famiglia, la liberazione delle donne e la modernizzazione delle mentalità. Queste riforme si sono radicate in profondità nel nuovo spirito civico tunisino, soprattutto a livello legislativo, ma anche di atteggiamento del popolo.
Oggi abbiamo ritrovato questa eredità ! Dopo la rivoluzione i tunisini hanno difeso in modo quasi passionale i diritti delle donne. E nonostante il loro carattere profondamente credente, hanno ripreso da Bourghiba la volontà di non mescolare politica e religione. Quando l’ala radicale del partito maggioritario Ennahdha ha cominciato a voler portare avanti grandi progetti di islamizzazione dello Stato e della società, la società nella sua maggioranza ha reagito immediatamente.
La fortuna della Tunisia è quella di avere una lunga esperienza riformista che risale al 19esimo secolo. Anche Bourghiba s’inserisce in un processo secolare, che inizia con il Patto fondamentale del 1861. Abbiamo dunque una tradizione riformista, costituzionalista e statalista. È su questa tradizione che si è basata la società tunisina per far fronte a un governo la cui ala radicale voleva islamizzare lo Stato e la società. E se alla fine abbiamo una Costituzione democratica, è perché la Tunisia ha sufficienti risorse storiche dalle quali attingere.
swissinfo.ch: In un testo pubblicato di recente, afferma che la Costituzione del 27 gennaio 2014 “è prima di tutto il risultato di una cittadinanza nascente” in Tunisia. Pensa che questa dinamica continuerà a svilupparsi?
Y.B.A: Abbiamo portato avanti questa sperimentazione della democrazia in modo spontaneo: la società si è sentita provocata dai tentativi di islamizzazione ed il tema è stato ampiamente dibattuto.
È per questo motivo che in quest’articolo ho scritto che la Costituzione è il prodotto di una cittadinanza nascente. La cittadinanza è la libertà del soggetto di diritto, la libertà di ogni individuo che deve affermare la sua presenza di fronte allo Stato. Si tratta di un equilibrio difficile da raggiungere – tranne nei regimi democratici – tra le convinzioni personali e quelle collettive da un lato, e la libertà dell’individuo e l’autorità dello Stato dall’altra. Abbiamo conquistato la libertà dell’individuo nei confronti dello Stato, ma non abbiamo ancora trovato il punto d’equilibrio.
swissinfo.ch: Negli ultimi anni sono state valutate diverse proposte per accrescere la partecipazione dei cittadini nei processi decisionali. Un capitolo della Costituzione è ad esempio dedicato al potere locale, alla possibilità per il presidente di ricorrere al referendum. Questo approccio partecipativo si svilupperà a livello locale e regionale?
Y.B.A: Queste sono tecniche giuridiche, ma la democrazia partecipativa non è una questione giuridica ma di mentalità, di esperienza. Il diritto non crea un fenomeno, l’organizza in seguito. La democrazia partecipativa è creata dallo spirito maggioritario di un popolo.
Se le mentalità restano le stesse, anche con le migliori Costituzioni e leggi del mondo, non si faranno passi avanti. Al contrario, il problema potrebbe aggravarsi. Le faccio un esempio: la democrazia locale e il potere locale sono una cosa eccellente, ma solo se c’è un’unità all’interno della società in grado di resistere alle divisioni. In altre parole, più unità che divisioni, più prosperità che povertà. Negli ultimi anni, tuttavia, abbiamo visto riemergere il fenomeno del tribalismo, che credevamo scomparso. Lasciando troppa libertà ai governi locali, vi è il rischio di incoraggiare questo tipo di divisioni, che possono diventare ancor più pericolose.
swissinfo.ch: A metà maggio, la Tunisia ospita la 5a sessione del Forum mondiale sulla democrazia diretta moderna. Quale impatto potrebbe avere una simile manifestazione sulle dinamiche in corso nel paese?
Y.B.A: Credo che questo tipo di manifestazione – con la campagna pubblicitaria che è stata fatta – non può che essere benefica al paese. Perché il cambio di mentalità passa dalla comunicazione.
Se prendiamo ad esempio temi come i diritti umani, la democrazia o la partecipazione, più se ne parla, più si radicano nella mente delle persone e permettono di sviluppare un maggiore livello di consapevolezza. È un cammino lungo, che non si può misurare sulla scala della storia recente. Ma un forum come questo non può che essere utile alla Tunisia.
4 gennaio 2011: Dopo un mese di manifestazioni e scontri con la polizia, l’ex presidente Ben Ali lascia la Tunisia e cerca rifugio in Arabia Saudita con la moglie e atri membri della famiglia.
5 gennaio: Yadh Ben Achour accetta la proposta del primo ministro di presiedere la Commissione per la riforma politica, incaricata di rivedere la Costituzione del 2002 e riformare le leggi.
3 marzo 2011: In seguito a forti pressioni da parte della popolazione, di alcuni partiti politici e dei sindacati, il presidente del primo periodo transitorio annuncia la sospensione della Costituzione e la creazione della “Alta istanza per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica”. Questa dovrà servire da quadro giuridico per l’organizzazione delle future elezioni.
13 ottobre 2011: Dopo sette mesi di dibattiti e scossoni politici, l’Alta istanza presenta una base legale per l’elezione dell’assemblea costituente (ANC), elegge l’Istanza superiore indipendente per le elezioni (Isie) e definisce la sua organizzazione.
23 ottobre 2011: Organizzazione delle prime elezioni libere democratiche in Tunisia per scegliere i 217 membri della nuova costituente.
26 gennaio 2014: L’Assemblea costituente adotta a grande maggioranza (200 su 217) la nuova Costituzione tunisina.26 ottobre 2014: Viene eletta una nuova assemblea dei rappresentanti del popolo (ARP). Il partito Nidaa Tounes (che riunisce membri dell’ex partito al potere, sindacalisti, personalità di sinistra e indipendenti) arriva in testa con 86 seggi, seguito da Ennahdha (partito islamista) con 69 rappresentanti.
18 dicembre 2014: Béji Caid Essebsi, ex primo ministro (da marzo a dicembre 2011) ed ex ministro di Bourghiba viene eletto presidente della Repubblica tunisina con il 55,7% dei voti.
5 febbraio 2015: Il nuovo governo guidato da Habib Essid ottiene la fiducia dell’ARP. Comprende ministri appartenenti a Nidaa Tounes e ad altri tre partiti di tendenza liberale e conservatrice, tra cui Ennahdha.
(Traduzione dal francese: Andrea Tognina)
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