La libertà dei media sotto pressione
L'indipendenza giornalistica oggi può ancora essere garantita? È la domanda che si pongono in molti in Svizzera, in seguito alla bufera della Basler Zeitung (BaZ). Le risposte variano, ma è un dato di fatto che le difficoltà economiche mettono sotto pressione la libertà dei media.
Una sorta di rivolta dei lettori è scoppiata dopo la pubblicazione, alla metà di novembre, di una lettera aperta dei giornalisti del quotidiano basilese. Costoro esprimevano timori per la credibilità della BaZ con la decisione dei proprietari della testata di affidare un mandato di consulenza aziendale a una società controllata dall’ex ministro e leader dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) Christoph Blocher.
Oltre a polemiche a livello nazionale, la vertenza ha provocato un’ondata di proteste di lettori che hanno minacciato di disdire il giornale. Il braccio di ferro – tra la redazione e i proprietari, da soli dieci mesi, Tito Tettamanti e Martin Wagner – è quindi sfociato nella vendita del gruppo editoriale Basler Zeitung Medien all’ex patron della Crossair Moritz Suter.
Il 67enne fondatore della defunta compagnia aerea è stato celebrato come il salvatore della BaZ. Il soccorritore che dovrebbe riconquistare la fiducia dei lettori e dei giornalisti. Molti punti restano tuttavia ancora da chiarire. Per esempio, se Moritz Suter ha dei partner che hanno cofinanziato l’acquisto e, in caso affermativo, chi sono.
D’altra parte, sulla futura linea editoriale del giornale, sotto la guida del nuovo caporedattore Markus Somm – biografo di Blocher ed ex vice direttore della “Weltwoche”, settimanale svizzero tedesco molto vicino all’UDC –, per ora, si può solo speculare.
In un comunicato, il gruppo editoriale ha sottolineato che Suter attribuisce grande importanza “all’indipendenza giornalistica della testata”. I problemi finanziari della società editrice non sono però stati risolti. Una compressione dei costi sarà indispensabile. E Somm ha già fatto sapere che sarà inevitabile anche una riduzione dell’organico redazionale.
Allarmante miscuglio
Fusioni, ristrutturazioni, interventi di investitori, ripetuti cambiamenti di proprietà mettono però indiscutibilmente sotto pressione i giornalisti e fanno sorgere interrogativi sulle reali garanzie dell’indipendenza redazionale.
“L’indipendenza giornalistica è sempre preservata meglio laddove gli affari vanno bene. Quando vanno male, come è il caso oggi nella maggior parte delle società editrici di giornali, cresce la disponibilità al compromesso”, ha dichiarato a swissinfo.ch il giornalista freelance e pubblicista Karl Lüönd. Attualmente, c’è “un allarmante miscuglio di contenuti editoriali e commerciali, in forma di articoli e servizi redazionali pubblicitari, come anche di inserti completi di terzi”.
Inoltre, gli editori di giornali oggi cercano campi di attività in cui estendere la loro catena di valore aggiunto e “utilizzare il potere giornalistico per i propri fini commerciali”, aggiunge Lüönd.
Così, per esempio, il settimanale tedesco Die Zeit ha venduto vino all’insegna del motto”se i commercianti di vini non fanno più inserzioni pubblicitarie, allora rileviamo i loro affari”.
Un altro esempio citato da Lüönd è il gruppo editoriale Ringier, il cui CEO ha recentemente affermato che Ringier non è una società d’informazione, bensì d’intrattenimento. Oltre a possedere quotidiani, periodici, reti radiofoniche e televisive, il gruppo gestisce siti internet, possiede agenzie per l’organizzazione di eventi e di concerti e società di marketing sportivo.
Prodotto economico o media di qualità?
Rainer Stadler, giornalista della Neue Zürcher Zeitung (NZZ) specializzato nei media, vede un vantaggio in questo “modello commerciale”, in cui i media fanno soldi in settori non giornalistici. In tal modo, infatti, si possono realizzare utili, con i quali finanziare i contenuti editoriali, ha spiegato al recente “Forum Stato e Media” svoltosi all’università di Friburgo.
Alla domanda circa il pericolo di mescolare contenuti editoriali e commerciali, Stadler ha replicato: “Credo che questo non sia tanto un pericolo politico ma piuttosto economico. Si potrebbero così mettere dei concorrenti con le spalle al muro”.
Molti giornalisti, però, sentono la pressione economica. Ciò emerge chiaramente dal “Barometro giornalistico 2010”, per il quale sono stati intervistati circa 2’200 giornalisti in Germania, Austria, Slovenia e Svizzera. Circa la metà degli intervistati è “assolutamente” convinta che la qualità giornalistica in generale soffre sotto pressione economica. Solo il 5% vede “pochi o nessun” rapporto in tal senso.
Tagli da una parte, espansione dall’altra
Ma Karl Lüönd è preoccupato anche per un altro aspetto. “Da una parte, le redazioni vengono ridimensionate e brutalmente costrette a risparmiare. Dall’altra parte, tutto il settore della comunicazione, delle pubbliche relazioni e delle relazioni con gli investitori viene rafforzato in modo incredibile”
Oggi non sono solo le società quotate in borsa e le aziende private, ma anche associazioni, istituzioni, organizzazioni caritative e autorità “che si dotano di un proprio apparato d’informazione”.
“Meno sono le risorse dei media per valutare in modo critico e filtrare tutti questi input e poi mandarli avanti, più si propende ad acquistare prodotti preconfezionati dalla cucina delle pubbliche relazioni e a diffonderli praticamente senza verifiche”, dice Lüönd.
L’ombra dei gruppi d’interesse
Secondo ricerche, oggi tra il 60% e l’80% dei contenuti editoriali sono influenzati o pilotati da gruppi d’interesse, quando non vengono persino controllati. “Questo è il pericolo ed è quello di cui il settore si rende troppo poco conto”, osserva lo specialista.
Lüönd parla anche di una “fuga di cervelli, di giornalisti rinomati, che si spostano sempre più in agenzie di pubbliche relazioni o in altre funzioni. Uno di questi è Gerhard Schwarz, che è stato a lungo termine capo della rubrica economica e vice caporedattore della NZZ. Dopo una trentina d’anni di attività ha lasciato il giornale zurighese e ora è direttore del think tank elvetico Avenir Suisse. Schwarz ha detto che ormai gli mancavano le prospettive di un giornalismo vivace.
“Senza risorse sufficienti, il famoso quarto potere diventa inefficace e non è più funzionale”, conclude Lüönd.
La tiratura dei giornali svizzeri continua a diminuire. Il fenomeno tocca tutte le regioni del paese e tutte le categorie di giornali, secondo le cifre provvisorie pubblicate il 1° ottobre 2010 dall’istituto di ricerche e studi dei media pubblicitari WEMF/REMP.
Il quotidiano gratuito del mattino “20 Minuten” in tedesco si conferma al primo posto, ma è sceso del 7,9%, a 494’368 copie. In seconda posizione un altro gratuito, pubblicato però nel tardo pomeriggio: il “Blick am Abend”. È l’unico quotidiano in tutta la Svizzera tedesca che ha fatto un vertiginoso balzo in avanti, grazie anche all’estensione dell’area di diffusione: +46,3% a 329’418 copie.
Fra i quotidiani a pagamento, in testa alla classifica resta il “Blick”. Dopo una forte erosione degli ultimi anni, il giornale popolare zurighese è riuscito a invertire la tendenza, seppur minimamente: +0,2% a 214’880 copie.
Anche nella Svizzera romanda, primo in classifica è rimasto il “20 minutes”, seppure in flessione, con 207’112 copie. E ciò nonostante che non abbia più la concorrenza dell’altro gratuito in francese, il “Matin bleu”, che ha smesso le pubblicazioni a fine settembre 2009.
Tra i quotidiani romandi a pagamento, in testa c’è il vodese “24 Heures”, con 78’964 copie. In Romandia l’unico quotidiano che ha aumentato la tiratura è il friburghese “La Liberté”.
Tutti in leggero calo i tre quotidiani ticinesi, con il “Corriere del Ticino” sempre in prima posizione a quota 37’092 copie (-0,1%), seguito da “La Regione Ticino” a 32’479 (-0,2%) e il “Giornale del popolo” a 16’220 (-1,6%).
(Traduzione e adattamento di Sonia Fenazzi)
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