La pace in Medio Oriente passa anche dalla Svizzera
In quanto Stato depositario delle Convenzioni di Ginevra, la Svizzera ha l’autorità morale per intervenire sulle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele, afferma il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat.
Questa settimana Erekat si è incontrato per la seconda volta con il negoziatore israeliano Yitzhak Molcho, nel quadro dei colloqui di pace esplorativi organizzati in Giordania. Si tratta dei primi incontri dopo l’interruzione dei colloqui nel settembre 2010.
Dall’incontro del 10 gennaio 2012 non sono tuttavia emersi spiragli concreti di intesa e per il momento non è chiaro quali saranno le prossime tappe.
I palestinesi stanno considerando l’opzione di rilanciare la loro richiesta di adesione alle Nazioni Unite. Stanno inoltre riflettendo su come isolare Israele in seno all’ONU, ad esempio attraverso una nuova risoluzione di condanna delle colonie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
La responsabilità della Svizzera
Una nuova strategia nella quale potrebbe essere integrata la Svizzera. I palestinesi, afferma Saeb Erekat a swissinfo.ch, vedono la Confederazione come un «modello» in termini di rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani.
«La Svizzera ha l’autorità e la responsabilità morale di riunire i firmatari delle Convenzioni di Ginevra per far pressione su Israele affinché cessi le violazioni del diritto internazionale nei territori occupati».
«Non credo che ci sia una singola disposizione del diritto umanitario sul trattamento dei civili in tempo di guerra che Israele non abbia violato», aggiunge.
Per i palestinesi, la violazione più grave riguarda la questione delle colonie. «Le Convenzioni di Ginevra – sottolinea Erekat – proibiscono alla potenza occupante di sgomberare la popolazione dalla propria terra e di insediare la sua gente nei territori occupati».
«Oltre alle colonie c’è tutta una serie di altre violazioni delle Convenzioni di Ginevra: la distruzione di migliaia di abitazioni palestinesi, l’espropriazione dei terreni e i sistematici attacchi che hanno causato la morte di migliaia di civili».
Iniziativa di Ginevra
Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) non si esprime in merito a un eventuale ruolo della Svizzera. Riconosce tuttavia che le ripetute violazioni del diritto internazionale perpetrate dalle varie parti hanno reso la soluzione al conflitto «sempre più difficile».
La Svizzera ribadisce il suo impegno nel trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese. Durante una conferenza tenutasi a Ginevra nel novembre 2011, l’ex ministra degli affari esteri Micheline Calmy-Rey aveva ad esempio parlato di un’Iniziativa di Ginevra 2.0.
«La Svizzera continua a sostenere l’Iniziativa di Ginevra, un modello di accordo negoziato da israeliani e palestinesi della società civile [lanciato nel 2003]. In questo modo si è impegnata ad assicurare che le società coinvolte nel conflitto e i negoziatori dispongano di una proposta solida e definitiva per giungere a un accordo», spiega Carole Wälti, portavoce del DFAE.
Nessun progresso tangibile
All’incontro tenutosi questa settimana in Giordania hanno partecipato anche i rappresentanti del Quartetto (Stati Uniti, Unione europea, Russia e Nazioni Unite). Il 26 ottobre del 2011, il gruppo di nazioni e organizzazioni internazionali aveva concesso alle parti tre mesi di tempo per sottoporre le loro proposte sui confini e sulla sicurezza.
«Non è uscito nulla di nuovo», ha commentato lunedì l’alta funzionaria palestinese Hanan Ashrawi. «Israele mantiene la sua posizione intransigente», ha affermato, aggiungendo che sarà impossibile tornare al tavolo dei negoziati senza l’interruzione dell’espansione delle colonie e un chiaro impegno israeliano per un ritorno ai confini del 1967.
L’assistente del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – riporta l’edizione online del quotidiano Haaretz – non ha dal canto suo fornito dettagli sui colloqui. Ha però affermato che è previsto un altro incontro entro la fine di gennaio.
Sempre secondo il sito internet, Netanyahu starebbe valutando diverse misure per rafforzare la fiducia dei palestinesi, così come richiesto dalle autorità statunitensi e giordane. In cambio, il primo ministro si aspetta che Mahmud Abbas continui i colloqui lanciati la settimana scorsa in Giordania e rinunci a chiedere un riconoscimento dello Stato palestinese alle Nazioni Unite.
L’ultimo round di negoziati di pace si è interrotto nel settembre 2010 a causa di divergenze sulla costruzione di colonie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
Queste due zone – che i palestinesi intendono includere nel loro nuovo Stato – sono state occupate da Israele durante la guerra del 1967.
Per i palestinesi, la ripresa dei negoziati di pace è possibile soltanto con il blocco dell’espansione delle colonie israeliane (giudicate illegali da numerosi paesi). I palestinesi chiedono inoltre ad Israele di impegnarsi a rispettare i confini del 1967.
Nel settembre 2011, l’Autorità palestinese ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’ONU di riconoscere lo Stato palestinese quale membro delle Nazioni Unite. La richiesta non ha però ottenuto il sostegno unanime dei membri del Consiglio.
In alternativa, i palestinesi puntano ad ottenere lo statuto di osservatore permanente di Stato non membro (lo stesso statuto di cui beneficia ad esempio il Vaticano).
Nell’ottobre 2011, l’agenzia dell’ONU per la scienza, l’educazione e la cultura (UNESCO) ha accolto la Palestina quale membro a pieno titolo.
Israele si oppone fermamente a queste azioni “onusiane” dei palestinesi, affermando che uno Stato può essere creato soltanto attraverso i negoziati. Secondo Israele, si tratta di «misure unilaterali che mettono a repentaglio il processo di pace».
Per Israele, i colloqui di pace devono iniziare immediatamente, senza alcuna precondizione. Un ritorno ai confini del 1967 è da escludere, ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu.
(con la collaborazione di Guila Flint)
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