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La partita politica dell’Expo 2015 si gioca alle urne

Il cantiere dove sorgerà Expo 2015. Reuters

Il 28 settembre il popolo ticinese è chiamato ad esprimersi sulla partecipazione del cantone all’esposizione universale di Milano. Il referendum lanciato contro un credito di pochi milioni di franchi riflette il difficile rapporto tra il Ticino e la vicina Italia.

Dalla città più a Sud della Svizzera, Chiasso, alla sede dell’esposizione internazionale a Milano (Rho) ci sono soltanto 40 chilometri di strada. Come dire che l’Expo 2015 si svolgerà alle porte del canton Ticino.

Dal 1 maggio al 31 ottobre 2015 sono attesi 20 milioni di visitatori: il 75 per cento dall’Italia e il 25 per cento dall’estero, di cui un buon 40 per cento dalla Svizzera. I partecipanti sono chiamati a riflettere sul loro comportamento alimentare, all’insegna del tema “Nutrire il pianeta – Energia per la vita”.

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La Svizzera si è impegnata fin dall’inizio a partecipare al progetto. Governo e parlamento hanno stanziato un credito di 23,1 milioni di franchi per il padiglione svizzero, “Confooderatio Helvetica”, affidato a Presenza Svizzera e attualmente in costruzione.

Il Ticino resta indietro

Mentre la Confederazione ha messo il turbo per garantirsi un posto privilegiato a Milano, il Ticino non è riuscito a stare al passo. A sette mesi dell’apertura della manifestazione non è ancora sicuro se il cantone di frontiera sarà presente a Milano e se la sua partecipazione sarà finanziata anche da fondi pubblici. La decisione è nelle mani del popolo, chiamato ad esprimersi il 28 settembreCollegamento esterno.

A metà aprile il Gran Consiglio [Parlamento cantonale, ndr] aveva infatti approvato, a maggioranza assoluta, un credito di 3,5 milioni di franchi per la partecipazione all’Expo, ma la Lega dei Ticinesi – col sostegno dei Verdi e dell’Unione democratica di centro (UDC) – aveva lanciato un referendum. I promotori hanno raccolto ben 12’698 firme valide, quasi il doppio delle 7’000 necessarie affinché un referendum sia sottoposto a voto popolare.

Il 28 settembre, l’elettorato ticinese voterà dunque su un credito per l’Expo, ridotto però a 2,2 milioni di franchi dato che dopo la raccolta delle firme diversi progetti sono già stati abbandonati. Il tempo stringe e la loro realizzazione è ormai impossibile.

Un difficile rapporto con l’Italia

Schierata in prima linea contro il credito, la Lega dei Ticinesi è del parere che non si debbano dare «i soldi dei contribuenti alla Fallitalia», soprattutto perché «l’esposizione è infiltrata da gruppi mafiosi». Anche il coordinatore dei Verdi, Sergio Savoia, afferma: «Bisogna smetterla di gettare i soldi dalla finestra». Mentre lo Stato sociale viene sempre più ridotto, improvvisamente si trovano i fondi per simili mega progetti, sottolinea Savoia.

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I promotori del referendum sostengono inoltre che l’esposizione universale è un concetto ormai superato. E sottolineano che nessun regalo deve essere fatto ai vicini, soprattutto nel contesto attuale, con l’Italia che non mantiene le promesse fatte (ad esempio sulla linea ferroviaria Stabio-Arcisate) oppure tiene l’economia svizzera al guinzaglio con la minaccia delle liste nere.

Di fatto, il referendum sull’Expo riflette il forte malessere del canton Ticino nei confronti dell’Italia. Un malessere sancito con forza già il 9 febbraio 2014, con un 68,2 per cento a favore dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, promossa dall’UDC. Nessun altro cantone ha votato in modo così compatto. Il voto ticinese è stato un chiaro segnale di protesta contro l’Italia e in particolare contro la crescente presenza di frontalieri, oltre 62mila nel mese di agosto.

Il governo ticinese difende il credito

Questo sentimento anti-italiani è chiaramente percepibile in Ticino. Non tutti però lo condividono. Nell’allocuzione del 1° agostoCollegamento esterno, il presidente del governo Manuele Bertoli, esponente del Partito socialista, ha definito «isolazionista» la scelta del 9 febbraio e ha invitato a dire «basta» a «un atteggiamento indecorosamente ostile verso tutto ciò che proviene dall’Italia». Parole che hanno suscitato l’ira di esponenti dell’UDC e della Lega dei Ticinesi e gli hanno valso perfino una pagina su Facebook, piena di insulti.

Nonostante ciò, il governo cantonale ha difeso la necessità di partecipare all’Expo 2015. «Non possiamo non esserci», ha dichiarato il consigliere di Stato Paolo Beltraminelli, del Partito popolare democratico (PPD). «Si tratta di un’opportunità straordinaria» per farsi conoscere da un pubblico internazionale.

Una mancata partecipazione darebbe «un segnale molto negativo e controproducente», ha affermato Beltraminelli, sottolineando che il Ticino rischia anche di fare «brutta figura» di fronte alla Confederazione e ai cantoni partner. Al padiglione svizzero dovrebbero infatti partecipare i quattro cantoni del Gottardo – Ticino, Grigioni, Vallese e Uri – con un programma incentrato sul tema dell’acqua. Il contratto è già stato firmato. Solo in Ticino ha suscitato una reazione così virulenta.

Fondo “salva Expo”

Nel tentativo di rispettare gli impegni presi – nel caso in cui il credito dovesse essere bocciato – il governo ticinese ha chiesto una partecipazione finanziaria a imprenditori e istituti privati (camera di commercio, banche, ecc.), che a fine agosto hanno promesso circa un milione di franchi, e ha ricorso ad una garanzia finanziaria di un altro milione, a carico del fondo Swisslos.

Questo piano B dovrebbe dunque permettere al cantone di raccogliere almeno 1,5 milioni, l’importo minimo necessario per una presenza all’Expo 2015. Per il governo, l’accettazione del credito pubblico resta comunque prioritaria. Anche perché i soldi in più potrebbero essere utilizzati per sviluppare altri progetti non forzatamente legati all’esposizione universale.

Oltre al governo, anche i sindacati e i partiti borghesi si sono schierati con fermezza a favore del credito per Expo 2015 e hanno fondato un comitato a favore. Se il popolo ticinese seguirà le loro raccomandazioni, lo si saprà unicamente il 28 settembre. 

Domande aperte

L’esposizione universale di Milano Expo 2015 e le vicissitudini connesse, come i casi di corruzione e infiltrazioni mafiose, preoccupano la Commissione della scienza, dell’educazione e della cultura del Consiglio Nazionale (Camera bassa) che ha voluto vederci chiaro su alcuni aspetti, come i tempi e i modi di realizzazione del padiglione elvetico. Riuniti in agosto a Locarno, i parlamentari si sono detti solo parzialmente soddisfatti delle risposte fornite dall’amministrazione federale.

La Commissione ha discusso in particolare della possibilità di limitare il progetto “Confooderatio Helvetica” e dell’obbligo per le imprese di costruzione che lavorano sul cantiere del padiglione di rispettare un preciso codice di condotta. 


Presenza svizzera cerca lavoratori

Presenza Svizzera cerca 52 collaboratori per animare il padiglione svizzero durante i sei mesi dell’Expo 2015: personale per la gestione degli eventi, le relazioni pubbliche, la comunicazione e l’amministrazione. Il tutto per un salario lordo che va da un minimo di 1’600 franchi a un massimo di 2’700 per i dipendenti con posizioni di responsabilità. A questo si aggiunge un forfait di 37’50 franchi al giorno per i pasti. Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) finanzia le spese di viaggio da e per Milano.

Questo annuncio ha sollevato polemiche in Ticino. Alcuni politici parlano di dumping salariale statale, soprattutto visto che si richiede un’esperienza di lavoro e buone conoscenze linguistiche.

Presenza Svizzera respinge le accuse: «Questi salari sono adattati a quelli italiani e comparabili a quelli versati dagli altri padiglioni», afferma Andrea Arcidiacono, responsabile del programma Italia e Expo 2015. La campagna di reclutamento si rivolge in particolare a giovani svizzeri che intendono acquisire esperienza in un contesto internazionale. Finora Presenza Svizzera ha ricevuto 500 candidature. 

(Traduzione dal tedesco, Stefania Summermatter)

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