La questione giurassiana agita nuovamente la Svizzera
Dopo quindici anni di lavoro, l'Assemblea intergiurassiana (AIJ) presenterà il suo rapporto lunedì. Per numerosi osservatori, la «questione giurassiana» mette soprattutto in rilievo l'incapacità della Svizzera a rinnovarsi.
Lungo una linea di un centinaio di chilometri, colline e vallate separano i cattolici del «nord» dai protestanti del «sud». Malgrado le apparenze, non ci troviamo in Irlanda, ma in un angolo della Svizzera, tra la frontiera francese -non lontano da Belfort- e Bienne, cerniera con la Svizzera tedesca.
A nord di questa regione: 70’000 abitanti. Al sud: 55’000. Tra i due: una frontiera cantonale. Oltre trent’anni fa, infatti, i cittadini hanno scelto un destino diverso: da un lato la creazione di un nuovo cantone, il Giura, e dall’altro l’alleanza dal canton berna.
Non vi sono state battaglie, né vittime. Ciò nonostante il divario venutosi a creare era così profondo da necessitare un lavoro di «riconciliazione» o almeno di «riavvicinamento». Le collaborazioni risultavano difficoltose e, in alcuni casi, perfino impossibili. Da qui la nascita, 15 anni fa, dell’Assemblea intergiurassiana (AIJ).
Frammentato in tre cantoni
Presieduta da una personalità esterna nominata dal Governo federale, e forte di 12 delegati giurassiani e altri 12 bernesi, l’assemblea presenterà lunedì il suo rapporto finale.
Nelle ultime settimane tuttavia gli animi si sono alquanto scaldati, soprattutto nelle regioni interessate. Il resto della Svizzera osserva, senza particolari commenti. Le proposte porteranno soluzioni concrete alle difficoltà del territorio?
Suddiviso in tre cantoni, se si include anche il vicino Neuchatel, l’Arco giurassiano si trova in condizioni di isolamento geografico. Il Giura si distingue inoltre per un tasso di disoccupazione sopra la media nazionale, condizioni finanziarie poco competitive e una cosiddetta «fuga di cervelli», ossia la scelta dei giovani di non ritornare nel loro cantone di origini una volta terminati gli studi. Una tendenza che sta comunque rallentando negli ultimi anni grazie a un miglioramento della rete di trasporti pubblici.
Sinergie
La creazione di nuove sinergie permetterebbe alla regione di ottenere la «massa critica» necessaria per esercitare un peso politico ed economico. Da qui le proposte di riunificazione, o perfino di fusione con Neuchatel.
Un’opzione che non convince tuttavia lo storico e docente universitario Hans-Ulrich Jost: «Un solo cantone? Non credo sia possibile…». E questo per almeno un motivo, aggiunge. «Con una fusione, la Svizzera romanda rischia di perdere dei seggi al Consiglio degli Stati (Camera dei cantoni) e non può assolutamente permetterselo. Diminuirebbe infatti il suo peso politico nelle votazioni dove è richiesta la maggioranza dei cantoni e perderebbe dei seggi nelle commissioni federali…. Senza cambiamenti istituzionali profondi, gli appenzellesi continuerebbero ad avere maggior peso politico…».
Una Svizzera «restia al cambiamento»
Secondo il professor Hans-Ulrich Jost la questione va ben oltre: si tratta dell’idea che «la Svizzera ha di sé stessa. In che misura è in grado di modificare le proprie strutture?».
La risposta è secca: «La Svizzera è talmente restia al cambiamento che difficilmente può evolvere senza pressioni esterne. È quanto accade da inizio secolo, dopo che la stabilità è diventata un argomento di vendita e di protezione della piazza finanziaria».
Un’opinione condivisa anche da Ola Söderström, professore di geografia sociale e culturale all’Università di Neuchâtel che, in un’intervista al quotidiano romando Le Temps ammette come il «modello dei 26 cantoni sia effettivamente superato». A differenza di Hans-Ulrich Jost, Söderström ritiene comunque che una «riunione dei due territori giurassiani e del canton Neuchatel rappresenterebbe una tappa importante verso la formazione di uno o due cantoni soltanto per tutta la Svizzera francese».
Uno o due cantoni per la Svizzera francese?
Gli effetti della recessione potrebbero tuttavia farsi sentire anche su questi progetti di aggregazione, precisa il consigliere nazionale Jean-Claude Rennwald, fervente sostenitore della causa. «Non sono sicuro che si possa cambiare qualcosa in tempo di crisi».
Se la tensione è palpabile tra politici e associazioni militanti, la popolazione resta piuttosto indifferente, aggiunge il segretario sindacale. «I giovani non sono interessati al tema. Opportunità di impiego e potere di acquisto contano molto di più in questo momento».
Lo sguardo di Jean-Claude Rennwald e Hans-Ulrich Jost è puntato fuori dai confini nazionali, verso Bruxelles e quello che rappresenta. «L’Unione Europea è riuscita a smuovere la situazione in Irlanda. Se la Svizzera ne facesse parte si potrebbero avere effetti positivi anche sul Giura».
swissinfo, Ariane Gigon
(Traduzione di Stefania Summermatter)
L’annessione, da parte del Congresso di Vienna nel 1815, dell’ex vescovado di Basilea al canton Berna, sottomette i giurassiani francofoni (ad eccezione del distretto di Laufen) e cattolici all’autorità di uno Stato tedescofono e protestante.
Dopo lunghi e violenti conflitti, i plebisciti del 1974 sanciscono la separazione e, dopo la votazione federale, portano alla nascita, nel 1979, del 23esimo cantone svizzero, del quale fanno parte i distretti del nord del Giura (Delémont, Franches-Montagnes e Porrentruy). Quelli del sud (Moutier, Courtelary, La Neuveville e Laufen) scelgono invece di restare bernesi.
Nel 1994, per cercare di risolvere definitivamente la questione, la Confederazione e i cantoni di Berna e del Giura creano l’Assemblea intergiurassiana (AIJ).
Nel 2005, contro il parere del governo, il parlamento giurassiano approva l’iniziativa del Movimento autonomista giurassiano, denominata “un solo Giura”.
Nel 2006, l’AIJ è incaricata di elaborare un progetto per il futuro del Giura.
Lo stesso anno, il canton Berna crea il Consiglio del Giura bernese, il primo parlamento regionale della Svizzera.
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