La restituzione dei fondi Mubarak in fase di stallo
Il caos post-rivoluzionario e la mancanza di indipendenza del sistema giudiziario egiziano potrebbero compromettere la restituzione di quasi 700 milioni di franchi bloccati nelle banche svizzere alla caduta di Hosni Mubarak . La Confederazione non ha ancora deciso il seguito della procedura di assistenza giudiziaria.
Mezz’ora: è il tempo che ha preso il governo svizzero, dopo la destituzione di Hosni Mubarak l’11 febbraio 2011, per bloccare i fondi appartenenti alla famiglia dell’ex dittatore egiziano e al suo entourage . Due anni e mezzo dopo, quasi 700 milioni di franchi svizzeri, di cui circa 300 milioni depositati sotto il nome di Alaa e Gamal Mubarak, i figli del presidente deposto, sono ancora congelati in banche svizzere.
L’assistenza giudiziaria tra i due paesi è a un punto morto da diversi mesi . Nel dicembre 2012, il Tribunale penale federale di Bellinzona aveva giudicato che, a causa della situazione di incertezza che regnava al Cairo e delle ripetute intrusioni del potere politico nei casi giudiziari, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) doveva negare all’Egitto l’accesso al procedimento penale aperto in Svizzera.
Nel giugno 2013, l’Ufficio federale di giustizia (UFG) e il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) hanno trasmesso una nuova analisi della situazione all’MPC. Essa concludeva che la Svizzera poteva riprendere la cooperazione in vista della restituzione dei fondi . Ma il rovesciamento del presidente Morsi e l’incandescente clima post-rivoluzionario hanno spinto le autorità elvetiche a riconsiderare il loro giudizio.
Imbroglio egiziano
L’UFG ha chiesto una decina di giorni fa al DFAE di condurre una nuova analisi della situazione . La questione dell’indipendenza della giustizia egiziana è ancora una volta sul tavolo. “Le autorità svizzere osservano in permanenza l’evoluzione della situazione in Egitto e le sue ripercussioni sulle autorità giudiziarie, scrive il DFAE. Per il momento, non è possibile determinare come evolverà la situazione e come ciò si ripercuoterà sulla cooperazione tra i due paesi”. Quanto all’MPC , si limita ad indicare tramite la sua portavoce Jeannette Balmer che “tiene conto dei recenti avvenimenti in Egitto, nella misura in cui hanno un influsso sul nostro incartamento egiziano”.
Una rapida ripresa delle procedure di assistenza giudiziaria sembra ora compromessa , in quanto è difficile vederci chiaro nell’imbroglio egiziano. “Alcuni giudici in carica dal 2011 sono visti come eredità dell’era Mubarak e come alleati politici del vecchio regime o di coloro che lo rappresentano oggi, come il comando delle forze armate”, afferma nel quotidiano friburghese La Liberté, Yezid Sayigh, ricercatore associato presso il Carnegie Middle East Center di Beirut.
“Questo porrà evidentemente un problema per il governo ad interim o i suoi successori, aggiunge Yezid Sayigh. Potrebbero essere tentati di dichiarare Mubarak innocente di tutte le accuse, per ripristinare il vecchio regime e i suoi pilastri. Ma hanno anche bisogno di recuperare i fondi della famiglia Mubarak all’estero e rispondere alle aspettative del popolo che auspica la restituzione dei guadagni illeciti. Detto questo, per il momento, sembra che il nuovo regime lavori per reinstaurare completamente il vecchio sistema”.
In un clima caratterizzato da incessanti attacchi al segreto bancario , la Svizzera è stato il primo paese a bloccare i beni del clan Mubarak nel 2011. “Il nostro paese non ha alcun interesse che la sua piazza finanziaria sia utilizzata abusivamente per nascondere dei fondi che avrebbero dovuto essere investiti in programmi e progetti dello Stato di origine a beneficio della popolazione”, scrive il Ministero degli affari esteri di un rapporto sull’avamprogetto di legge per regolamentare il blocco e la restituzione dei valori patrimoniali di provenienza illecita di potentati stranieri in Svizzera, attualmente in fase di consultazione .
Se la nuova legge sarà accettata, il Consiglio federale (governo) potrà ordinare il blocco dei beni di origine illecita in vista dell’assistenza giudiziaria nel caso di rovesciamento del potentato, se nello Stato in questione c’è corruzione manifesta o se sono in gioco gli interessi svizzeri. Se lo Stato d’origine non può soddisfare le esigenze del procedimento, il governo elvetico potrà bloccare i soldi in vista di un procedimento di confisca. Il testo riprende in questo caso le disposizioni della legge sulla restituzione dei valori patrimoniali di provenienza illecita, entrata in vigore nel 2011 e che ha permesso di evitare la restituzione di denaro alla famiglia dell’ex dittatore haitiano Jean-Claude Duvalier .
Per Olivier Longchamp, della Dichiarazione di Berna, il disegno di legge va nella direzione giusta, ma non è ancora ottimale. “È ancora troppo restrittivo, dato che lo Stato deve essere considerato disfunzionante, ciò che l’Egitto non è, per poter fare a meno dell’assistenza giudiziaria”. L’esperta basilese Gretta Fenner, al contrario, ritiene che l’assistenza giudiziaria internazionale sia “indispensabile, anche se richiede molto tempo”. Per quanto riguarda la nuova legge, “permetterà, a determinate condizioni, di trasmettere al paese d’origine le informazioni sui fondi bloccati. In base alla nostra esperienza, ciò agevolerà notevolmente la ricerca di beni e la loro restituzione”, afferma.
Ma per Olivier Longchamp, “la preoccupazione principale non dovrebbe essere come rimpatriare questi beni illeciti, ma impedire che finiscano in Svizzera”. Per questo, a suo avviso, occorrono sanzioni più severe contro gli intermediari finanziari che non esercitano le loro funzioni in materia di lotta contro il riciclaggio di denaro. “Le sanzioni adottate nei confronti delle banche svizzere , nelle quali vi sono quasi 2 miliardi di franchi appartenenti a potentati arabi e alle loro famiglie, non sono ancora note”, si lamenta.
Fatti difficili da dimostrare
Approfittando dell’instabilità che regna in Egitto, gli avvocati del clan Mubarak moltiplicano le pratiche per discolpare i loro clienti in Svizzera . “Dopo due anni d’inchiesta, l’MPC non ha ancora presentato alcuna accusa concreta o un elemento che indichi che i beni confiscati ai miei clienti in Svizzera sarebbero di provenienza illecita”, sostiene Lionel Halperin, avvocato ginevrino di Alaa e Gamal Mubarak. “Senza le pressioni politiche esercitate dal DFAE, il procedimento sarebbe stato archiviato da tempo”, sostiene il legale.
Per Olivier Longchamp, esperto di questioni finanziarie dell’organizzazione non governativa Dichiarazione di Berna, la Confederazione è in una posizione delicata: “Nel contesto attuale, la ripresa dell’assistenza giudiziaria tra i due paesi sembra poco probabile. Ciò non influirà sul congelamento dei beni, che sono bloccati sulla base del diritto svizzero. Sarà invece molto difficile provare i fatti di corruzione verificatisi 10 o 20 anni fa in un paese con il quale non si collabora”. L’origine illecita dei fondi deve infatti essere stabilita da un tribunale, per permettere la loro restituzione.
Direttrice del Basel Institute international center for asset revery ( ICAR ), Gretta Fenner ritiene da parte sua che i due paesi abbiano già intrapreso “sforzi significativi per ritrovare e restituire i beni rubati da Mubarak e dalla sua famiglia”.
Ma Gretta Fenner riconosce che la crescente instabilità politica in Egitto non agevolerà le cose. “Gli egiziani hanno fatto sorgere grandi speranze tra la popolazione riguardo all’importo dei beni che potrebbero essere trovati e restituiti. La frustrazione continuerà a crescere nelle strade del Cairo, ciò che acuirà la pressione politica da entrambi i lati. Una situazione che purtroppo non favorisce la fiducia e la legalità, i principi fondamentali della cooperazione nella lotta contro la criminalità finanziaria internazionale”.
(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)
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