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Votazioni federali del 25 settembre 2022

La riforma della pensione chiaramente sostenuta dalla diaspora elvetica

Una persona compila la scheda elettorale per la votazione del 25 settembre.
Una persona compila la scheda elettorale per la votazione del 25 settembre. © Keystone / Gaetan Bally

Mentre la riforma AVS 21, che innalza l'età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni, è passata per il rotto della cuffia nella votazione di domenica, le svizzere e gli svizzeri all'estero hanno invece espresso un chiaro "sì" . Se avesse votato solo la Quinta Svizzera, gli allevamenti intensivi e l'imposta preventiva sarebbero stati aboliti.

Come i loro connazionali, anche gli svizzeri e le svizzere all’estero hanno votato domenica a favore di entrambe le riforme pensionistiche in Svizzera. Ma mentre l’emendamento alla legge federale noto come AVS 21, che innalza l’età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni, è passato per un soffio a livello nazionale, l’accettazione è stata molto più chiara tra la diaspora elvetica.

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In Svizzera, i cantoni latini hanno respinto il progetto all’unanimità, ma questo “röstigraben” non è stato osservato oltre i confini nazionali: il fronte del “sì” ha vinto anche tra la popolazione elvetica francofona all’estero, ad eccezione di quella legata al canton Ginevra.

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La riforma è stata accompagnata da un secondo oggetto, l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) dal 7,7% all’8,1%, che dovrebbe fornire fondi supplementari all’AVS. Anche in questo caso, l’oggetto in votazione è stato accettato con ancora più forza dalla diaspora svizzera.

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La spiegazione di questo maggior sostegno alla riforma AVS 21 non va cercata nel profilo demografico della Quinta Svizzera. Nel 2021, infatti, la maggioranza della diaspora elvetica era costituita da donne, che sono state la forza trainante della mobilitazione contro la riforma nella Confederazione. Inoltre, la popolazione più anziana, che è generalmente la più favorevole al progetto, non rappresenta la fascia d’età più folta tra gli svizzeri all’estero.

Una spiegazione possibile è che la sfida di rendere sostenibili i sistemi pensionistici sia comune alla maggior parte dei Paesi sviluppati. Molti Governi hanno già deciso di armonizzare l’età pensionabile per uomini e donne, o addirittura di aumentarla. “C’è quindi sicuramente una maggiore accettazione di questi temi da parte degli espatriati”, afferma Martina Mousson, politologa del gfs.bern. Inoltre, l’aumento dell’età pensionabile in Svizzera ha un impatto minore sulle cittadine e sui cittadini svizzeri che lavorano all’estero, che sono soggetti al sistema pensionistico del Paese in cui lavorano.

Secondo Martina Mousson, una logica simile si è certamente applicata all’aumento dell’aliquota dell’IVA. “La diaspora svizzera, non consumando in Svizzera, è meno colpita dalle conseguenze finanziarie della misura”, osserva la politologa. Nel confronto internazionale, aggiunge, la Svizzera ha un’aliquota IVA molto bassa, il che può rendere più accettabile un aumento.

L’esperta sottolinea inoltre che la tendenza verso il “no” alla riforma delle pensioni si è rafforzata in Svizzera negli ultimi istanti prima del voto, grazie alla mobilitazione finale del fronte dell’opposizione, in seguito agli ultimi sondaggi. L’impatto è dunque visibile sui risultati nazionali, ma non su quelli di svizzere e svizzeri all’estero, che in genere votano prima e sono meno bersagliati dalle campagne.

Risultati diversi per altri due oggetti

A differenza del resto del Paese, la Quinta Svizzera ha sostenuto con una maggioranza risicata l’iniziativa che chiedeva di vietare gli allevamenti intensivi in Svizzera. Martina Mousson fornisce una spiegazione economica. “Anche in Svizzera esiste una sensibilità per il benessere degli animali, ma qui il dibattito si è cristallizzato sull’aumento dei prezzi, che non riguarda naturalmente le persone che vivono all’estero”.

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La politologa ricorda che già nel giugno 2021 la diaspora aveva accettato la legge sul CO2 e due iniziative per vietare i pesticidi, votando controcorrente rispetto al resto del Paese. All’epoca, gli argomenti contrari erano più o meno gli stessi. Ciò sembra confermare che, in materia di ecologia, gli svizzeri e le svizzere all’estero votano più per i princìpi, mentre in patria tengono maggiormente conto delle conseguenze sul mondo agricolo e sui prezzi dei prodotti alimentari.

Anche sul fronte dell’imposta preventiva, la Quinta Svizzera non ha votato come il resto del Paese e ha accettato, seppur di poco, la misura. Anche in questo caso, l’argomentazione delle perdite fiscali avanzata dalla sinistra, che è stata all’origine del referendum, non ha certamente avuto molto peso all’interno della comunità residente all’estero. “Questa volta, a parte la questione degli allevamenti intensivi, gli svizzeri all’estero hanno votato in modo più liberale rispetto ai loro connazionali”, osserva ancora Martina Mousson.

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Affluenza

Con il 52%, l’affluenza nazionale domenica alle urne è stata una delle più alte osservate negli ultimi cinque anni, superiore alla media (48%). “Ci aspettavamo un’affluenza più bassa”, afferma Martina Mousson, “ma la mobilitazione finale del fronte del “no” ha sicuramente incoraggiato le persone a votare”.

La mobilitazione della Quinta Svizzera, invece, è stata nella media. Nei 12 distretti della Svizzera all’estero sono stati espressi circa 36’500 voti su 146’600 elettori registrati, pari a un’affluenza del 25%, due punti sotto la media delle votazioni da settembre 2017 a oggi.

Come accennato, le questioni sottoposte al voto domenica riguardano principalmente i cittadini e le cittadine residenti in Svizzera, il che spiega certamente, secondo Martina Mousson, la differenza di mobilitazione.

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Traduzione dal francese di Riccardo Franciolli

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