“La Serbia non nega solo la statualità del Kosovo, ma anche l’esistenza del popolo kosovaro”
Lo storico svizzero Oliver Jens Schmitt spiega la situazione in Kosovo e le inadempienze della Svizzera e di altri Paesi occidentali.
SWI swissinfo.ch: Sebbene la Russia abbia promosso, anche militarmente, il separatismo filorusso in Abkhazia, Ossezia del Sud, Transnistria e ovviamente nell’Ucraina orientale, il presidente russo Vladimir Putin ha sempre respinto ogni critica, affermando che la NATO ha fatto lo stesso sostenendo il Kosovo nel 1999. È un paragone ammissibile?
Oliver Jens Schmitt: No, sono due cose completamente diverse. Uno è stato un intervento umanitario per prevenire uno dei più grandi crimini dal 1945. L’altro è una politica cinica di potere volta a indebolire gli Stati sovrani.
La Russia sta cercando di costruire una teoria del diritto internazionale che ignora deliberatamente il contesto. La Serbia, a partire dalla fine degli anni Ottanta sotto Milosevic, ha perseguito l’obiettivo di discriminare e infine espellere la maggioranza albanese in Kosovo. La Serbia ha commesso i più gravi crimini contro i diritti umani: ha sistematicamente ucciso, usato violenza sessuale contro la popolazione, distrutto 40’000 case e gran parte del patrimonio culturale.
Un Governo che agisce in questo modo contro il proprio popolo perde il diritto di governarlo. La comunità albanese del Kosovo aveva già dichiarato la sua indipendenza nel 1991. La NATO è intervenuta nel 1999 con l’obiettivo di garantire i diritti umani di base e di impedire l’espulsione di massa.
Diversa è la situazione nei territori oggi effettivamente occupati dalla Russia. Si tratta di ex repubbliche sovietiche i cui confini erano stati deliberatamente tracciati da Stalin in modo che Paesi come la Georgia e la Moldavia includessero aree con minoranze che avrebbero destabilizzato i giovani Stati se si fossero staccati dall’Unione Sovietica. Questo è esattamente ciò che è accaduto. Putin, a differenza della NATO, non ha protetto i diritti delle minoranze, ma ha deliberatamente creato conflitti.
Il Kosovo è una regione carica di contrasti. Quali sono le differenze tra la memoria serba e quella albanese?
Fino all’indipendenza del 2008, il Kosovo non era uno Stato sovrano e, prima del 1945, nemmeno un’entità territoriale. Esisteva il termine “Kosovo” per un territorio. Un’identità regionale, invece, non è esistita per molto tempo, ma solo la percezione di una regione, con confini peraltro vaghi.
Le comunità serba e albanese raccontano storie simili, ma che escludono l’altra comunità. In Occidente, per molto tempo, è stata percepita solo la versione serba. La storia è la seguente: gli slavi raggiunsero il Kosovo nell’alto Medioevo e nel 1389 i serbi furono sconfitti nella difesa dei Balcani contro gli Ottomani. Da qui nasce il mito della Battaglia del Kosovo, in cui il principe serbo Lazar perì battendosi per il cristianesimo e la nazione serba.
Questo mito è stato utilizzato dallo Stato serbo alla fine del XIX secolo per giustificare le sue rivendicazioni sulla regione. Secondo l’opinione serba, la catastrofe in Kosovo è iniziata con l’immigrazione della comunità albanese. Dicono che questa è arrivata alla fine del XVII secolo e che traeva profitto dal dominio ottomano.
Tuttavia, la ricerca storica dimostra che la comunità albanese è uno dei gruppi linguistici più antichi d’Europa e che viveva in Kosovo molto prima dell’immigrazione degli slavi. L’astorica versione serba sostiene esattamente il contrario. Negli anni Ottanta, l’Accademia serba delle scienze ha persino avanzato la tesi che la comunità albanese stesse commettendo un “genocidio biologico” contro quella serba a causa dell’alto tasso di natalità.
Ricordiamo che recentemente il presidente serbo Aleksandar Vucic si è lamentato con Vladimir Putin della presunta pulizia etnica contro le persone serbe del Kosovo. Vucic lo ha affermato dopo un’escalation delle tensioni che ha portato alla morte di quattro persone negli scontri tra polizia kosovara e serbi armati con legami criminali.
Chi sono le persone serbe del Kosovo? Si dividono essenzialmente in due gruppi. Il primo è la comunità che vive in insediamenti sparsi nel Kosovo. Non ci sono grossi problemi. Si tratta di una popolazione molto anziana. Molte persone giovani lasciano il Kosovo per mancanza di prospettive e non sono molto diverse dalle loro coetanee albanesi.
Il secondo è un gruppo più numeroso e compatto che vive nel nord e forma una sorta di Stato nello Stato, finanziato da Belgrado. Questo offre anche vantaggi materiali. Pensionati e pensionate ricevono due pensioni, una dal Kosovo, l’altra dalla Serbia.
Il Kosovo settentrionale è anche un importante centro della criminalità organizzata. In pratica, nella regione non esistono forze di polizia. La criminalità organizzata ha interesse a impedire l’ingresso della polizia kosovara. Ogni azione di polizia viene etichettata come presunta violenza etnica. Lo stretto legame tra criminalità organizzata e violenza politica è stato messo in luce dall’incidente da lei citato. È emerso anche come molti di questi gruppi criminali siano collegati al Governo di Belgrado.
La tematica è carica di implicazioni. La Costituzione serba attribuisce grande importanza al Kosovo – uno Stato indipendente – e tutte le istituzioni serbe hanno l’obiettivo di riportare il Kosovo sotto il loro controllo. Il nazionalismo e l’immaginario sono ostacoli sulla strada della Serbia verso la democrazia e lo Stato di diritto. Il Paese ne è ancora molto distante al momento.
La Serbia dipende economicamente dalla Russia. La visione esterna del Kosovo è cambiata dopo la guerra di aggressione russa in Ucraina?
Inizialmente si pensava che il Kosovo avrebbe beneficiato dello spostamento geopolitico, perché il rapporto dell’Ucraina con la Russia ha molte analogie con quello della Serbia con il Kosovo: Russia e Serbia contestano non solo la statualità dell’altro Paese, ma anche la sua esistenza, in quanto popolo. Vogliono dissolverlo, integrarlo oppure scacciarlo. Esistono anche teorie serbe secondo le quali gli e le albanesi sono in realtà serbi convertiti all’Islam.
Tuttavia, fino agli atti di violenza dell’estremismo serbo nel settembre 2023, era piuttosto il Governo kosovaro a essere isolato, perché il Governo serbo ha un buon legame con gli Stati Uniti grazie alle forniture di munizioni belliche all’Ucraina. Aleksandar Vucic, ideologicamente orientato verso la Russia, non è un democratico ma un governante autoritario e brutale. Il fatto che l’Occidente lo corteggi è pericoloso anche perché il Kosovo è l’unica democrazia funzionante della regione.
Mentre si dice giustamente che in Ucraina si stanno difendendo i valori occidentali, come la democrazia, l’Occidente – Stati Uniti in primis – prendendo posizione a favore di Vucic sta danneggiando il Kosovo, dove questi valori sono più rispettati che in Serbia.
Quindi considera positivo lo sviluppo delle istituzioni democratiche in Kosovo dopo l’indipendenza del 2008?
Oggi il Kosovo ha un vivace panorama partitico. Parallelamente, Paesi come la Serbia e l’Albania sono rimasti indietro nello sviluppo della democrazia. Vi si svolgono elezioni non libere oppure l’opposizione non accetta i risultati e blocca il Parlamento, almeno temporaneamente.
Certo, ci sono ancora molti problemi in Kosovo, come la diffusa corruzione delle agenzie statali. D’altra parte, bisogna tenere presente la situazione iniziale di questo Stato: una popolazione traumatizzata dall’oppressione, dalla guerra e dalle espulsioni, un Paese – sotto ogni aspetto – ampiamente devastato. Ma la cartina di tornasole di ogni democrazia è che un Governo che è stato votato, quando perde, accetti la sconfitta.
I dibattiti sul Governo di Albin Kurti sono accesi. Tuttavia, i cambi di Governo sono possibili attraverso le elezioni. La società non è così invischiata in un autoritarismo come quello ancora diffuso in Serbia o in Albania.
Altri sviluppi
Come i partiti corteggiano l’elettorato della diaspora kosovara
La Svizzera ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo nel mese in cui è stata annunciata. Sembra essere uno dei pochi momenti in cui Berna ha lasciato il segno in politica estera. Cosa resta di questo evento?
Il riconoscimento è stato maldestro perché spontaneo e non inserito in una strategia. Oggi la diplomazia svizzera in Kosovo è poco visibile, meno di quella austriaca, in proporzione all’importanza che riveste la Svizzera in Kosovo e la diaspora kosovara in Svizzera. Le personalità politiche svizzere, ad esempio, sono poco visibili in Kosovo. Il premier kosovaro Albin Kurti, invece, è attivo nella campagna elettorale svizzera a nome del suo partito partner, il PS.
Credo che la Confederazione dovrebbe dimostrare maggior impegno nel fornire informazioni all’opinione pubblica kosovara, in particolare sul sistema politico svizzero.
Perché?
Durante la mia ultima visita in Kosovo, ho notato che delle idee islamiste si stanno diffondendo tra una parte delle giovani generazioni. Questo sviluppo preoccupa anche la maggioranza laica del Kosovo.
Anche l’Occidente è in parte responsabile dell’ascesa delle correnti islamiste. Per molto tempo, il popolo kosovaro è stato l’unico Paese dei Balcani occidentali a non avere la libertà di viaggiare senza visto. Poteva invece viaggiare soprattutto nei Paesi islamici, che arano molto attivi nell’autopromozione, ad esempio attraverso le borse di studio.
In Occidente, quindi, non ci si deve stupire se i e le giovani tornano dalla Turchia o dagli Stati del Golfo con la mentalità dei regimi di quei Paesi. Questi Stati hanno anche investito in scuole, università e ospedali in Kosovo.
Il Kosovo è piccolo. Con un uso sostenibile, ma concentrato, dei fondi e con politiche simboliche più forti, Paesi ricchi come la Svizzera potrebbero ottenere molto. Tuttavia, ho l’impressione che la politica svizzera stia chiudendo gli occhi. Da sinistra a destra, non c’è ancora una strategia coerente su come confrontarsi con la grande diaspora kosovara. Mentre le persone kosovare sanno molto della Svizzera, nella Confederazione neanche l’élite politica ha un’idea chiara del Kosovo.
A cura di David Eugster
Traduzione: Zeno Zoccatelli
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