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Con la massima discrezione

presa di ostaggi all ambasciata amerciana a Teheran nel 1979
Durante la presa di ostaggi a Teheran, 52 diplomatici americani sono stati tenuti in sequestro per 444 giorni (dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981) dopo che un gruppo di studenti iraniani aveva occupato l'ambasciata statunitense. Keystone

Come fanno degli acerrimi nemici a rimanere in contatto? La Svizzera contribuisce a evitare che il filo del dialogo si spezzi del tutto, assumendo mandati di potenza protettrice. Tim Guldimann, quando era ambasciatore svizzero a Teheran, ha mantenuto aperto il canale di comunicazione tra gli Stati Uniti e l’Iran.

Durante cinque anni, dal 1999 al 2004, l’attuale deputato al parlamento federale, nelle vesti di ambasciatore svizzero, servì da tramite per le comunicazioni tra l’Iran e gli Stati uniti, divisi da una profonda ostilità reciproca. Già nel 1979 Washington aveva interrotto le sue relazioni diplomatiche con la repubblica islamica, dopo la presa in ostaggio dei diplomatici statunitensi a Teheran, e aveva chiesto l’assistenza della Svizzera. Da allora quando gli Stati Uniti vogliono comunicare con l’Iran passano dalla diplomazia elvetica a Teheran e Washington. Alla fine di ottobre la Svizzera ha inoltre firmato un mandato di potenza protettrice relativo ai rapporti tra Iran e Arabia saudita.

Perché la Svizzera? «Perché la Svizzera aveva assunto mandati come potenza protettrice soprattutto durante la Seconda guerra mondiale e divenne nota per questo», spiega Tim Guldimann. «Inoltre il paese si trova bene in questo ruolo», ritiene l’ex ambasciatore. I cosiddetti «buoni uffici» della Svizzera migliorano la reputazione del paese neutrale nel mondo. «E sono anche molto utili», aggiunge Guldimann. I mandati di potenza protettrice sono parte di questi «buoni uffici».

«Un mandato di potenza protettrice non è un mandato di mediazione», chiarisce però l’ex diplomatico. «Questa funzione si limita a un ruolo di postino.» Lo scambio di informazioni nell’ambito di un simile mandato avviene in modo molto discreto.

Mandati di potenza protettrice

Il mandato di potenza protettrice ha una lunga tradizione nella politica estera della Svizzera. Aiuta gli Stati che hanno interrotto le loro relazioni diplomatiche o consolari a mantenere i loro servizi e un minimo di relazioni passando per la Svizzera. Durante la Seconda guerra mondiale la neutralità svizzera ha fatto sì che Berna rappresentasse gli interessi di 35 Stati in 200 singoli mandati. Al momento esercita, oltre a quello appena firmato, altri quattro mandati di potenza protettrice: rappresenta gli interessi della Russia in Georgia e quelli della Georgia in Russia, quelli degli Stati Uniti in Iran e quelli dell’Iran in Egitto.

«Parlarne il meno possibile»

Quanto più una situazione è tesa e i conflitti sono aperti, tanto più può essere importante che le parti in conflitto, nonostante le animosità, mantengano un dialogo. La decisione di usare questo canale rimane però completamente di competenza delle due parti, sottolinea Guldimann. «Se e come vogliono comunicare dipende solo da loro». È importante che il canale esista e «che se ne parli il meno possibile».

Per questo è richiesta la massima discrezione diplomatica. «Il processo deve essere assolutamente a tenuta stagna», altrimenti è a rischio. Per questo suo ruolo, la Svizzera non può aspettarsi di essere lodata pubblicamente. Il successo della sua azione è proporzionale alla sua invisibilità.

Nell’arena parlamentare bernese, il consigliere nazionale socialista Tim Guldimann esprime con fermezza le sue opinioni e non teme né le parole franche né i conflitti. Nella sua posizione precedente di diplomatico con molta esperienza conosceva però il valore e la necessità dei toni pacati. Senza discrezione e rispetto verso entrambe le parti non si può avere successo, dice. Questo vale anche per l’esercizio del mandato di potenza protettrice.

Via Svizzera

Guldimann spiega la procedura seguita durante il suo periodo a Teheran. Quando gli Stati Uniti volevano entrare in contatto con l’Iran, Washington trasmetteva la notizia all’ambasciata svizzera nella capitale statunitense. Dagli Stati Uniti la notizia veniva inviata passando per il Dipartimento degli affari esteri a Berna o per via diretta alla rappresentanza svizzera a Teheran, dove era ricevuta dall’ambasciatore Tim Guldimann e consegnata agli iraniani. Racconta che durante la sua attività i criptofax erano considerati il metodo più sicuro di trasmissione fra i continenti. Permettevano di inviare fax criptati e quindi a prova di intercettazione.

Eppure la potenza protettrice è più di un semplice portalettere. A differenza di quest’ultimo, essa conosce il contenuto del messaggio. «Questo non gli dà però il diritto di commentarlo», precisa Guldimann. A meno che l’interlocutore desideri ulteriori informazioni. A questo punto entra in gioco la diplomazia. «Al momento della trasmissione ci sono a volte delle domande, che possono essere intese come richieste di chiarimento», racconta l’ex ambasciatore.

Quale influsso il messaggero possa avere sul processo di comunicazione e alla fin fine anche sui rapporti tra le parti, dipende anche dalla sua persona, dal suo modo di agire e dalla sua reputazione. Tim Guldimann aggiunge: «Ho cercato di interpretare la sua funzione in modo molto estensivo e di spingermi fino al punto che potevo ritenere nell’interesse di entrambe le parti».

Tim Guldimann
L’ex ambasciatore svizzero a Teheran Tim Guldimann. Keystone/Gaetan Bally

Sfruttare il margine di manovra

«Gli Stati uniti erano senz’altro interessati alle valutazioni dell’ambasciatore svizzero in Iran sulla situazione politica locale», si ricorda. «Riferivo quel che sentivo», dice Guldimann, ammettendo che in questo andava oltre il ruolo del portalettere. «Se entrambe le parti sono implicitamente d’accordo che si sfrutti completamente lo spazio di manovra disponibile e che lo si estenda, allora si può fare».

Per la Svizzera, i servizi da fattorino comportano la necessità di avere contatti con il mittente e il destinatario, un filo diretto che altre nazioni non hanno. I mandati di potenza protettrice aprono canali anche per le richieste bilaterali della Svizzera.

«È una buona cosa che possiamo avere questo ruolo», conferma Tim Guldimann. «Ci serve anche per altri motivi». Mette però in guardia dal sopravvalutarne l’influsso. «Gli Stati Uniti non sono più teneri verso la Svizzera sulle questioni fiscali solo perché Berna rappresenta i suoi interessi in Iran».

Dall’assunzione del nuovo mandato di potenza protettrice nei confronti di Iran e Arabia saudita il conflitto fra i due Stati si è inasprito. Lo svolgimento del mandato da parte della Svizzera diventerà più difficile o persino obsoleto? «Al contrario. In questa situazione è ancora più importante che esista un canale di comunicazione», dice Tim Guldimann.

Il conflitto tra Iran e Arabia saudita

L’Iran e l’Arabia saudita competono per una posizione di preminenza nel Golfo persico. Il regno saudita si considera protettore dei sunniti, che rappresentano la maggioranza in Arabia saudita. La maggioranza degli iraniani è invece sciita. Da due anni tra i due paesi le relazioni sono molto tese, dopo che l’Arabia saudita ha fatto giustiziare lo sceicco sciita Nimr al-Nimr. Quando in seguito all’esecuzione l’ambasciata saudita a Teheran è stata pressa d’assalto da una folla di manifestanti, Riad ha interrotto le sue relazioni diplomatiche con l’Iran. All’inizio di ottobre il principe ereditario saudita ha contribuito a inasprire la situazione prendendo di mira la milizia sciita Hezbollah in Libano.

Traduzione dal tedesco di Andrea Tognina

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