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La Svizzera difende il suo seggio al FMI

Hans-Rudolf Merz (al centro) si è recato a Washington per tutelare la posizione elvetica Keystone

La presenza della Confederazione ai vertici del Fondo Monetario internazionale è sempre più contestata dai paesi emergenti, spalleggiati dagli Stati Uniti. Il ministro delle finanze Merz ha difeso il seggio rossocrociato a Washington.

Venerdì a Washington, in occasione di una conferenza stampa a margine del G20 e alla vigilia delle riunioni autunnali del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale, il ministro svizzero delle finanze Hans-Rudolph Merz ha auspicato che la Confederazione continui a essere rappresentata in seno al Consiglio esecutivo del Fondo monetario internazionale (FMI).

Attualmente, la Svizzera presiede un gruppo di voto che comprende sette altri paesi, la maggior parte in Asia centrale.

Da tempo, però, i paesi emergenti quali Cina, India, Brasile, Messico, Turchia o Sudafrica manifestano l’intenzione di ottenere maggior voce in capitolo ai vertici del FMI. Sostenuti dagli Stati Uniti, hanno reiterato i loro appelli negli ultimi anni, sottolineando che il continente europeo è sovrarappresentato rispetto al suo peso economico reale.

Berna non ci sta

Dal canto suo, il ministro delle finanze elvetico Hans-Rudolf Merz ha affermato che le eventuali modifiche concernenti la rappresentanza europea non dovrebbero compromettere il seggio permanente elvetico. Il gruppo di voto presieduto dalla Confederazione è infatti composto di paesi che – ad eccezione della Polonia – non sono membri dell’UE: con l’adesione del Kazakistan, in questo gruppo sono rappresentate in particolare tutte le nazioni dell’Asia centrale, ha argomentato Merz.

Sempre secondo Berna, la presenza della Confederazione nella stanza dei bottoni si giustifica con la grandezza e l’importanza della sua piazza economica e finanziaria, il valore del franco svizzero e il suo ruolo di contribuente al FMI.

A tal proposito la riunione è stata anche l’occasione per fare il punto sulle quote. Secondo Merz, queste non dovranno superare un limite ragionevole: potrebbero al massimo essere raddoppiate. L’FMI non dovrebbe inoltre estendere ulteriormente il suo ruolo di finanziatore.

Secondo la Svizzera, ad approfittare della ridistribuzione delle quote dovrebbero essere principalmente gli Stati che sono oggi maggiormente sottorappresentati. I contributi finanziari dei paesi membri – ad esempio quelli al fondo del FMI per i crediti a tasso ridotto e l’aiuto tecnico ai paesi in sviluppo – dovranno essere tenuti adeguatamente in considerazione.

Giochi di potere

Nonostante le spiegazioni elvetiche, le pressioni esterne restano importanti. La Cina esige maggiori concessioni da parte europea, mentre l’amministrazione Obama, «impone agli europei di effettuare degli adeguamenti», evidenzia Daniel Hamilton, già attivo presso il Dipartimento di Stato americano e attualmente direttore del Centro per le relazioni transatlantiche all’Università Johns Hopkins di Washington.

Proprio in quest’ottica, gli Stati Uniti hanno recentemente manifestato la loro impazienza, decidendo di bloccare la risoluzione che – a partire dal 1992 – allarga a 24 seggi il consiglio del FMI. De facto, ciò significa ridurre dal 1° novembre (data d’espirazione del mandato del consiglio attuale) il direttorio ai 20 seggi normalmente previsti.

Ma come spiegare questo atteggiamento americano nei confronti degli europei, tradizionali alleati? «Gli Stati Uniti temono che se i paesi emergenti non saranno integrati nella direzione del FMI, essi continueranno ad agire come attori deresponsabilizzati nel sistema finaziario internazionale», risponde Hamilton.

Inoltre, secondo Ian Vasquez – direttore del Centro per la prosperità e la libertà mondiale dell’Istituto Cato di Washington – «l’amministrazione Obama agisce così forse anche per ottenere concessioni da parte della Cina in altri ambiti, ad esempio gli scambi commerciali o la politica estera».

Piatto ricco

Alcune voci critiche hanno recentemente invitato gli Stati Uniti ad avere un atteggiamento più autocritico, invece di limitarsi a caldeggiare una riduzione della presenza europea in seno al FMI.

«La credibilità americana, al pari di quella europea, non è molto elevata in merito a questo dossier. Se gli europei dovessero rinunciare a parte dei loro seggi, per equità Washington dovrebbe lasciar cadere il proprio diritto di veto», fa presente Dan Hamilton.

Secondo Ian Vasquez e altri intellettuali della destra americana, il FMI dovrebbe in ogni caso chiudere i battenti, poiché «è diventato obsoleto nel contesto di un’economia mondiale globalizzata e liberalizzata».

Resta il fatto che sedere ai vertici della potenze organizzazione «è una questione di prestigio e influenza», rileva Dan Hamilton. Ian Vasquez è d’accordo, ma precisa: «Non va dimenticato che tutti vogliono un seggio poiché l’organizzazione è più ricca che mai, con risorse inutilizzate per oltre un miliardo di miliardi di dollari. Si tratta di una situazione senza precedenti che fa gola a tutti».

Dal 29 maggio 1992 la Svizzera è membro del Fondo monetario internazionale (FMI).

Da allora ha assunto con altri sette paesi la direzione di un nuovo gruppo di voto. Per questo motivo ha diritto a uno dei 24 seggi del Consiglio Esecutivo, l’organo direttivo del FMI.

La Svizzera ha così la possibilità di collaborare attivamente nel FMI e di contribuire a definirne l’evoluzione.

Quale membro del FMI, la Svizzera può partecipare in differenti modi alle azioni d’aiuto multilaterali.

La Svizzera forma un gruppo di voto con Azerbaigian, Kirghizistan, Uzbekistan, Polonia, Serbia, Tagikistan e Turkmenistan.

La quota di voti di questo gruppo in seno al FMI è del 2,79%; quella della Svizzera dell’1,57%.

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