La Svizzera non vuol più essere allieva modello
L'industria bellica svizzera in futuro potrebbe esportare armi in paesi coinvolti in conflitti internazionali o che violano i diritti umani. Il parlamento ha adottato una mozione che chiede di allentare le regole di autorizzazione, per evitare che i fabbricanti elvetici siano penalizzati rispetto ai concorrenti.
I toni sono stati accesi giovedì nel dibattito alla Camera del popolo, che si è spaccata a metà sulla richiesta di modificare l’Ordinanza sul materiale bellico (OMB). Da una parte c’erano i parlamentari di sinistra e del centro sinistra che mettevano in primo piano la necessità di tutelare vite e diritti umani nel mondo e dall’altra la destra e il centro destra che ponevano l’accento sulla salvaguardia di migliaia impieghi in Svizzera.
“L’industria bellica svizzera deve nuovamente poter combattere ad armi pari con i suoi concorrenti dell’Unione europea. Si tratta di posti di lavoro nel nostro paese, vale a dire oltre 10mila posti diretti e indiretti”, ha argomentato il democentrista Raymond Clottu, sottolineando che “tre delle quattro maggiori aziende svizzere di armamenti hanno annunciato licenziamenti negli ultimi mesi”.
Le disposizioni elvetiche “sono più restrittive rispetto a qualsiasi altro paese europeo, quali per esempio l’Austria, la Svezia, la Francia, la Germania o l’Italia”, ha precisato il ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann, illustrando i motivi per cui il governo giudica legittima la richiesta di revisione. Inoltre il problema non è solo occupazionale: l’indebolimento dell’industria bellica svizzera mette in gioco anche le capacità di difesa e di sicurezza del Paese, ha aggiunto.
La mozione chiede di modificare l’articolo 5 capoverso 2 dell’Ordinanza sul materiale bellico, che riguarda le condizioni per cui un’autorizzazione di vendite di materiale bellico all’estero non è rilasciata, come segue (i cambiamenti sono tra parentesi):
. il Paese destinatario è implicato in un conflitto armato interno o internazionale; (il Paese destinatario è implicato illegalmente in un conflitto armato internazionale o se vi è in corso un conflitto armato interno😉
. il Paese destinatario viola in modo grave e sistematico i diritti umani; (esiste il rischio elevato che il materiale bellico da esportare venga utilizzato per commettere gravi violazioni dei diritti umani😉
. il Paese destinatario figura tra i Paesi meno sviluppati nell’elenco in vigore dei Paesi beneficiari dell’aiuto pubblico allo sviluppo, stilato dal Comitato di aiuto allo sviluppo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico; (l’acquisto del materiale bellico da esportare rischia di ostacolare notevolmente lo sviluppo socio-economico del Paese destinatario😉
. esiste un forte rischio che, nel Paese destinatario, le armi da esportare siano impiegate contro la popolazione civile; (il materiale bellico da esportare rischia di essere utilizzato contro la popolazione civile in violazione del diritto umanitario internazionale o dei diritti umani nel Paese destinatario😉
. esiste un forte rischio che, nel Paese destinatario, le armi da esportare siano trasferite a un destinatario finale indesiderato. (invariato)
Fucili svizzeri a Kiev
Gli armamenti non sono beni qualsiasi e dunque queste esportazioni devono essere trattate con estrema cautela: gli aspetti etici devono prevalere sugli interessi economici, hanno replicato gli oppositori. Soprattutto in questo momento con il conflitto in Siria e la crisi in Ucraina.
“L’annuncio dell’uso di fucili svizzeri contro i manifestanti in piazza Maidan in Ucraina ha dimostrato la gravità del problema”, ha osservato il socialista Pierre-Alain Fridez. Egli ha quindi denunciato la strategia dell’industria che “cerca nuove parti di mercato e sembra determinata a trovarle anche in paesi problematici”.
Nel 2008, sono state adottate misure proprio per garantire che le armi non siano più esportate verso paesi che violano i diritti umani, ha ricordato. “Le modifiche proposte nella mozione permettono un’interpretazione più ampia” e presentano il rischio che “in futuro sia nuovamente possibile esportare armi verso paesi che violano i diritti umani o che sono vere polveriere, come il Pakistan e l’Egitto”. Per il deputato socialista si tratta di “un vero e proprio passo indietro”.
Rassicurazioni per il futuro
Bombardato di domande da parte dei parlamentari contrari a qualsiasi allentamento, Johann Schneider-Ammann ha tentato di rassicurare: “La Svizzera ha un sistema di autorizzazione estremamente prudente e se necessario le decisioni sono prese caso per caso”, ha affermato il ministro liberale radicale.
“Vi posso assicurare che la commissione di sicurezza ha esaminato accuratamente la questione: anche dopo questa modifica la prassi di autorizzazione resterà molto restrittiva”, ha rincarato il deputato liberale radicale Walter Müller. Una prassi che per esempio oggi vieta la fornitura di sistemi di difesa antiaerea all’Arabia saudita, benché questi non siano certamente utilizzati per violare i diritti umani, ha rilevato ancora Müller.
Alcuni oppositori hanno anche obiettato che questo allentamento compromette la credibilità della Svizzera nella promozione della politica di pace ed è in contraddizione con la politica di aiuto allo sviluppo. Inoltre, quale Stato depositario delle Convenzioni di Ginevra, la Svizzera avrebbe in particolare il compito di garantire il rispetto dei diritti umani, ha sottolineato il Verde liberale Beat Flach.
Avallo per il rotto della cuffia
Alla fine nessun argomento, né da parte dei sostenitori né da parte degli oppositori, ha saputo convincere una vera maggioranza. Il risultato del voto è stato di perfetta parità: 93 contro 93 e 6 astensioni. Si è quindi reso necessario il voto del presidente della Camera, il popolare democratico Ruedi Lustenberger, che ha fatto pendere l’ago della bilancia dalla parte dei sì.
La Camera dei Cantoni aveva già approvato nel settembre dello scorso anno la mozione che domanda al governo federale di rendere meno severi i criteri di esclusione. L’esecutivo elvetico si era dichiarato d’accordo. Ora dovrà procedere alle modifiche. Un compito delicato, sul quale sono puntati molti sguardi critici.
Giornata amara per le Ong, dolce per l’industria
Le reazioni non si sono del resto fatte attendere. Diverse organizzazioni non governative hanno immediatamente protestato contro la decisione parlamentare. Per Alliance Sud, che riunisce diverse organizzazioni di aiuto allo sviluppo, “la Svizzera mette in pericolo la sua reputazione internazionale di araldo della tradizione umanitaria, della pace, della democrazia e dei diritti umani. Bisogna essere ciechi per credere che si potranno evitare rischi significativi in termini di reputazione, semplicemente con l’esame caso per caso”.
Per la sezione svizzera di Amnesty International , questa decisione è una vergogna. “È scandaloso che la Svizzera ponga gli interessi economici davanti alla tutela dei diritti umani. Con questa decisione mettiamo a repentaglio la reputazione del nostro paese e il suo ruolo pionieristico nel campo dei diritti umani”, ha scritto l’organizzazione in una nota.
Mentre pacifisti e terzomondisti piangono, l’economia elvetica sorride. “Siamo soddisfatti , ha detto a swissinfo.ch Ivo Zimmermann , responsabile della comunicazione Swissmem, l’organizzazione dell’industria delle macchine. Con questa decisione, l’industria svizzera delle tecnologie di sicurezza e dell’armamento può di nuovo evolvere sul mercato mondiale alle stesse condizioni delle industrie di paesi come la Svezia o l’Austria”.
La Svizzera nel 2013 ha esportato materiale bellico per complessivi 461,2 milioni di franchi, ossia il 34% in meno dei 700,4 milioni registrati l’anno precedente.
I cinque maggiori acquirenti dei 71 paesi destinatari delle forniture elvetiche sono stati la Germania (123,5 milioni), l’Italia (58,9 milioni), gli Stati Uniti (43,8 milioni), la Gran Bretagna (38,1 milioni) e la Francia (27,5 milioni).
Sulle 2’274 domande di autorizzazione di esportazione ricevute, la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ne ha respinte 4 provenienti da altrettanti paesi per un totale di 0,7 milioni di franchi. Esse “riguardavano soprattutto l’esportazione in Medio Oriente di armi leggere e di piccolo calibro (SALW) e dei relativi accessori. Tra i motivi del rifiuto hanno influito la situazione dei diritti umani nel Paese destinatario, il rischio di trasferimento a un destinatario finale indesiderato e il fatto che il Paese in questione fosse tra i più poveri dei beneficiari dell’aiuto pubblico allo sviluppo”, scrive la SECO in una nota diramata il 28 febbraio scorso.
(Fonte: SECO)
(Con la collaborazione di Urs Geiser)
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