“Switzerland first”, perché la politica estera svizzera sembra più egoista
La politica estera svizzera è cambiata notevolmente negli ultimi anni. Sei ragioni per cui gli interessi elvetici sono più visibili.
L’agenda della diplomazia svizzera ricorda quella delle ONG, ha affermato un rappresentante dell’organizzazione di categoria Economiesuisse in un discorso di quasi due decenni fa.
“Una volta la Svizzera voleva ‘salvare il mondo'”, afferma l’esperta di politica estera Yvette Estermann dell’Unione democratica di centro (UDC, destra sovranista). In quanto Paese ritenuto ricco, si pensava che avesse un obbligo speciale di aiutare il mondo.
Non è chiaro se la Svizzera agisse effettivamente in modo altruistico, come una ONG, o se semplicemente perseguisse i propri interessi in modo nascosto.
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Il fatto è che qualcosa è cambiato. La Svizzera sta mettendo i propri interessi – monetari e non – al centro della politica estera. Quali sono le ragioni di questo cambiamento di rotta?
1. La globalizzazione ha reso più rilevante la politica estera
Rispetto ad altri Paesi, la politica estera della Svizzera si è sviluppata relativamente tardi e per molto tempo è stata istituzionalmente debole. Si trattava soprattutto di buone relazioni commerciali, cioè di politica economica estera. Ci sono stati pochi punti di contatto con altre aree politiche.
Nel corso della globalizzazione, il rapporto tra politica interna ed estera è cambiato radicalmente. “Attualmente, non c’è quasi nessun settore della vita in Svizzera che non sia influenzato dall’estero e dalla politica estera”, afferma Estermann.
Secondo il Dipartimento federale degli affari esteriCollegamento esterno (DFAE), la politica estera deve quindi perseguire un “approccio olistico” per salvaguardare gli interessi della Svizzera. In altre parole: la Svizzera deve agire in modo coerente all’estero, il che è garantito da una divisione specifica del DFAE.
La politica estera, un tempo piuttosto “ristretta”, è così diventata un ambito politico centrale nella Svizzera altamente globalizzata. Poiché la Svizzera è fortemente legata ad altri Paesi dal punto di vista economico, scientifico e sociale, anche la politica estera sta diventando sempre più importante per la prosperità. Pertanto, la posta in gioco è semplicemente maggiore rispetto al passato e, di conseguenza, la politica estera è sottoposta a un esame più attento in patria.
2. La Svizzera è costretta a formulare i propri interessi
Secondo Laurent Goetschel, professore di scienze politiche all’Università di Basilea e direttore della Fondazione svizzera per la pace swisspeace, la Svizzera ha sempre faticato a esprimere e attuare chiaramente i propri interessi politici. “A volte ha cercato fino alla fine di mantenere buone condizioni quadro per la sua economia, ad esempio per l’industria delle esportazioni o per i fornitori di servizi finanziari”. Ma si trattava più di un servizio per terzi che dell’affermazione di interessi politici in senso proprio.
Patrick Dümmler, del think tank Avenir Suisse, interpreta la situazione in questo modo: la Svizzera deve sempre più aiutare se stessa nel commercio estero. Dümmler pensa che la causa sia l’indebolimento delle istituzioni multilaterali. “La Svizzera deve cercare altri canali per rappresentare i propri interessi”.
Dümmler cita come esempio il fallimento del Doha Round, un ciclo di negoziati agricoli dell’Organizzazione mondiale del commercio. In una certa misura, la Svizzera è costretta a far valere sempre più i propri interessi economici esteri a livello bilaterale.
Secondo Elisabeth Schneider-Schneiter dell’Alleanza del centro, c’è un altro motivo per cui la Svizzera sta prestando maggiore attenzione ai propri interessi: il mondo è diventato più instabile e politicizzato, non da ultimo a causa della guerra in Ucraina. “Affinché la Svizzera non venga schiacciata tra i blocchi, è indispensabile che si occupi dei propri interessi”.
Secondo questa lettura, la politica estera della Svizzera non è diventata necessariamente più egoista, ma più visibile.
3. La politica estera è diventata più democratica
Un effetto collaterale di questa visibilità è che i processi decisionali di politica estera sono diventati più competitivi e democratici.
Sebbene la politica estera in Svizzera non sia mai stata distaccata ed esecutiva come in altri Paesi, è stato spesso sufficiente per le lobby piazzare degli informatori o delle informatrici presso il Governo per orientare le decisioni nel loro interesse.
Ma tale escamotage non funziona più: oggi più che mai esistono opportunità di codecisione da parte del Parlamento, dei Cantoni e dell’elettorato.
Questo ci porta al punto successivo.
4. Le decisioni di politica estera devono trovare sempre più spesso una maggioranza politica
Un buon esempio di politica estera sempre più incentrata sugli interessi della Svizzera per trovare maggioranze politiche è la strategia di cooperazione internazionale adattata nel 2020. La Svizzera vuole combattere le cause dell’immigrazione con l’aiuto allo sviluppo, in modo che un numero minore di persone arrivi Svizzera. E per fare ciò, crea un legame tra gli aiuti esteri e i propri interessi.
Secondo l’esperta di politica estera Christine Badertscher del partito ecologista svizzero (I Verdi), questo era l’unico modo per far passare la strategia in Parlamento. “Se si escludono gli interessi elvetici, non si ottiene una maggioranza in Parlamento, questa è la realtà”.
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5. Un ministro degli esteri economicamente liberale
Secondo Badertscher, il fatto che la strategia di cooperazione internazionale abbia trovato una maggioranza politica è anche merito del ministro degli esteri Ignazio Cassis del Partito liberale radicale (PLR, destra). “Ha venduto così bene la strategia al suo partito che gli hanno detto “sì” senza proporre alcun taglio”. In passato, ci sono sempre state resistenze e tentativi di taglio da parte del centro-destra.
Claudia Friedl di San Gallo, membro socialista del Consiglio nazionale, non è d’accordo. Ce l’ha con il responsabile del DFAE per aver impostato una strategia diplomatica che lei considera più egoista. “Sotto Cassis, stiamo assistendo a un ritorno alla dottrina di base. Una diplomazia incentrata sull’economia, con il rischio che altre questioni vengano relegate in secondo piano.
Ignazio Cassis, in effetti, non ha nascosto il fatto che la cooperazione internazionale non è un’attività puramente altruistica: deve servire innanzitutto gli interessi della Svizzera. Lo stesso vale per le relazioni con Bruxelles. “Anche tra amici, senza essere troppo romantici, la politica è orientata ai nostri interessi”, ha sostenutoCollegamento esterno.
6. La politica estera diventa politica interna
Schneider-Schneiter sostiene una tesi simile: “La nostra politica estera sta diventando sempre di più una politica rivolta verso l’interno e quindi verso i nostri interessi”.
Questo non significa che tale politica sia sempre controproducente a livello internazionale. Una cooperazione più intelligente può portare valore aggiunto alla Svizzera e ai suoi partner all’estero.
La politica basilese pone l’accento sulla cooperazione che coinvolge anche il settore privato. “Le aziende svizzere possono conquistare nuovi mercati e creare posti di lavoro, praticando al contempo un’economia più sostenibile e basata su valori”, ritiene Schneider-Schneiter. In definitiva, si tratta di una situazione vantaggiosa per tutti e tutte.
A cura di Balz Rigendinger
Traduzione dal tedesco: Sara Ibrahim
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