Il caritatevole interesse del Qatar per l’Europa
Nella loro ultima inchiesta intitolata "Qatar papers - Come l'emirato finanzia l'islam in Francia e in Europa", i giornalisti Christian Chesnot e Georges Malbrunot descrivono gli scopi e il potere finanziario dell'associazione di mutuo aiuto Qatar Charity, in particolare in Svizzera. Intervista a Georges Malbrunot.
Per svolgere le loro ricerche, Christian Chesnot e Georges Malbrunot si sono basati su una fuga di documenti interni, avvenuta circa due anni fa, di una ONG finanziata dalla famiglia reale qatariota, la Qatar Charity. Questo soft power religioso è nel frattempo rallentato dalla guerra velata che gli Stati del Golfo hanno avviato contro il loro piccolo vicino.
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L’inchiesta dedica un capitolo alla Svizzera, dove l’ONG avrebbe investito oltre 4 milioni di franchi tra il 2011 e il 2014 in cinque progetti di organizzazioni musulmane a Prilly (canton Vaud), Bienne (Berna), La Chaux-de-Fonds (Neuchâtel) e Lugano.
Biglietti gratuiti per incontrare Georges Malbrunot
Per chi desidera conoscere Georges Malbrunot, il 7 maggio è previsto un incontro che si terrà al Museo nazionale di ZurigoCollegamento esterno (Landesmuseum). È la seconda di una serie di tre conferenze in francese previste nel 2019 nel museo.
In quanto partner mediatico delle conferenze del martedì al Landesmuseum, swissinfo.ch ha a disposizione un numero limitato di biglietti gratuiti. I biglietti saranno assegnati secondo il principio del “primo arrivato, primo servito”. Non ci sono domande a cui rispondere, né sorteggi, basta scrivere una mail a thomas.waldmeier@swissinfo.ch con il nome completo e l’indirizzo postale.
I ‘Qatar Papers’ sottolineano il ruolo centrale di Mohamed e Nadia Karmous, responsabili dell’imponente Museo delle civiltà dell’islamCollegamento esterno a La Chaux-de-Fonds. Il centro ha ricevuto almeno sette trasferimenti di fondi per un totale di quasi 1,4 milioni di franchi.
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swissinfo.ch: Cosa pensa delle prime reazioni dopo la pubblicazione della vostra inchiesta?
Georges Malbrunot: Non è possibile evitare il recupero politico da parte di diversi ambienti. Al momento è in corso una guerra latente tra il Qatar e i suoi vicini. Questi ultimi approfittano dell’inchiesta visto che conferma, secondo loro, le paure e le accuse mosse contro il Qatar. I simpatizzanti dei Fratelli musulmani, invece, negano o minimizzano i fatti che abbiamo riportato.
Ma noi non entriamo in questo tipo di dibattito. Il nostro non è un libro contro l’islam. Non dice che le associazioni islamiche sono centri di jihadisti. Né dice che i finanziamenti messi in luce siano illegali. Esponiamo i fatti. La nostra inchiesta mette in guardia sui pericoli rappresentatati da questo proselitismo legato ai Fratelli musulmani in Europa tramite le vie della Qatar Charity. L’obiettivo di questo movimento è di adattare il diritto comune al suo principio di un islam politico. In ultima analisi, ciò promuove il comunitarismo.
Il Qatar agisce diversamente dall’Arabia Saudita nella volontà di influenzare l’Europa?
Messa sotto pressione dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, l’Arabia Saudita ha mantenuto un basso profilo e compiuto sforzi. Il regno collabora su questi temi con i paesi occidentali. Ma i finanziamenti per moschee o altro continuano, anche se ufficialmente si tratta di iniziative private. Il Qatar ha approfittato del suo relativo disimpegno per acquisire influenza e diventare un operatore importante del mercato islamico in Europa. Lo fa con la Turchia, che è il suo alleato e l’ultimo operatore arrivato sul mercato islamico europeo.
In Svizzera, infatti, i musulmani sono principalmente di origine turca o dei Balcani…
Sarà interessante osservare sul campo se e in che modo sono stabiliti legami alimentati dai fondi qatarioti che potrebbero essere implementati dal personale turco. Anche se la Turchia di Erdogan è vicina ai Fratelli musulmani, la pratica turca dell’islam è specifica, diversa da quella del Qatar e dei paesi arabi.
Il proselitismo del Qatar fa dunque parte della lotta per la leadership per l’islam sunnita?
È infatti uno dei fattori nella lotta per l’influenza tra Arabia Saudita e Qatar in Europa e altrove, in Africa e in Asia. Il vantaggio del Qatar, almeno in Europa, è che si collega alle reti dei Fratelli musulmani, che sono molto ben organizzate. Questa situazione consente al Qatar di monitorare i suoi finanziamenti e di controllare l’utilizzo dei fondi. Contrariamente alle reti salafite sostenute a suo tempo dall’Arabia Saudita.
Secondo lei, questa rete qatariota mira a creare le basi per l’istituzione di micro società nei paesi europei. Per davvero?
Sì e ci ha colpiti. È una costante come lo dimostrano i documenti interni. Uno degli obiettivi della Qatar Charity, espresso nel programma Al-Ghaith diretto dallo sceicco Ahmad Al-Hamadi, è di garantire la diffusione dell’identità islamica in Europa e nel mondo. Si tratta di costruire moschee concepite come centri vitali con, se possibile, scuole, centri commerciali, asili nido, centri funebri, servizi medici, sociali e residenziali. L’individuo musulmano è dunque accompagnato dalla nascita fino alla morte nel quadro dell’islam globale promosso dai Fratelli musulmani. Senza dubbio queste sono contro-società che favoriscono il comunitarismo. Nel medio termine, potrebbe diventare pericoloso.
“Il problema con i paesi del Golfo è che si deve esercitare molta pressione per ottenere anche solo l’inizio di un’azione”
La vostra inchiesta dà l’impressione che i governatori europei arranchino nel trovare risposte a questo proselitismo, a prescindere dal loro rapporto con il laicismo…
Con un’eccezione: il Regno Unito favorisce questo tipo di comunitarismo. Per questa ragione, la Qatar Charity aveva stabilito la sua sede generale a Londra. Nei documenti che abbiamo ottenuto, la Qatar Charity deplora le difficoltà riscontrate in Germania per aprire scuole musulmane sotto contratto con lo stato. In Italia, il governo ha risposto con l’8 per mille, una tassa sulle imposte per le associazioni. La Francia è impegnata in un dibattito sulla riforma delle religioni, con l’obiettivo di tagliare questi finanziamenti esterni e garantire la trasparenza dei fondi. È vero, però, che ogni paese sembra un po’ sconcertato. Nessuno stato è a conoscenza delle politiche seguite dai vicini. E in ognuno di questi paesi, ci sono sindaci che a volte si impegnano in politiche elettorali o cercano di evitare problemi accettando progetti sostenuti dalla Qatar Charity o rifiutando di interessarsi troppo a queste complesse questioni.
In Svizzera le reazioni sono diverse?
In Svizzera, le associazioni hanno uno statuto che le protegge fortemente. Non è dunque possibile sapere chi sono i donatori dei fondi, salvo in caso di un’inchiesta specifica. Così tutte le associazioni sono protette e possono ricevere fondi da destra e manca.
Dopo la pubblicazione del libro di Christian Chesnot e Georges Malbrunot, la Qatar Charity ha deciso di porre un freno ai finanziamenti ad istituzioni religiose in Europa. Il provvedimento potrebbe avere conseguenze dirette su un progetto immobiliare di 22 milioni di franchi che dovrebbe sorgere accanto al Museo delle civilizzazioni dell’Islam di La Chaux-de-Fonds. Il servizio della RSI:
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Dall’11 settembre alcuni governi come la Francia e la Svizzera esigono che i musulmani si organizzino per designare dei rappresentanti. Non si favorisce così lo slancio proselita del Qatar e dei Fratelli musulmani che avevano già un’organizzazione per assumere questo ruolo?
In effetti, l’abbiamo visto in Francia con Nicolas Sarkozy che ha aperto le porte ai Fratelli musulmani con l’UOIF (Union des Organisations Islamiques de France). In Italia, è l’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (UCOII) a svolgere questo ruolo. Mentre in Germania, è l’IGD, la filiale tedesca dei Fratelli musulmani. Non tutte le persone che si recano in queste moschee per pregare sono Fratelli musulmani. Ma tramite i fondi delle associazioni, il discorso politico dei Fratelli musulmani continua a farsi sentire, anche se discretamente.
I dati che avete raccolto arrivano fino a inizio 2017. Le dinamiche osservate continuano?
No, si sono piuttosto fermate dopo il giugno del 2017, da quando è stato imposto l’embargo al Qatar dai suoi vicini del Golfo che chiedono, tra le altre cose, la chiusura della Qatar Charity. Il Qatar ha dunque dovuto ridurre i suoi investimenti. Ha fatto uno sforzo, ma a volte ha semplicemente trovato sotterfugi. Per esempio, la Qatar Charity di Londra è stata chiusa per aprire velocemente Nectar Trust, in realtà una filiale di Qatar Charity. Gli investimenti sono diminuiti, ma non sospesi del tutto. E sempre più banche, specialmente quelle francesi, non accettano più i fondi di Qatar Charity. In Qatar è l’ufficio dell’emiro che oramai controlla e gestisce i flussi finanziari delle ONG del paese. Il problema con i paesi del Golfo è che si deve esercitare molta pressione per ottenere anche solo l’inizio di un’azione.
La prima espansione della confraternita
I Fratelli musulmani furono fondati nel 1928 a Ismailia, in Egitto, da Hassan al-Banna, insegnante e professore di teologia. L’obiettivo di Hassan al-Banna era duplice: esprimere la sua opposizione alla presenza britannica in Egitto e Palestina e ri-islamizzare la società egiziana e il resto del Medio Oriente attraverso la creazione della Sharia (legge islamica). Il suo obiettivo di diffondere i valori dell’islam non lo colloca nel campo del nazionalismo arabo.
La confraternita istituisce strutture sociali e associative, con l’obiettivo di educare le giovani generazioni. Il movimento si diffonde rapidamente oltre i confini egiziani e si sviluppa in Medio Oriente, in particolare in Siria, Palestina e Giordania.
Nel 1954, l’organizzazione fu bandita da Nasser e molti Fratelli musulmani si rifugiarono in Arabia Saudita.
Saïd Ramadan, genero ed erede spirituale del fondatore della fratellanza Hassan el-Banna, si stabilì a Ginevra nell’agosto 1958. Nel 1961 fondò il Centro Islamico di Ginevra, il primo d’Europa dedicato alla diffusione dell’islam. Il centro costituisce anche il primo passo per l’apertura di altri centri islamici nelle principali capitali europee.
Saïd Ramadan è stato sospettato di essere l’autore del documento “Il Progetto”, un piano del 1982 per l’islamizzazione dell’Europa, scoperto nel 2001 dai servizi segreti svizzeri nella casa di Youssef Moustafa Nada a Campione d’Italia.
Traduzione di Michela Montalbetti
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