Le politiche atomiche dividono l’Europa
Tra le certezze della Francia, i dubbi della Germania, la prudenza dell'Italia e la rinuncia definitiva dell'Austria, i paesi che confinano con la Svizzera hanno un approccio molto diverso nei confronti dell'energia nucleare. Panoramica.
«Pausa di riflessione»: la frase è ormai sulle bocche di tutti i responsabili di politica nucleare in Europa e nel mondo dopo l’incidente di Fukushima.
Proprio mercoledì, il governo italiano ha ad esempio deciso una moratoria di un anno per l’elaborazione della strategia nucleare.
Una pausa da utilizzare in particolare per verificare la sicurezza dei 143 reattori nucleari in servizio nell’Unione Europea attraverso dei test di resistenza, come emerso lunedì dalla riunione dei ministri dell’energia dei 27 Stati membri.
I criteri sono però ancora lungi dall’essere definiti. Il ministro dell’economia tedesco Rainer Brüderle ha sottolineato che in linea di principio nessun paese dell’UE è contrario a questi test. «Non sono però sicuro – ha aggiunto – che tutti gli Stati vogliano andare così a fondo come abbiamo previsto di farlo in Germania».
«Vi sono poche questioni in Europa sulle quali i governi e i parlamenti nazionali hanno divergenze così importanti come sull’energia nucleare», ha dal canto suo riassunto il commissario dell’energia UE Günther Oettinger.
Germania: questione di tempo
Tra i paesi che vorrebbero presto o tardi rinunciare all’energia atomica vi è la Germania.
Il ministro dell’ambiente Norbert Röttgen ha affermato di ritenere possibile uscire dal nucleare quando la percentuale di energie ‘verdi’ (attualmente del 16%) sarà almeno del 40%. Un obiettivo che dovrebbe essere raggiunto presto, poiché la Federazione per le energie rinnovabili prevede che entro il 2020 il tasso dovrebbe essere del 47%.
Nel 2000 l’ex governo rosso-verde tedesco aveva deciso di chiudere le centrali entro il 2022. Nel settembre 2010, il governo guidato da Angela Merkel ha fatto marcia indietro, malgrado le proteste di opposizione e ambientalisti, prolungando fino almeno al 2036 lo sfruttamento delle centrali.
Dopo la catastrofe di Fukushima, l’esecutivo ha però deciso di sospendere per tre mesi le attività dei sette impianti nucleari più vecchi. Entro metà giugno i 17 reattori dovranno inoltre subire severi test di sicurezza.
Francia: indietro non si torna
Seconda potenza elettronucleare del pianeta dopo gli Stati Uniti (104 reattori negli USA, 58 in Francia), la Francia non sembra dal canto suo voler rimettere in discussione questa fonte energetica.
Basta un dato per capire la posizione di Parigi: il 78% dell’elettricità consumata in Francia è prodotta dalle centrali nucleari, contro il 20% negli Stati Uniti.
La scelta nucleare della Francia risale alla fine della Seconda guerra mondiale, quando il generale De Gaulle fondò il Commissariato dell’energia atomica, con l’obiettivi militari e civili.
Strettamente legato allo Stato, che ne fa una questione di prestigio, e ancora oggi controllato dal monopolio di Électricité de France (EDF, diventata una SA con capitali pubblici), il nucleare francese è stato a lungo contestato solo da sparuti gruppi di ecologisti, sottorappresentati a livello politico. Oggi, i deputati e senatori verdi sono solo 9 su 920 eletti nelle due camere del parlamento.
La catastrofe di Fukushima ha scosso sicuramente qualche certezza. Il 15 marzo, quattro giorni dopo il sisma, il primo ministro François Fillon ha annunciato controlli di sicurezza in tutte le centrali. La direzione non dovrebbe però cambiare: l’energia nucleare, ha affermato il capo del governo, è una delle fonti «più sicure, verificate e trasparenti».
Argomenti, questi, che gli ambientalisti (ma non la sinistra, tradizionalmente piuttosto filonucleare in Francia) da sempre contestano e che questa volta hanno intenzione di smontare pezzo dopo pezzo. Diversi rappresentanti ecologisti, tra cui l’eurodeputato Daniel Cohn-Bendit, hanno così chiesto di organizzare un grande dibattito nazionale, seguito da un referendum.
Centrale austriaca nata morta
Tra i paesi confinanti con la Svizzera, l’Austria è l’unico a non aver mai avuto una centrale nucleare. Quella di Zwentendorf, nell’est del paese, non è infatti mai entrata in funzione.
Costruita tra il 1972 e il 1977, la centrale è stata affossata con un referendum nel 1978, quando il 50,5% dei votanti si è pronunciato contro la sua messa in funzione. Tra costi di costruzione e smantellamento, l’avventura atomica è costata ai contribuenti austriaci circa un miliardo di euro.
L’incidente di Chernobyl ha poi cancellato definitivamente ogni velleità atomica. Oggi il paese è uno dei principali fautori dell’uscita dal nucleare. «Da questa catastrofe deve scaturire un ampio dibattito sull’utilizzazione di questa energia, non solo in Europa, ma nel mondo», ha insistito martedì il cancelliere socialdemocratico Werner Faymann.
Italia, in attesa del referendum
In Italia l’energia nucleare è tornata alla ribalta nel 2008, quando il governo ha definito la strategia energetica nazionale, tradottasi in un decreto legge che prevede appunto il rilancio del nucleare.
Le quattro centrali costruite nella Penisola tra il 1958 e il 1970 avevano dovuto cessare le attività dopo il successo dei tre referendum antinucleari. L’8 novembre 1987, un anno e mezzo dopo la catastrofe di Chernobyl, gli italiani li avevano infatti accettati con percentuali di sì comprese tra il 71 e l’80%.
Per arginare il problema della forte dipendenza in materia di energia elettrica (il fabbisogno viene coperto da corrente prodotta all’estero per una percentuale compresa tra circa il 10% di giorno e il 25% di notte), il governo italiano vorrebbe costruire diverse nuove centrali nucleari, che possano coprire un quarto della produzione di elettricità del paese.
L’obiettivo era di far partire i lavori entro il 2013. Fino a qualche giorno fa, l’unico scoglio era rappresentato dal referendum abrogativo promosso dall’Italia dei Valori, sul quale gli italiani saranno chiamati ad esprimersi il 12 e 13 giugno. In tempi normali probabilmente questo referendum avrebbe avuto poche possibilità di successo (dal 1997 ad oggi non è mai stato raggiunto il quorum necessario).
Nel frattempo, però, la catastrofe di Fukushima ha radicalmente cambiato le carte in tavola. Inizialmente il governo italiano ha in sostanza affermato che l’incidente in Giappone non modificherà i piani. «È inimmaginabile tornare indietro», ha ad esempio affermato il ministro dello sviluppo economico Paolo Romani.
Di fronte alle frenate europee, all’ostilità di molti governatori delle regioni e forse anche a causa dei risultati di un sondaggio che vede il 53% degli italiani contrari all’atomo, Palazzo Chigi ha corretto rapidamente il tiro. Il governo – ha assicurato la ministra dell’ambiente Stefania Prestigiacomo – «non è né cieco né sordo rispetto alle notizie che giungono da Tokyo, ed è evidente che la nostra scelta di rientrare nel nucleare ci induce a prestare ulteriore attenzione», approfondendo «ulteriormente i temi della sicurezza e i problemi di sismicità dei siti».
Una pausa che il Consiglio dei ministri ha confermato mercoledì approvando una moratoria di 12 mesi sull’elaborazione della strategia nucleare. Il provvedimento è stata accolto con parole dure dall’opposizione e dagli ambientalisti, che accusano il governo di voler solo cercare di «evitare che gli italiani vadano al voto con l’incubo del ritorno dell’atomo nel paese», ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza. La battaglia tra pro e antinucleari non fa che iniziare.
I governi dei semicantoni di Basilea Città e Basilea Campagna hanno chiesto martedì all’azienda elettrica francese la sospensione immediata delle attività della centrale nucleare francese di Fessenheim, situata 35 chilometri a nord di Basilea.
In una nota, le autorità basilesi sottolineano che la centrale rappresenta «una seria minaccia». Secondo una nota delle autorità francesi di sorveglianza atomica del 2001, i sistemi di protezione che garantiscono il raffreddamento del reattore non sarebbero sicuri in caso di terremoto.
La richiesta sarà consegnata il primo aprile al Consiglio regionale dell’Alsazia. Basilea Città e Campagna chiedono inoltre al governo svizzero di evocare la questione all’incontro dei ministri europei dell’ambiente in programma il 25 e il 26 marzo a Budapest.
Ai due semicantoni di Basilea Città e Campagna potrebbe associarsi anche il canton Giura. Una decisione sarà presa la prossima settimana.
In 14 dei 27 paesi membri dell’Unione Europea sono in funzione centrali nucleari. Complessivamente nel territorio dell’UE sono in servizio 143 reattori (una centrale può avere più reattori). Nel mondo i reattori sono 443, di cui cinque in Svizzera.
Stati Uniti: 104
Francia: 58
Giappone: 55
Russia: 32
Corea del Sud: 21
India: 20
Regno Unito: 19
Canada: 18
Germania: 17
Ucraina: 15
Cina: 13
Da sottolineare anche che in Cina sono in costruzione altri 27 reattori e 50 sono in fase di progetto.
Con la collaborazione di Marc-André Miserez e di Jean-Michel Berthoud
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