Legge modello per la restituzione dei fondi di potentati
Inversione della prova
Tra i rifugi preferiti per i fondi di numerosi despoti, la Svizzera vuole ora regolare il blocco e la restituzione dei soldi con una legge considerata pioniere a livello internazionale. Anche le nuove norme non risolvono però tutti i problemi, come è emerso dopo la Primavera araba.
“Nel 2011, la Svizzera è stata il primo paese a bloccare i fondi di Ben Ali o di Mubarak, dopo la loro destituzione in Tunisia e Egitto. Ma, invece di ricevere delle lodi, sono giunte piuttosto delle critiche per il fatto che anche i loro soldi si trovavano in Svizzera”, osserva Rebecca Garcia, portavoce dell’Associazione svizzera dei banchieri (ASB).
Nonostante gli sforzi compiuti dagli anni ’80 dalla Svizzera per bloccare e restituire i “fondi di potentati” ai paesi defraudati, nell’opinione pubblica internazionale permane una percezione piuttosto negativa, legata soprattutto alla lunga lista di despoti che hanno nascosto soldi nelle banche elvetiche. In seguito alla Primavera araba è emerso, ad esempio, che circa 1 miliardo di franchi è stato depositato negli ultimi decenni in Svizzera dai potentati di Egitto, Libia, Tunisia e Siria.
Un problema di cui è cosciente il governo svizzero. Nel maggio scorso ha così presentato un progetto per una “Legge sul blocco e la restituzione di valori patrimoniali di origine illecita di persone politicamente esposte”, che mira a rafforzare il dispositivo attuale. Il testo, sottoposto fino a metà settembre a consultazione presso partiti e organizzazioni interessate, rappresenta in diversi punti un modello a livello internazionale, come rilevato anche da esperti della Banca mondiale.
Cronologia: I soldi dei despoti nei forzieri svizzeri
La nuova legge estende innanzitutto le possibilità di bloccare a titolo cautelativo dei fondi, per evitare la loro fuga. Finora il blocco è previsto solo se il paese interessato inoltra una domanda di assistenza giudiziaria o se vi è un dissesto totale delle strutture statali, che impedisce ad un paese di presentare una simile domanda.
“In molti casi, come in Egitto, non vi è un dissesto totale delle strutture statali, ma non è neppure possibile avviare una collaborazione per una procedura regolare di assistenza giudiziaria: le persone al potere cambiano rapidamente e l’amministrazione federale non sa nemmeno con chi parlare”, spiega Mark Herkenrath, specialista di finanza internazionale presso Alliance Sud, che raggruppa sei delle principali ong svizzere
Per bloccare gli averi degli ex potentati della Primavera araba, il governo aveva cosi dovuto far ricorso a più riprese ad una procedura d’urgenza sulla base della Costituzione federale. Una prassi che dovrebbe però rappresentare un’eccezione.
Altro punto importante: il progetto di legge prevede l’inversione dell’onere della prova. Non spetta più alla Svizzera o ai paesi interessati, come l’Egitto o la Tunisia, dimostrare che i fondi di Mubarak o Ben Ali provengono da attività illecite. Sono ora gli ex despoti a dover provare che i loro averi sono stati accumulati in modo corretto.
Circolo vizioso
In base alle nuove norme proposte dal governo, in futuro la Svizzera collaborerebbe più attivamente alle indagini con i paesi defraudati: potrebbe in particolare fornire informazioni sui conti bancari, prima ancora di ricevere una domanda di assistenza giudiziaria. “Finora si assiste ad un circolo vizioso: senza domanda di assistenza giudiziaria i paesi interessati non possono accedere a queste informazioni. Ma senza queste informazioni, generalmente non possono neppure formulare una domanda di assistenza giudiziaria”, rileva Mark Herkenrath.
Pur sostenendo nel suo insieme il progetto di legge, l’ASB avanza delle riserve su questo punto. “Queste informazioni dovrebbero essere fornite solo se il paese destinatario offre garanzie democratiche e dispone di strutture legali. Altrimenti si rischia di esporre delle persone a misure che potrebbero compromettere arbitrariamente i loro diritti e la loro vita”, sottolinea Rebecca Garcia.
La nuova legge prevede inoltre in modo esplicito che i denari restituiti vengano impiegati per migliorare le condizioni di vita della popolazione e rafforzare lo Stato di diritto dello paese di provenienza. Il governo svizzero vuole evitare che i soldi finiscano nuovamente nel circuito della corruzione e della criminalità organizzata.
Secondo le stime dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ogni anno circa 850 miliardi di dollari verrebbero trasferiti illecitamente dai paesi in via di sviluppo verso paradisi fiscali.
Una somma che supera nettamente il contributo dato da governi, organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative per l’aiuto allo sviluppo nei paesi più poveri, pari a circa 130 miliardi di dollari all’anno.
In base alle stime della Banca Mondiale, ogni anno da 20 a 40 miliardi di dollari vengono sottratti ai paesi in via di sviluppo in seguito ad appropriazione indebita, corruzione e abuso di potere da parte di dirigenti e funzionari pubblici.
Critiche dei partiti
Il progetto, che sarà sottoposto l’anno prossimo al parlamento, suscita già opposizioni da parte dei partiti di centro e destra. “La Svizzera non ha bisogno di una nuova legge, dal momento che siamo già molto più progrediti degli altri paesi. E, spesso, facciamo già troppo, come si vede nel caso dell’Egitto: si bloccano i soldi di Mubarak, ma non si sa nemmeno a chi restituirli”, sostiene Luzi Stamm, deputato dell’Unione democratica di centro.
Per la sinistra, la legge rappresenta invece un grande passo avanti, ma non è ancora sufficiente. Le nuove norme regolano in dettaglio il blocco e la restituzione, ma non risolvono il problema dell’accettazione dei fondi o della loro permanenza nelle banche svizzere. I soldi di dittatori sono quasi sempre il frutto di corruzione, appropriazione indebita e altri abusi di potere, sottolinea il Partito socialista. “Non è stata la destituzione di Mubarak a far diventare illeciti i 700 milioni di franchi da lui depositati in Svizzera”.
Per il governo, non è però possibile bloccare i fondi di potentati ancora in carica. Innanzitutto, i dirigenti politici godono generalmente dello statuto di immunità e la Svizzera deve offrire garanzie di diritto a tutti i paesi. “La decisione di bloccare dei fondi può dare dei risultati solo se può essere poi avviata una procedura di assistenza giudiziaria per la loro restituzione. Ma questo non è di regola possibile prima di un cambiamento di potere”, indica Pierre-Alain Eltschinger, portavoce del Dipartimento federale degli esteri.
Obblighi di diligenza
“È compito delle banche procedere a dei chiarimenti nell’ambito dei loro obblighi di diligenza, prima di avviare relazioni d’affari con dei clienti. E questo vale ancora di più per persone politicamente esposte”, aggiunge Eltschinger.
Obblighi di diligenza che non sarebbero sempre sufficientemente osservati, ritiene Mark Herkenrath. “Si ha l’impressione che le banche si accontentino di fare un minimo rispetto a quanto previsto dalla legge. E che l’Autorità di sorveglianza delle banche si accontenti in fretta di quanto le banche fanno, senza chiedere loro il massimo”.
Critiche respinte però dall’ASB. “Dobbiamo notificare casi sospetti nell’ambito della legge contro il riciclaggio. Ma non spetta alle banche decidere se un dirigente politico sta abusando del suo potere. Tanto più che molti capi di Stato cadono di colpo in disgrazia, solo dopo la loro destituzione. Mubarak e Gheddafi erano abbracciati e baciati dai dirigenti europei poche settimane prima della loro fine politica”, rileva Rebecca Garcia.
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