Competenze più vaste per i servizi segreti svizzeri
L’arsenale a disposizione dei servizi segreti svizzeri sarà notevolmente ampliato. In futuro, oltre alle intercettazioni telefoniche, gli agenti elvetici potranno ad esempio infiltrare i sistemi informatici, anche all’estero. Il parlamento ha approvato la nuova legge sul servizio delle attività informative. I contrari hanno però già annunciato il lancio di un referendum.
«È una sorta di legislazione di guerra, che non tiene alcun conto di diritti fondamentali come quelli di avere accesso ai propri dati memorizzati o di poter fare ricorso. Una simile legge non la tollereremmo in nessun altro settore dello Stato», afferma il professore di diritto pubblico Rainer J. Schweizer.
«Bisogna riflettere su come riuscire a far sì che delle persone non diventino dei terroristi e non aspettare che lo diventino per poterle inchiodare», controbatte l’esperto di sicurezza Jacques Baud.
Oggi talune operazioni in ambito informatico sono permesse, ma «le procedure sono molto lunghe e complicate» e il servizio d’informazioni ha troppi pochi mezzi e risorse umane per essere davvero efficiente, constata dal canto suo Alexandre Vautravers, caporedattore della Rivista militare svizzera.
Lo scandalo delle schedature e le sue conseguenze
La legge sul servizio d’informazioni avallata martedì dal parlamento è frutto di un compromesso che ha una lunga storia alle spalle. Alla fine degli anni ’80, quando la Guerra fredda stava ormai giungendo al capolinea, scoppiò lo scandalo delle schedature. I servizi d’informazione avevano sorvegliato e schedato circa 900’000 persone, perlopiù cittadini incensurati: attivisti antinucleari, sindacalisti, terzomondisti o membri di gruppi religiosi.
Una delle conseguenze di questo scandalo – e della fine della Guerra fredda – fu la riduzione dell’organico dei servizi segreti. Gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e lo sviluppo della criminalità organizzata hanno però fatto planare nuove minacce. Un primo tentativo di estendere le competenze dei servizi segreti fallì sei anni fa. Un’alleanza contro natura tra la sinistra e l’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) fece naufragare il disegno di legge. La sinistra criticava lo Stato ficcanaso, mentre l’UDC voleva punire l’allora ministro della difesa Samuel Schmid, membro proprio di questo partito, ma poco amato dai suoi.
Più competenze, ma anche più vigilanza
La legge accettata martedì dal parlamento fornisce più mezzi di sorveglianza al Servizio di attività informative della ConfederazioneCollegamento esterno (SIC), in particolare in caso di sospetti su attività terroristiche o di spionaggio. I servizi segreti potranno così perquisire luoghi privati, sorvegliare la posta elettronica e le comunicazioni oppure infiltrarsi nei computer, anche all’estero.
Altri sviluppi
Quali danni può fare un trojan?
Un altro mezzo a disposizione è la cosiddetta esplorazione dei segnali via cavo. Ciò significa che chi digita determinate parole su google, nei suoi e-mail o nelle reti sociali, può finire nel mirino dei servizi d’intelligence.
In parlamento, i pomi della discordia riguardavano la regolamentazione delle competenze e il controllo. Per quanto concerne questo ultimo aspetto, sarà istituita una nuova commissione di vigilanza indipendente. La sorveglianza sul territorio nazionale dovrà inoltre ottenere l’avallo del ministro della difesa e di un giudice del Tribunale amministrativo federale.
Particolarmente delicata da risolvere è stata la questione delle autorizzazioni necessarie per infiltrare dei computer all’estero. Il Consiglio degli Stati voleva introdurre una misura analoga a quella necessaria per una sorveglianza in Svizzera, ossia un’autorizzazione da parte di un giudice del Tribunale amministrativo. Con una simile regola, i servizi di intelligence non avrebbero però mai potuto avere un nulla osta, poiché un giudice non può approvare un tale provvedimento su territorio straniero, come emerso da una perizia dello stesso Tribunale amministrativo.
Il parlamento si è quindi accordato per trasferire questa competenza nelle mani dei ministri della difesa, degli esteri e della giustizia, che dovranno decidere assieme.
L’aspetto positivo è che «il parlamento è riuscito a migliorare notevolmente la vigilanza», afferma Rainer J. Schweizer. «La speranza è che grazie a questa commissione indipendente, la situazione attuale di ‘laisser-faire’ sia superata».
Le spie non sono dei poliziotti
Jacques Baud è dell’opinione che la legge vada in una falsa direzione: «Non penso che la sicurezza dipenda da questo tipo di ricerca di informazioni. Bisogna soprattutto migliorare la nostra capacità di analisi della situazione strategica e politica. Un servizio d’informazioni strategico non deve diventare un’alternativa alla polizia».
Riferendosi a quanto accaduto in Francia, Baud aggiunge: «I terroristi provengono da settori sociali che non sono ancora sorvegliati. Non sono più ‘reclutati’, bensì ‘ispirati’. Le nostre procedure di sorveglianza sono già superate. È una continua fuga in avanti. Si fa sempre di più, ma si ha sempre una lunghezza di ritardo. Bisogna iniziare finalmente a pensare in modo strategico e andare a colpire quelle che sono le motivazioni dei terroristi».
«Questa legge non va ad intaccare la sfera privata più di quella in vigore finora. Amplia però le possibilità di sorveglianza ad altri canali di comunicazione», afferma dal canto suo Vautravers. «La maggior parte delle informazioni proviene dall’estero. La collaborazione è importante e possiamo chiedere qualcosa solo se siamo noi stessi in possesso di informazioni che possono servire agli altri».
Deciderà il popolo
Senza sicurezza non vi è libertà, ha argomentato l’UDC durante il dibattito, motivando il suo cambiamento di rotta rispetto al 2009 con le mutate condizioni di minaccia. Gli altri partiti del campo borghese hanno pure sottolineato questo aspetto, insistendo anche sul fatto che, con l’istituzione di una commissione di vigilanza e con le procedure di autorizzazione, ai servizi segreti non viene data carta bianca.
I contrari, in particolare i Verdi, hanno dal canto loro criticato quella che definiscono una sorveglianza totale. I diritti fondamentali non vanno limitati a favore di una presunta sicurezza. Per questa ragione, gli ecologisti – assieme ad altri oppositori – hanno già deciso di lanciare un referendum. L’ultima parola spetterà quindi verosimilmente al popolo.
Traduzione di Daniele Mariani
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